E San Francesco baciò il lebbroso

E San Francesco baciò il lebbroso E San Francesco baciò il lebbroso Per l'Occidente Gheddafi resta inavvicinabile VEROSIMILMENTE non lo ha fatto perché una delle «iene» appartiene alla tribù di Jallud. Non tanto per rispetto all'ex numero due del regime (che, per inciso, sembra stia uscendo da un lungo periodo di disgrazia) quanto perché la stabilità della Libia poggia su un delicato equilibrio tribale, dove ogni kabyla, grande o piccola, conta: e tanto. La «ignobile alleanza» di Gheddafi con Abu Nidal (da tempo espulso e riparato chissà dove dopo essere stato a sua volta espulso da Damasco), il suo rifiuto di consegnare a un tribunale straniero le «due iene» hanno portato ai libici sangue e dolore, grossi problemi non solo di comunicazione ma altresì interni: per esempio la mortificazione di un welfare state superiore persino al mitico modello scandinavo. Di più: l'embargo ancorché non impedisca a diverse compagnie americane di fare affari con il colonnello, è come se avesse coperto la Libia di mestizia. Un paese morto, piagato psicologicamente. Lo stesso Al Quaid (la guida) contagiato, si direbbe, dalla depressione dei suoi concittadini, ha messo la sordina alle sue uscite da Miles Gloriosus. Alberga nella sua mente e nel suo cuore il trauma del bombardamento ordinato da Reagan su Tripoli e che colse la città nel sonno ma illuminata a giorno. E questo perché, come ebbe a spiegarmi successivamente Gheddafi, egli riteneva impossibile che un attore quale era Reagan, potesse essere tanto crudele da tentar d'uccidere, nel sonno, un capo di stato sia pure «non gradito». L'attore, per Gheddafi, doveva essere, chissà poi perché, un uomo buono; invece Reagan semidistrusse la casa del colonnello, nelle macerie morì una figlia adottiva di Gheddafi che riuscì a rifugiarsi nel suo deserto della Sirte, guidando anonimamente il van del suo cavallo preferito dove aveva stipato i figli, la moglie. I rapporti diplomatici allacciati con il Vaticano non risolvono la critica situazione in cui è immersa la Libia ma sono, indubbiamente, una buona boccata d'ossigeno per il colonnello, in grave e prolungata apnea. Anche perché, assicurano al Cairo, il Vaticano ha concluso ima trattativa, cominciata nel 1994, col placet (morganatico) di Clinton. Qualche giornale egiziano ha scritto addirittura che gli Stati Uniti non possono non aver riflettuto sul fatto che Gheddafi sia un miss che non ha mai concesso spazio agli integralisti islamici. Lui, infatti, li impicca perché, dice, essi bestemmiano il Corano, essi violano il precetto del Profeta: «Un credente non ucciderà mai un altro credente, pena lo strazio dell'inferno», come si legge nella Sura IV al verso 92 e 93. Chi scrive, per quel poco che gli suggerisce la sua (lunga) esperienza non crede che gli Stati Uniti abbiano mai considerato l'importanza del ruolo di Gheddafi nella disperata battaglia volta ad arginare il dilagante terrorismo islamista. Senza contare che tenere sotto la spada di Damocle d'un devastante bombardamento Gheddafi e tenerlo nella camicia di forza dell'embargo, è come per un sergente dei marines prendere a calci un ragazzino delle elementari: rissoso, cattivo, magari armato di coltello ma pur sempre un ragazzino. Al cospetto degli Stati Uniti (per non parlare di Israele e dell'Egitto, della stessa piccola Giordania) la Libia di Gheddafi militarmente è uno zero tagliato e ideologicamente, per così dire, quel grillo parlante ch'è Gheddafi è come se fosse stato spiaccicato, da un esercito di impazienti Pinocchio (leggi gli Stati Arabi) alla parete della sua incommensurabile presunzione. Il discorso sul placet di Clinton, invece, mi sembra plausibile. Il portavoce americano, infatti, pur ribadendo la necessità (quale?) che Gheddafi rimanga isolato si è affrettato ad aggiungere che tanta