I partiti trattano i ribelli avanzano

I partiti trattano, i ribelli avanzano L'Italia cerca di mediare convocando un vertice coi leader di Valona sulla nave San Giorgio I partiti trattano, i ribelli avanzano Gli insorti del Sud sono a 100 km da Tirana TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Ora la corsa si è fatta frenetica perché, dopo le aperture del presidente Sali Berisha verso l'opposizione, c'è il timore che sia ormai tardi per un accordo, per qualsiasi cosa. A Tirana il Presidente discute con i suoi avversari con l'incubo di scoprire che ci si è avventurati soltanto in un dialogo fra sordi. In mezzo all'Adriatico, sulla nave appoggio San Giorgio, l'ambasciatore Paolo Foresti tratta con otto del «Comitato per la salvezza di Valona». Sono stati gli elicotteri della marina militare a portarli sul terreno neutro, alle 14,20. Insomma, tocca all'Italia la parte più complicata. Gli otto hanno mostrato buona volontà. Hanno sottoscritto e consegnato all'ambasciatore italiano un documento che dovrebbe avere il valore di una promessa solenne. Sì, sono d'accordo sui nove punti indicati da Berisha domenica pomeriggio, in televisione, e poi, assicurano, faranno l'impossibile per favorire il ripristino dell'ordine pubblico e dell'attività amministrativa, in città. E poi chiedono aiuti, cibo, soprattutto, perché laggiù, a Oriente, oltre la linea dell'orizzonte, c'è gente allo stremo. E la città è senz'acqua, perché qualcuno ha sabotato l'impianto di depurazione. Ma il nodo è un altro, il nodo è che forse nessuno è più in grado di controllare nessuno, che forse è già troppo tardi, che questa tregua tanto inseguita sia arrivata fuori tempo massimo. Perché nell'inte ro Mezzogiorno si registrano som mosse e si spara: è caduta Berat; a Permet, fra l'altro giorno e ieri, i colpi di Kalashnikov hanno abbat tuto otto uomini e le fiamme della rivolta si sono propagate. A Ku chova la gente si sarebbe impossessata di 50 Mig nella base mili tare. Insomma, roghi dappertutto, come se una mano abile riuscisse a indirizzarli. E ormai la linea dei «sudisti» si trova a 100 chilometri da Tirana, con nessuna garanzia che l'esercito sia in grado di fronteggiare la marea che sale. Uno sguardo alla carta dell'Albania, alle città insorte, e il sospetto che la rivolta non segua slanci spontanei ma un disegno preciso si fa concreto. Si torna a parlare, qui a Tirana, di «VorioEpirio», il sogno del Grande Epiro, di trame tessute da stranieri, e qualcuno ha ricordato l'accusa di Berisha: «Fra i ribelli agiscono agenzie di potenze straniere». E da una nebbia impenetrabile spunta il nome di Kicp Mustaqi, che nel periodo di Enver Hoxlia fu ministro, ma non uno qualunque, era l'uomo di fiducia al quale il dittatore aveva affidato la difesa, che era la sua ossessione, tanto da fargli bruciare 10 miliardi di dollari per la costruzione di 700 mila grotteschi e inutili bunker «a una piazza» che avrebbero dovuto evitare, a Tirana, i rischi di un'invasione. Accusato di genocidio e condannato in contumacia alla cadu- U ta dell'ultimo muro, nel 1994, Mustaqi avrebbe riparato in Grecia da dove, si dice ora, avrebbe cospirato per strangolare anche l'idea di democrazia, in Albania. E ora sarebbe tornato. Il crollo delle finanziarie, la rabbia della gente, tutto sarebbe stato utilizzato per questo piano dissennato. E' un sospetto che toglie il sonno, tanto più che i centri del Sud cadono come cade la frutta matura da un albero, uno dopo l'altro. Sospetti, naturalmente, e paure. Perché c'è pure chi sostiene che tutto questo sia stato provocato dal governo. Perché, sottolineano in molti, negli assalti e negli meendi niente sarebbe stato lasciato al caso e il primo obiettivo di chi ha fatto irruzione in un municipio o in un commissariato sarebbero stati gli schedari, quelli della polizia e quelli del catasto. Insomma, tutte le prove nel fuoco. Il contesto, è pessimo. Ma questo, si fa sapere, non può scoraggiare. E di certo Berisha non è uno che si scoraggi facilmente. I socialisti mostrano disponibilità, del resto, e sono loro i maggiori antagonisti dei Presidente. Maqo Lakori, della segreteria internazionale, osserva come nel nuovo governo il suo partito chieda il ministero degli Interni, e non ci son dubbi che, in un momento come questo, sia il più importante. «Speriamo di avere la forza per condizionare gli insorti. In ogni modo, dev'esser chiaro che se ò esplosa la divisione fra Nord e Sud, è di Berisha la colpa». Dice proprio cosi: la colpa, non la responsabilità. Che . cosa ha convinto il Presidente a I cedere, la mediazione europea ola caduta di Argirocastro? «Tutte e due le cose». Ma la rabbia della gente per le finanziarie? «Naturalmente, i soldi non possiamo restituirli tutti. Ma si dovrà fare un'inchiesta per stabilire dove siano finiti e dovrà esser conclusa per giugno». E il futuro di Berisha? Può rimanere. Toccherà al nuovo Parlamento, poi, decidere. Ma alla fine dovrà andarsene. Continui inviti al dialogo giungono dall'Italia dove il ministro degii Esteri Dini ha ribadito che «la soluzione della crisi non può che essere politica, attraverso il dialogo». E da Varsavia, dov'è in visita ufficiale, il premier Prodi ha parlato del molo italiano: «Abbiamo voluto contribuire ad evitare che si aprissero conflitti, come quello della Bosnia, e lo abbiamo fatto con una presenza continua, quotidiana, insistente, leale». E mentre si cerca un accordo, gli elicotteri italiani ripetono i blitz su Valona. Ieri hanno portato via dieci persone: cinque italiani, un tedesco e un americano, tutti reporters, e tre albanesi. Con la San Giorgio, hanno partecipato all'azione anche le fregate Espero e Aliseo. E' il terzo colpo di mano in sette giorni, quasi un'abitudine. Vincenzo Tessandorì C'è il rischio che la situazione sfugga al controllo da un momento all'altro A Kuchova assaltato l'aeroporto e presi 50 Mig Terzo blitz della nostra Marina per cinque italiani Prodi: «No al rischio Bosnia» Un bambino gioca con le granata rimaste tra le macerie di un deposito militare assaltato