Washington «Ma rispettiamo il papa» di Andrea Di Robilant

Washington Washington «Ma rispettiamo il Papa» I l u a e o o . , WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Non siamo d'accordo». L'amministrazione Clinton critica l'apertura di una nunziatura a Tripoli senza giri di parole. Gli Stati Uniti considerano che la decisione della Santa Sede manda il segnale sbagliato a Muammar Ghaddafi e mina la politica americana nei confronti del leader libico. «Riteniamo che la Libia debba essere isolata», ha ribadito il portavoce del Dipartimento di Stato Nicholas Burns. «E continuiamo a pensare che nessuno dovrebbe avere rapporti con Tripoli. Abbiamo detto al Vaticano che non siamo d'accordo con la loro decisione». L'amministrazione Clinton vuole evitare che la questione venga ingigantita e che finisca per incidere sugli ottimi rapporti tra Washington e la Santa Sede. Tanto che Burns ha tenuto a sottolineare «che la nostra posizione non va interpretata come una critica a Sua Santità Giovanni Paolo II». Ma ora che le pressioni americane si sono dimostrate inutili e che la nunziatura è stata aperta, all'amministrazione rimane solo un auspicio: «Noi speriamo che i funzionari vaticani che avranno colloqui con i libici concentreranno le loro conversazioni sul sostegno della Libia al terrorismo, sull'opposizione della Libia al processo di pace, sulla consegna dei due sospettati di essere responsabili per l'attentato di Lockerbie». Ma la decisione del Vaticano di aprire la nunziatura e di stabilire normali rapporti diplomatici con la Libia riflette una valutazione diversa da quella americana del regime libico. E mina gli sforzi americani per mantenere un fronte compatto anti-Gheddafi. La rigidità dell'amministrazione Clinton trova ampio consenso nel Congresso, che l'anno scorso ha approvato una legge - la legge D'Amato - che mira a punire le aziende che fanno investimenti superiori ai 40 milioni di dollari in Iran e in Libia. Ora il Congresso mira a stringere ancora di più la morsa riducendo l'ammontare degli investimenti. L'arrivo al Dipartimento di Stato di Madeleine Albright non ha portato ad alcun ammorbidimento da parte dell'amministrazione. Anzi, nel suo recente giro europeo la Albright ha sottolineato che gli Stati Uniti non hanno alcuna fiducia nelle aperture di alcuni Paesi, e in particolare dell'Italia, verso la Libia. Proprio quelle aperture, del resto, sono state il tema più spinoso del colloquio tra la Albright e il ministro degli Esteri Lamberto Dini a Roma. L'Italia è impegnata da almeno sei mesi in un ampio riesame dei rapporti con Tripoli. La Farnesina, su incoraggiamento soprattutto del presidente egiziano Hosni Mubarak, si è andata via via convincendo che Gheddafi sta mandando segnali nuovi che vanno coltivati. Ed ha avviato una serie di contatti ad alto livello con Tripoli, coordinati dal sottosegretario Rino Serri ma sotto la diretta supervisione di Dini. La Farnesina, al contrario del Dipartimento di Stato, pensa che Gheddafi, dopo aver a lungo lavorato per sabotare il processo di pace, sembra averne accettato l'inevitabilità. E la diplomazia italiana si è anche convinta che la Libia vuole trovare una soluzione all'impasse su Lockerbie. Gli Stati Uniti chiedono che i due accusati siano consegnati agli americani o ai britannici per essere processati in Scozia. Gheddafi dice che h' consegnerà solo se saranno processati da un tribunale internazionale. Serri ha recentemente avanzato una proposta di compromesso: tenere il processo in Gran Bretagna ma affidare la difesa ad un collegio di giuristi europei. La Albright Andrea di Robilant La Albright