determinazione non doveva assolutamente vedersi alla stregua di una critica al Papa. Come sempre accade nella vita (e nella storia) c'è chi esulta e c'è chi si indigna e protesta. Gli italiani di Libia, a suo tempo sfrattati brutalmente dal colonnello, oggi si sentono «traditi due volte». Mentre il buon vescovo Martinelli non riesce a trattenere la sua gioia commossa: lo relazioni diplomatiche fra Tripoli e la Santa Sede permetteranno, infatti, ai cattolici della Jamahiria di uscire da una sorta di catacomba psicologica, dice. Non c'è da farsi, tuttavia, troppe illusioni. La Jamahiria libica ò un Paese atipico dove vige il caos organizzato. Nell'aprile del 1986 i Comitati popolari (versione libica delle guardie rosse di Mao Tse-tung) arrestarono monsignor Martinelli e lo tennero sotto interrogatorio durante dieci giorni. Gheddafi, per quanto impossibile possa sembrare, dovette faticare parecchio per «convincere» i Comitati a lasciare in pace il vescovo. Poi lo ricevette nella sua tenda (quella vera) di Taurgia, nella Sirte, lo abbracciò. E parlarono a lungo di Gesù. Non mi stupisce il fatto che Gheddafi si sia dilungato nella sua intervista al Tg3 su nostro Signore Gesù. E' vero che Issa (o Isa) viene riconosciuto da Maometto come un profeta; è vero che il Corano rico- I nosce e celebra la verginità feconda di Maria, ma Gheddafi ha dimenticato di dire che per i maomettani Gesù è sì un profeta, è sì il figlio di Dio ma non è, pero, Dio egli stesso. Non è una distinzione da poco. I bravi vescovi, il professor Navarro, straordinario portavoce del Vaticano, si augurano, se non prospettano addirittura, il rafforzamento, l'allargamento di quel dialogo con l'Islam che la Chiesa propose già nei lontani Anni Settanta dopo la presa del potere di Gheddafi, e che Giovanni Paolo II ha tolto dalla naftalina 10 anni fa, in Assisi, e che !a Comunità di Sant'Egidio si ostina a perseguire e a proseguire. Si illudono: i vescovi, il Santo Padre, gli amici di Sant'Egidio. La Libia fa parte a sé. La Libia è un'altra cosa. Nonostante Gheddafi sia un credente profondo, un beduino che spesso si rifugia nel deserto per cercare fra le stelle un segnale del Dio unico, le contraddizioni che l'affliggono, la rissosità congenita del suo popolo obbligano tutti noi a rimanere in guardia. Una volta Gheddafi scrisse a Sadat: «Saremmo felici di vivere nel deserto. Nudi. Senza petrolio, senza elettricità, senza luoghi di piacere ma con la dignità, la religione, il patriottismo arabi». Per quel poco che sia possibile conoscere un arabo, per di più beduino, io sono convinto che il colonnello sia candidamente sincero nella sua sete di umile infinito. Il fatto è che Gheddafi è assolutamente estraneo al mondo degli altri. Le sue parole su Gesù, quelle contro il terrorismo, la sua ostentata saggezza (momentanea) non riusciranno mai a colmare la distanza che separa il beduino dalle sette vite e dalle settecento uniformi dal resto del mondo. Sicché ogni illazione politica, qualsiasi speranza di apertura, ogni disegno di pace potrebbero rivelarsi, un giorno, soltanto un (affascinante) miraggio. Igor Man azioni imane stava di anni andato piena l fatto iti non aduto. s, por aveva rari albilisce Libia, e osiziolla «li i M articornazio impordionale sempre bilità e ica ed i bori del e, desia colla fratern un'in questa Noi - ha osciamo ristiani fezia di miniamo i diamo E non lo na delle lla tribù petto alme (che, endo da isgrazia) della Liquilibrio grande o ignobile Abu Niriparato ato a sua o), il suo ne per difenrismo, le popoli. «La Lvolte la suarorismo, larorismo, peterrorismo ma è una pnon può esco». Suo dche «il terrcome strumNunzio astian Labo"V ,«e"* , ■SR' Il«NlaSclaQGE SPerfatto che non ha mtegralisti impicca pmiano il Ccetto del ucciderà na lo stralegge nellChi scrisuggeriscza non crbiano maza del rusperata b