Fuga da Tirana assediata

Gli insorti prendono altre città e fondano un «Comitato» che chiede le Gli insorti prendono altre città e fondano un «Comitato» che chiede le Fuga da Tirana assediata La Farnesina: via gli italiani. Socialista il nuovo premier TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Ordine di evacuazione per gli italiani, che sono circa 700 e che qui in Albania non sono soltanto «gli stranieri», sono quelli che, fino all'altro giorno, rappresentavano la grande speranza per un Paese ormai prostrato. Così almeno viene tradotto a Tirana il comunicato della Farnesina, che invita gli italiani a non recarsi in Albania «se non vi siano ragioni imprescindibili» e ha chiesto a quanti già vi si trovano, e hanno 1'«effettiva necessità di restarvi», di tenersi in stretto contatto con l'ambasciata a Tirana. Partenza immediata, con un aereo militare, e per chi non trova posto, una corsa a Durazzo, un'ora lunga un secolo. Ormai, qui, il rischio è di un tuffo nel passato, in quello oscuro che caratterizzò il regno di Enver Hoxha e che pochi anni di democrazia fragile e malata non hanno saputo allontanare. Le 15 e 30. La residenza dell'ambasciatore italiano viene chiusa, Amia Foresti, la moglie dell'ambasciatore, deve andarsene, partirà oggi, l'accompagnerà la figlia Barbara. Il messaggio arriva da Roma alla villa in Rruga Lec Dukajini alla fine della colazione quando ancora stringiamo in mano la tazzina del caffè. 11 punto d'incontro per gli italiani è qui, alla residenza che fu il museo di Lenin e Stalin. Non più soltanto il Sud è in fiamme, sta cadendo anche il Nord. C'è rivolta anche a Tropoja, feudo del presidente Sawri Berisha, lassù, oltre il lago Komanir, presso la frontiera macedone. La gente si arma, ma non per combattere il Presidente, per difenderlo. E cosi le probabilità di mia guerra civile si moltiplicano, perché quelli di Tropoja, quelli di Kukes scendono verso il Sud, e quelli del Sud salgono verso Tirana. E nessuno sembra poter evitare lo scontro. Si è autoproclamato un comitato nazionale degli insorti, lo guiderebbe il generale Agim Gorzhica, composto da 29 membri, 8 di Valona, 3 di Berat, e poi di tutte le altre citta. Si è riunito a Argirocastro e ha chiesto le dimissioni di Berisha. Il Comitato intende porsi come terzo interlocutore nelle trattative. Vi ha aderito anche Arben Imami, un leader molto conosciuto nel Paese per aver fondato insieme a Berisha (nel 1991) il partito democratico, dal quale poi usci polemicamente. Imami aveva guidato le proteste di piazza avvenute a Tirana il mese scorso. A sera nella capitale, mentre risuonano misteriosi spari, viene diffusa la notizia che, finalmente, è stato trovato un accordo, fra i politici. Baskim Fino, socialista moderato, è il nuovo primo ministro, oggi sarà annunciata la composizione del governo. Ma forse è troppo tardi, forse ha vinto la follia. Il Parlamento rifiuta di votare l'amnistia ai ribelli, e questo fa salire la temperatura. Gli inglesi sono già partiti, americani, francesi e olandesi stanno per farlo, anche la tedesca Lufthansa parte con aerei e personale. Alle 16 Tirana e una città fantasma. Non si vede un'auto, nella piazza Scanderbeg, e neppure nel viale Deshmoret e Kombit, quello che porta all'Università e che è sempre maledettamente trafficato. C'è il sole, alto sull'orizzonte, ma sembra già notte. Non c'è più tempo e non rimane neppure la possibilità per rimpiangere quanto ne sia stato inutilmente bruciato, in questi giorni. Non c'è tempo per trattare, eppure i rappresentanti dei partiti politici hanno passato la mattinata a discutere di poltrone, equilibri, portafogli, alla ricerca di qualcosa che, forse, non troveranno mai: un accordo. Tutto si era incagliato, alle 13,30, quando nella grande abbuffata era arrivato il momento di attribuirsi la carica di primo ministro. I democratici pareva fossero rassegnati: rinunciavano aìla poltrona e, forse, per loro è mi po' come rinunciare a un figlio. «Prendetevelo, il primo ministro». L'invito, sgorgato di certo non dal cuore, era rivolto ai socialisti che sono i grandi interlocutori e pure quelli sui quali si contava per ottenere l'unica cosa che, a questo punto, neppure loro erano più in grado di garantire: il tempo. L'intesa sarebbe questa: il primo ministro avrebbe dovuto essere una personalità della cultura, certo anche politica, ma qualcuno con un ruolo di secondo piano, perché così non si rischiava di turbare la suscettibilità di chi aveva dovuto rinunciare. E i socialisti avevano accettato. Ma