«Saremo i garanti della pace» di Vincenzo Tessandori

«Saremo i garanti della pace» «Saremo i garanti della pace» // ministro: «E'fatta, speriamo che tenga» IL RUOLO DELLA FARNESINA TIRANA DAL NOSTRO INVIATO E' fatta. Forse, è fatta. A dispetto del fattore «B», il fattore balcanico, quello che rischia di mandare all'aria ogni progetto all'ultimo momento. Per questo Lamberto Dini, ministro degli Esteri, volato qui a Tirana nel pomeriggio di ieri, dichiara, il tono della voce deciso, quasi aspro, perché certe cose se si dicono è bene farlo senza timidezze: «Abbiamo lavorato intensamente e non abbiamo esitato a fare critiche, quando è stato necessario. E quello che auspicavamo avvenisse, oggi è accaduto». E quello che auspicava non soltanto l'Italia, ma almeno mezza Europa, era che si arrivasse a patti, fra satrapi e dignitari albanesi, perché quando si tratta il rischio di roghi improvvisi diminuisce. Il presidente Sali Berisha ha fatto le sue proposte, che poi altro non erano che l'accettazione delle richieste, e l'opposizione ora medita su come applicarle, quelle proposte. Qui, nella residenza dell'ambasciatore italiano Paolo Foresti, i rappresentanti dei partiti che si oppongono a Berisha sono accorsi ad ascoltare le parole del ministro italiano, e tacciono e meditano. Perché lo sanno bene di trovarsi di fronte a un Stato sull'orlo di un crack, e non soltanto finanziario, non solo perché sono fallite le «piramidi» che con le loro promesse avevano fatto credere a un Paese del Bengodi. E sanno che ciò che li aspetta farebbe tremare le vene dei polsi a chiunque. Ma non ci si può più nascondere, Dini questo deve averlo detto chiaro e tondo prima al Presidente e poi agli altri undici, quelli che si sono ritirati sull'Aventino all'indomani di elezioni politiche definite dalla minoranza battuta «un vero grande imbroglio». Ora il ministro degli Esteri italiano dice: «Tutti sanno quanto sia stato intenso il nostro impegno, quello dell'Italia, intendo, e poi l'impegno dell'Unione Europea, della comunità internazionale, per ricercare una strada che possa portare a una soluzione della crisi che si è generata qui, in questo Paese amico, un Paese così vicino all'Italia». Non ci sono colpevoli e innocenti, dunque. O meglio, se ci sono, non è questo il momento di parlarne. Altri sono i problemi che spingono, e non appaiono piccoli. Del resto, con l'inizio di trattative allo scoperto, non sarà facile, per nessuno, tentar di barare. Anche se il rischio che qualcuno ci provi, a distribuire cinque assi, è sempre presente. «Mi pare che quello che auspicavamo avvenisse è avvenuto. Un grande inizio per la pacificazione del Paese attraverso la costituzione di un governo di riconciliazione nazionale. E queste sono le stes¬ se parole che ho adoperato di fronte al Parlamento italiano». Dini appare soddisfatto. Insomma, all'Albania non rimane che riprendere la strada verso quella democrazia che ha già fatto venire le vertigini a chi per mezzo secolo neppure sapeva che cosa fosse. «E si addiverrà a nuove elezioni. Questi sono due punti dell'accordo raggiunti, fra forze di governo e tutti i partiti che sono presenti nel Paese». Si riparte, allora. «Mi pare che sia un ottimo inizio e che dobbiamo felicitare tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo accordo». E l'Italia, di questo accordo, sarà non soltanto testimone, ma anche garante, e l'impegno non si presenta né semplice né leggero. Forse è per questo che il mini- stro degli Esteri sottolinea: «Sono venuto qui, non soltanto su invito del governo, ma anche da parto degli esponenti dei partiti d'opposizione». Si, ci sono tutti, li ad ascoltare. C'è Neritan Ceka, di Alleanza Democratica, che non ha mai risparmiato una critica a Berisha, e c'è il repubblicano Sabri Godo, e pure Rexhep Mejdani, il professore di fisica a capo del partito più grande d'opposizione, quello socialista, quello che raccoglie anche i vecchi comunisti. Lui pure ascolta a disagio nel grande divano beige della residenza, e sorride appena perché certe cose, certe decisioni, sono difficili da mandar giù: anche quando hai la sensazione di essere tu il vincitore. Sia come sia, non ci son dubbi: «C'è un desiderio che sia l'Italia stessa a sancire questo accordo e a seguirne l'applicazione. Questo è un impegno che noi ci assumiamo», dichiara Dini. E l'ora della promessa solenne scocca alle 21,30. «Ho detto che oggi non soltanto è stato fatto un grande passo avanti da parte di persone che hanno mostrato grande senso di responsabilità, tutte insieme, ma anche di saggezza: perché solo una soluzione politica poteva essere data alla crisi. Tutti insieme sarà possibile operare per la riconciliazione del Paese e anche per una sua ripresa e ricostruzione. In un Paese che sarà ancora più democratico di quello che è stato fino ad oggi». Dunque, l'Italia è garante dei patti? «L'impegno è che venga rispettato il calendario per la realizzazione del programma». Ma non soltanto, aggiunge Dini: «Prendiamo su di noi l'impegno di sollecitare l'intervento immediato della comunità internazionale, compre¬ se le organizzazioni finanziarie internazionali, per mettere immediatamente su un programma di ricostruzione e di stabilizzazione finanziaria ed economica del Paese». Bene. Ma quelli di Valona, quelli che si sono sollevati, loro che ruolo avranno? «Credo che non abbiano nessuna legittimità. Certamente, il fatto che ci sia stata una rivolta non mi pare che possa dare legittimità specialmente se si pensa a corno questa e nata. Una rivolta, mi sembra, spontanea, causata da disagio e perdita economica da parte della popolazione. Poi c'è stato un inasprimento degli animi che ha condotto a questa situazione. Credo non ci siano dubbi che tutti coloro che abitano in Albania si sentano albanesi e che tutti insieme vogliano ricostruire il Paese». Insomma, l'Italia non prende neppure in considerazione la «libera repubblica di Valona». Sì, anche loro, quelli della «libera repubblica» devono accettare i patti. C'è da sperare. Vincenzo Tessandori «Era un dovere impegnarci per questo Paese amico così vicino a noi Sono venuto qui su invito del governo» «Ci impegneremo a ricostruire la società mobilitando aiuti internazionali Non riconosciamo gli insorti di Valona»