Italia salvata dai Bot Kohl non lo fa sapere di Alfredo Recanatesi

Economia Italia salvata dai Bot Kohl non lo fa sapere RAZIE all'elevata componente di Buoni ordinari del Tesoro a tre, sei e dodici mesi, il debito pubblico italiano si rinnova ogni anno nella misura di circa il 60 per cento. Questa, che in altri tempi era considerata una maledizione perché costituiva il terreno di coltura di ricorrenti crisi finanziarie, oggi, con tassi decisamente più ragionevoli, è una benedizione perché consente di convertire molto più rapidamente la discesa dei tassi stessi in riduzione della spesa statale. Poiché il debito pubblico supera i due milioni di miliardi di lire, un punto di interesse sul suo intero importo - o, come si dice, a regime - pesa per oltre 20.000 miliardi, ma di questi a dir poco 12.000 pesano già in capo ad un anno. Tenuto conto dell'instabilità dei mercati e del crescente nervosismo generato dall'approssimarsi degli esami sul rispetto delle condizioni poste dai trattati di Maastricht per partecipare alla moneta unica, da questa realtà discendono alcune conseguenze nient'affatto secondarie, anche se non risulta che D'Alema, Prodi, Berlusconi, nei loro contatti internazionali, si siano premurati di farle presenti. La prima è che ogni previsione circa l'eventuale scostamento del disavanzo consuntivo 1997 da quel fatidico 3% del Pil è estremamente aleatoria. Tutto il dibattito di queste settimane sulla necessità o no di un'ulteriore manovra e sull'importo di essa - tra i quattro e i quattordicimila; no, ne servono quindicimila;, macché, ventimila - può servire ad agitare le acque del confronto dialettico e ad esercitare pressioni strumentali nelle più diverse direzioni, ma ciò non toglie che rimane appeso al filo di qualcosa che nessuno oggi può ragionevolmente prevedere, e cioè l'andamento dei tassi di interesse nei prossimi mesi. Data un'inflazione attorno al 2%, c'è margine perché i tassi possano scendere ancora fino a produrre - perché no? un risparmio di spesa corrispondente al taglio del disavanzo che ad oggi può risultare necessario: basterebbe poco più di un punto che sarebbe probabile, se non proprio certo, nel caso si avesse sollecitamente la certezza dell'avvio dell'unificazione. Ma è tutt'altro che remota anche l'ipotesi contraria, ossia che i tassi possano tornare a salire, rendendo magari del tutto inutile un'ulteriore manovra che fosse stata appena fatta con tensioni politiche, depressione economica, inquietudini sociab. La prospettiva di raggiungere quel fatidico 3%, dunque, è tutta appesa ai tassi. E con buona pace di chi insiste nei tormentoni della manovra, di Bertinotti, delle pensioni - e I siamo alla seconda conseI guenza della dominante rile- vasilirdoGequstrefail glsi irrl'usi rapeprdiresatrvedastquspilnl'tochdptelecmmspdl'dsladvilldsrduOtttclalpGrfdqtn vanza della spesa per interessi-i nostri tassi, i tassi sulla lira, nei prossimi mesi dipendono in primo luogo dalla Germania, anzi proprio da quel Kohl dal quale tutti i nostri maggiori leader si sono recati non si capisce bene a far cosa. Se nelle prossime settimane il Cancelliere riuscirà a sciogliere i nodi politici nei quali si è aggrovigliato e potrà così irrobustire la prospettiva che l'unione monetaria si faccia, e si faccia con i Paesi mediterranei, allora non c'è ragione perché in Italia non debba riprendere la discesa dei tassi di interesse fino a determinare il risparmio di spesa necessario per raggiungere quel traguardo del 3%; se non dovesse bastare mancherebbero davvero spiccioli. Ma se questo non dovesse accadere, se quindi rimanesse aperto uno spazio sempre più ampio alle illazioni - l'unione si fa, l'unione non si fa; l'Italia entra, l'Italia rimarrà fuori - i tassi tornerebbero a salire, ed anche la manovra che si facesse domattina dando ascolto alle più accanite vestali del rigore, tempo due o tre mesi, si rivelerebbe insufficiente. Una terza conseguenza è il combinato disposto delle prime due. Gestendo opportunamente l'indecisione sul rispetto dei parametri da parte della Germania e, quindi, sull'effettivo avvio del processo di unificazione monetaria, lo stesso Kohl (o, se si preferisce, la Germania) ha la possibilità di spingere oltre il 3% il disavanzo italiano e così risolvere il suo problema di rispettare l'avvio nel marzo prossimo dell'unione monetaria, ma senza intimorire il suo elettorato, almeno fino alle elezioni del successivo autunno, con una partecipazione dell'Italia. Ovviamente, manifestando tutto il suo rammarico per l'Italia che non ce l'ha fatta e tutta la sua fiducia nell'Italia che ce la farà. Un bel vicolo cieco nel quale l'Italia si ritrova per non aver neppure tentato una delle tante possibili iniziative per spiegare ai cittadini di Germania e di tutta Europa la realtà del suo aggiustamento finanziario e la reale natura del residuo disavanzo che, in quanto dovuto esclusivamente ai tassi di interesse, con un non imprevedibile paradosso ora dipende più dalle alchimie politiche tedesche che dalle tanto vituperate alchimie politiche italiane. Alfredo Recanatesi es^J

Persone citate: Berlusconi, Bertinotti, D'alema, Kohl, Prodi