invece di presentare una rosa di nomi, avevano calato sul tavolo quello di Pandeli Majko, che ha 29 anni ed è il segretario organizzativo della politica. Insomma, il più politico fra i politici. E non avevano offerto alternative. Poi, al tramonto, dopo un nuovo duro intervento dell'ambasciatore italiano, era arrivata la nomina di Baskim Fino. E' forse questo il momento in cui a Tirana ci si accorge che il rischio non è più l'insurrezione di qualche città del Sud o del Nord: il rischio è che torni il Medio Evo. Chi ha potuto se n'è andato nei giorni scorsi, verso l'Italia, verso il mondo. Chi è restato capisce di essere un topo in trappola. Si tratta, ma ormai non si riesce più neppure a capire con chi. L'incontro fra otto del «Comitato per la Salvezza di Valona» e l'ambasciatore italiano Paolo Foresti, sulla nave appoggio San Giorgio, in mezzo all'Adriatico, avvenuto lunedì pomeriggio, sembra un episodio remoto. E' vero, è stato firmato un patto articolato in nove punti, ma qualcuno ha detto che gli accordi vengono sottoscritti solo per essere stracciati. E poi, chi rappresentano, in realtà, quegli otto? Gente senza legittimità, aveva sottolineato Lamberto Dini, volato domenica a Tirana per fare da «garante ai patti». Ma poi una qualche legittimità doveva avergliela riconosciuta, a quegb otto, considerato che l'ambasciatore Foresti aveva deciso l'incontro. Ma mentre sulla nave si trattava, si parlava di aiuti, di medicinali, di cibo, di consegna delle armi e di tutto il resto, dalla città si faceva sapere che, sì, le armi sarebbero state resti- tuite, ma soltanto dietro il pagamento di una cifra da sgomentare: quattro miliardi di dollari. Insomma, un ricatto. Silenzio, in città, per quattro ore, nel pomeriggio. Alcuni italiani avevano raggiunto la residenza dell'ambasciatore, altri l'ambasciata, altri ancora erano ormai a Durazzo, dove dovrebbero imbarcarsi su un traghetto diretto ad Ancona, arrivo previsto, oggi alle 18. Arrivano. Ma non si sa neppure chi siano. Sono «gli altri», perché questa che pareva una sommossa provocata dal dissesto delle Finanziarie mostra ormai il profilo di un colpo di Stato, neppure più strisciante. Il Sud è perso, dall'altro giorno, e non soltanto Valona è irriducibile, a dispetto di patti e promesse. Oggi le armi sono state distribuite e chi non fa parte del piano d'insurrezione ha in ogni modo la possibibtà di acquistare una pistola per 500 lech, 4 dollari, e un Kalashnikov per 1500,12 dollari. Quando il sole scompare, la città vive un'ennesima metamorfosi. Dalla parte delle montagne, da Nord-Est, arriva l'eco di sparatorie, ma la gente sciama per le strade, la vita riprende, il traffico torna d'incanto e qualche bar sulla Deshmoret e Kombit apre i battenti perché non si rinuncia a un bicchiere di raki, o a sette, bevuti per scommessa. E rimane quell'ordine arrivato da Roma che l'ambasciatore Foresti neppure tenta di sfumare. Dieci minuti prima, a tavola per una colazione di lavoro che quasi pareva il sigillo ad un successo diplomatico, aveva ammesso: «Sì, stiamo consigliando ai nostri cittadini di prendersi una pausa di riflessione, una vacanza». E i concittadini sono gli imprenditori, per questo l'ambasciatore dice: «Non si sa da che parte si stia andando, non si può pensare a lavorare in queste condizioni». E, forse, non si può neanche pensare a fare politica, perché fin dal momento di sedersi al tavolo ti rendi conto che quelli che hai di fronte usano un mazzo truccato. Vincenzo Tessandori KUTSOVA La base aerea a Nord della città di Berat è stata conquistata. I ribelli ora hanno dunque nelle loro mani 40 aerei da combattimento «Mig». ARGIROCASTRO Sono stati saccheggiati i magazzini di alimentari, un ospizio, la mensa dell'università, negozi e un centro sanitario. Uomini armati sono entrati nella cattedrale ortodossa rubando danaro. Da lunedì la città è al buio per un guasto sulle linee. PERMET Sei civili uccisi dalla polizia segreta, la popolazione dà l'assalto e saccheggia la base militare. Duemila soldati passano coi ribelli. Anche questa cittadina è senza elettricità e con i telefoni isolati. ARGIROCASTRO ono stati saccheggiati magazzini di limentari, un ospizio, a mensa ell'università, negozi un centro sanitario. Uomini armati sono ntrati nella cattedrale rtodossa rubando anaro. Da lunedì la ittà è al buio per un uasto sulle linee. Gli insorti chiedono quattro miliardi di dollari per deporre i fucili In partenza anche inglesi americani e tedeschi Oggi in salvo la famiglia dell'ambasciatore