« Nostra la bomba sull'autobus » di Fernando Mezzetti

« « Nostra la bomba sull'autobus » Gli uighurì minacciano Pechino: colpiremo ancora PECHINO DAL NOSTRO INVIATO A conferma dei sospetti subito sorti, l'atto terrroristico avvenuto venerdi sera nel cuore della città, con l'esplosione su un bus di una bomba che ha fatto morti e feriti, viene rivendicato da separatisti uighuri della regione del Xinjiang basali all'estero. Lo fanno tramite Taiwan, la cui agenzia ufficiale Cna riferisce la rivendicazione senza naturalmente sposarne la causa. Ma il fatto che i separatisti si siano fatti vivi con essa indica l'intento di lanciare un ponte a Taiwan per un fronte comune verso Pechino. Il governo nazionalista, che si proclama governo della Cina basato sull'isola solo temporaneamente, cioè da quasi mezzo secolo, e però sulla questione delle frontiere sulle stesse posizioni di Pechino, se non più oltranzista: su mappe pubblicate a Taiwan, la Mongolia, per esempio, appare come parte della Cina. E' dubbio che nella sua avversione a Pechino, Taiwan possa accettare il ponte lanciatole per minare la stabilità della Cina continentale. Confusione e instabilità in Cina avrebbero gravi riflessi sull'intera area. Ma la mossa dei separatisti apre una dimen¬ sione nuova nella tensione etnica, e in quella latente con l'isola, abbassatasi dopo la crisi di un anno fa, quando Pechino effettuò attorno a Taiwan imponenti manovre militari che spinsero gli Stati Uniti a mandare in zona la Settima Flotta. Intanto il sindaco di Pechino conferma che l'esplosione è stata «un atto politico», rivelando che mercoledì scorso in un'altra zona della capitale era scoppiata un'altra bomba di minor potenza, senza causare morti o feriti. La rivendicazione sarebbe pervenuta all'ufficio di Ankara dell'agenzia di stampa di Taiwan, con un comunicato della Organizzazione per la liberazione del Turkestan, uno dei vari gruppi indipedentisti. Negli Anni 40 il Xinjiang si era costituito in repubblica del Turkestan orientale. «L'attentato sul bus - afferma il messaggio - è stato l'unico modo per il popolo del Xinjang per vendicarsi dei comunisti cinesi». Precisando che si sono avuti tre morti, si aggiunge che gli attentatori sono stati tre uighuri e si minacciano altri attentati: «Gli attacchi continueranno fino a che il Xinjiang non avrà ottenuto la piena indipendenza». Da Alma Ata, in Kazakhstan, dove sono basati, altri gruppi indipendentisti uighuri negano ogni responsabilità. Sull'immensa area che va dal deserto del Gobi ai confini col Pakistan e l'Afghanistan, il Kazakhstan, la Kirghisia, si sta giocando di nuovo una grande partita, la «great game» su cui tra fine e inizio secolo si affrontarono Gran Bretagna e Russia. Le potenze non sono più solo quelle e gli attori sono più numerosi: fondamentalismo islamico, odi etnici, rivalità di sette, sottili giochi fra stati. Dopo i sanguinosi scontri fra uighuri e cinesi a inizio febbraio, esaltati dai gruppi basati a Alma Ata, è stato invitato in Cina «in vacanza» il presidente del Kazakhstan, Nazarbaev. Ha trascorso otto giorni sull'isola tropicale di Hainan dove, buon tennista, ha giocato con mezza squadra nazionale che i cinesi gli hanno messo a disposizione, e si è dedicato al golf coi migliori istruttori. Poi, in pieno lutto per Deng, è stato ricevuto da Jiang Zemin, col quale, secondo i comunicati, ha condannato ogni forma di separatismo. L'invito per la vacanza ha quindi anche il sapore di un monito per Nazarbaev, riferito agli uighuri basati in casa sua. Si profila, nel cuore dell'Asia, un Tibet senza monaci, di militante furore. Fernando Mezzetti

Persone citate: Jiang Zemin, Nazarbaev