Il Belgio unito in una moschea

13 Folla immensa nel tempio di Bruxelles: fiamminghi e valloni, italiani, spagnoli e nordafricani Il Belgio unito in una moschea I funerali di Loubna, uccisa dal mostro BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE No, forse il Belgio non è il Paese dei mostri. Forse tutti i Paesi sono uguali ed è vero che decine di bambini scompaiono ogni anno in tutta Europa. Quel che qui ha fatto la differenza, quel che ha acceso i riflettori sul regno di Alberto e Paola è un qualcosa di straordinario, che non ha precedenti conosciuti. Le famiglie delle vittime dei pedofili, dei bambini scomparsi e mai ritrovati, si sono unite, hanno rotto la congiura del silenzio, strappato il velo dell'omertà, hanno gridato ovunque lo scandalo. E' la forza delle famiglie unite ad aver fatto tremare governo, magistrati e polizia. Una forza che ieri si è imposta anche sulla legge islamica. Alla grande moschea di Bruxelles, nel parco voluto da re Leopoldo per celebrare il cinquantenario del Belgio, gli imam hanno dovuto far entrare le televisioni. Hanno dovuto accettare che piedi impuri, infedeli, calpestassero i tappeti consacrati del tempio. E i ventimila marocchini ammassati nei viali attorno alla moschea non solo non hanno avuto nulla da dire, nulla da deplorare in questo gesto di enorme tolleranza. Ma hanno pianto assieme a fiamminghi e valloni, italiani e spagnoli alle parole pronunciate nel tempio di Allah dai genitori di Julie Lejeune, di Melissa Russo, di An Marchal e di Elisabeth Brichet. Poco prima delle dicci alla moschea è arrivato il feretro di Loubna Benaissa, scomparsa il 5 agosto del 1992 all'età di nove anni. Resti ritrovati solo mercoledì scorso, in una cassa d'acciaio nascosta nella cantina di una pompa di benzina, tra vecchi motori e gomme sventrate. A 300 metri da casa. Il suo carnefice, Patrick Derochette, ha con¬ fessato stupro e sequestro, ma non l'assassinio. Ha detto che Loubna è caduta battendo la testa, poi che l'ha spinta lui, poi che non sa come sia morta. «Spero che chi poteva trovarla e non l'ha fatto sia tormentato nel sonno per tutta la vita», ha detto Nabela, la sorella di Loubna divenuta un simbolo di dignità, coraggio e integrazione razziale. Alle dieci 2500 persone riempivano già la moschea, in cui una parte era stata riservata agli «infedeli»: il ministro della Giustizia Stefaan De Clerck, il borgomastro di Ixclles, quartiere dove vivono i Benaissa e Derochette, deputati e senatori. Non c'erano invece i membri della Commissione parlamentare che indaga sugli errori dell'inchiesta anti-pedofili, perché d'accordo con i Benaissa hanno preferito dar prova della massima obiettività. Fuori, nel parco, più di ventimila persone attendevano di seguire la cerimonia da uno schermo gigante piazzato su un lato della moschea. Quasi tutti marocchini, ma anche belgi, italiani, zairoti, tutti uniti nella solidarietà con Loubna, con tutte le piccole vittime dei maniaci. Quattro imam, vestiti di bianco, hanno posato la bara bianca davanti al tempio. Nabela e Najat, le due sorelle di Loubna, l'hanno ricoperta con un manto ricamato da versetti del Corano. «Non c'è altro Dio al di fuori di Aliali e Maometto è il suo profeta». E uno dei fratellini di Loubna vi ha deposto una rosa bianca. In un silenzio impressionante sono state recitate quattro preghiere. Poi è iniziata la cerimonia laica. «Nel nome di Dio misericordioso ha scandito dal Corano l'imam Kaliby - perché nessuno è venuto ad avvertirci? Ma sì, qualcuno è venuto, ma noi avevamo perso Dio». Il direttore del Centro islamico di Bruxelles, l'imam Katly, ha ricordato gli errori della polizia, ha par¬ lato di «coesistenza e solidarietà», e ha indicato ad esempio i Benaissa: (Avete davanti a voi un evento orribile. Avete davanti a voi un'ammirabile pazienza». Il padre di Julie Lejeune, morta di fame nella cantina del mostro di Marcinelle, è stato il primo «infedele» a prender la parola. «Razza e religione non devono essere ostacoli nella vita». La madre di Elisabeth Brichet si e rivolta direttamente alle piccole vittime scomparse: «Avete ricordato al mondo cosa sono il bene e il male. Loubna, tu mi Imi insegnato a capire cos'è la solidarietà, a conoscere la tua comunità, che mi faceva tanta paura». Poi ha parlato Nabela. «Siamo in qualche modo sollevati di averti trovata. Loubna, ora finalmente posso dirti arrivederci». La folla lascia il tempio mentre lo sceicco Abdel Massud recita la Stira 97: «Oh mia gioia, torna dal tuo Signore, vieni da me, mio servitore, entra nel mio giardino». I Benaissa sono in fila all'uscita, come nei ricevimenti d'ambasciata. Stringono la mano a tutti, baciano parenti, amici e genitori delle altre piccole vittime. La madre è seduta. Alla sua destra il padre, Lahssen, in jellabali bianca a strisce beige. Poi Nabela, che non smette di carezzare le guance del fratellino più piccolo. L'ottavo, se Loubna fosse viva. Nel pomeriggio Lahssen e Nabela sono partiti per Tangeri con la piccola bara. Nella citta d'origine Loubna, nata a Bruxelles, avrà l'ultimo saluto. «Forse non è morta invano», ha detto il capo della comunità islamica. Forse questa morte sarà il prezzo che la comunità marocchina doveva pagare per l'integrazione. Come per gli italiani la tragedia di Marcinelle. Allora i nostri emigrati pagarono l'integrazione con il sangue di decine di minatori. Oggi pagano i marocchini, col sangue di una bimba ignara. [f. sq.] Un ritratto di Loubna, la bambina rapita e uccisa da un pedofilo Oggi il suo funerale ha riunito nel dolore il Belgio