La fatica degli onorevoli in «questua continua» di Filippo Ceccarelli

IL PALAZZO IL PALAZZO La fatica degli onorevoli in «questua continua» OMPLIMENTI agli onorevoli viaggiatori della Bicamerale, anzi ai «missionari», visto che per il fatto di essere membri della fatidica Commissione per le riforme istituzionali li si considera in «missione», appunto, e così si beccano 300 mila lire a seduta. Lordi. Di sedute se ne tengono due-tre alla settimana, e quindi i conti sono presto fatti, nella loro brutale approssimazione. Ma complimenti, di nuovo, anche perché per la prima volta quasi nessuno se n'è scandalizzato. Forse solo il senatore Cusimano, di An, che lodevolmente ha propalato la storiellina del benefit bicamerale, per quanto anche lui è parso più che altro polemico con i presidenti di Camera e Senato che liberando i «missionari» dall'obbligo della presenza in aula avrebbero fatto un favore al governo. Nessuno, comunque, neanche il più sprovveduto demagogo, ha fatto notare la mirabile sincronia del provvedimento con l'eurotassa. Né alcuno haj-icordato. che pocbi giorni prima deputati e senatori, alcuni anche a titolo individuale (per un totale di 169 milioni a testa), si sono spartiti i quattrini del ripristinato finanziamento pubblico. Né, ancora, che a gennaio i parlamentari hanno avuto un aumento dell'indennità di circa un milione e ottocentomila, più altre duecentomila di diaria. Né che a maggio scorso, arrivati in Parlamento, c'era già ad attenderli un ritocco dell'indennità per i collaboratori, che fa un milione e novecentomila mensili più Iva. Né infine - ma solo per porre un termine a uno sconveniente repertorio - s'è levata voce che rammentasse come appena un anno fa, seguendo l'aureo esempio del Senato, la Camera aveva innalzato a due milioni i massimali dei rimborsi, anche ampliando di un paio di centomila la busta paga dei componenti l'ufficio di presidenza. Niente, invece, nessuna recriminazione «anti-parlamentare», nessuna rispo1 staccia ai giornali neo o post I «qualunquisti». Con il che si può realisticamente considerare che la grande guerra salariale l'hanno vinta gli onorevoli. L'hanno vinta, certo, per stanchezza. Qualsiasi monitoraggio dimostra che i rappresentanti bussano a quattrini ormai tre, quattro, cinque volte l'anno. Non solo, ma l'incessante questua trae vantaggio proprio dal bombardamento di notizie e dalla conseguente riduzione della memoria, per cui gli ultimi aumenti strappati sembrano sempre - ma non sono - assai lontani nel tempo. Più in generale, al posto dell'ingenua e roboante ingordigia di un tempo, i politici della Seconda Repubblica, o suppergiù, paiono manifestare un'astuta,.flessibile e multiforme voracità. La sostengono alternando buoni propositi (Fini che dice: «Riduciamoci lo stipendio del 10 per cento!») e tattiche di guerriglie: imboscate, ritirate, colpi d'assaggio, dissimulazioni. Al momento opportuno confezionano norme indecifrabili in cui la parola «aumento» è sostituita con «revisione». Non di rado tali «revisioni» dipendono da un sistema in cui le buste-paga dei deputati sono di volta in volta ispirate a quelle dei senatori, dei magistrati o di quanti altri contribuiscano a sostenere l'inesorabile Moloch. Al resto provvede il genio nazional-lessicale: «adeguamenti», «galleggiamenti», «aggiustamenti» via via «particolari», «forfettari», «supplementari». Quindi «conguagli», «automatismi», «detrazioni». Il tutto, di solito, retroattivo. E da qualche tempo - vedi i «missionari» della Bicamerale - efficacemente ripetitivo. Filippo Ceccarelli elli

Persone citate: Cusimano