Nabela, angelo straniero di un Paese infuriato

Nabela, angelo straniero di un Paese infuriato Nabela, angelo straniero di un Paese infuriato IL PERSONAGGIO B BRUXELLES ENAISSA, i figli di Gesù. Questo vuol dire in arabo il nome della famiglia di Loubna. Per lei Lahssen e Harissa avevano scelto il nome dell'eroina di un romanzo d'amore medievale, una sorta di Romeo e Giulietta dei musulmani. Non le ha portato fortuna. La prima figlia, invece, l'avevano chiamata Nabela: la nobile. Che sorprendente intuizione. E' come se il dolore, la frustrazione, la rabbia avessero forgiato il carattere di questa giovane, il suo eloquio tranquillo, le sue maniere gentili, umili, assieme alla sua forza d'acciaio. Il capo sempre coperto dallo hijab, il velo che lei chiama «il simbolo della mia libertà». Il padre sempre al suo fianco, o alle sue spalle, sempre silente. Perché non ha le parole per dire. Perché dopo ventidue anni passati in Belgio Lahssen Benaissa non è ancora padrone del francese, né lo sarà mai. E allora è lei, Nabela, a prendere la parola. Lei che ò nata a Bruxelles, che vi ha frequentato le scuole, ha imparato a domare una lingua straniera nelle sale d'attesa dei commissariati, negli uffici dell'enorme e tetro tribunale della capitale. Infine nei colloqui con i deputati, con il primo ministro, con il re e la regina dei belgi. E' lei l'unica ad avere le parole: Nabela, la voce dei figli di Gesù. Quella calda mattina dell'agosto '92, assieme a Loubna, aveva accompagnato la madre a far la spesa. Aveva meno di quattordici anni, più o meno l'età che oggi avrebbe la sua sorellina. Erano uscite dalla casa in Rue Gray, una via buia, dai marciapiedi sconnessi, affossata tra due alte colline e sormontata dal ponte della ferrovia. Una strada d'immigrati. Erano salite su per Rue Wery per imboccare l'Avenue de la Couronne, all'angolo dove c'è quella maledetta pompa di benzina. Al ritorno s'erano accorte di aver dimenticato lo yogurt, e Loubna era ripartita saltellando. ((Al commissariato ci hanno fatto fare la fila per mezz'ora, come se avessimo perso un portafogli», racconterà Nabela alla Commissione parlamentare d'inchiesta. Lei era lì, accanto al padre, aspettando di poter spiegare a un agente accaldato e infastidito quel che Lahssen non sapeva dire. Da allora l'ha sempre accompagnato dappertutto, durante i lunghi anni di indifferenza e di silenzi, senza nemmeno potersi consigliare con un avvocato, perché la polizia aveva detto che era una spesa inutile: in fondo questi marocchini non hanno mai un franco. Lahssen Benaissa era arrivato in Belgio nel 1975. Ha sempre lavorato come un cane e continua a farlo. Per sposarsi andò in Marocco, nella sua Tangeri, bella, piena di sole e di profumi di menta e di spezie. Poi tornò a Bruxelles, con la moglie. La prima figlia la chiamarono Nabela, la seconda Najat. Poi vennero i maschi, tre, la piccola Loubna e ancora due maschietti. Muto, apparentemente burbero, la barba tagliata corta, Lahssen non ha mai saltato un giorno di lavoro. Anzi una notte, perché è di notte che lavora, ogni notte, nel deposito della stazione di Forest, a pulire i treni. Di giorno in giro per commissariati e tribunali. Poi, negli ultimi mesi, alla Camera, per assistere assieme a Nabela alle sedute della Commissione d'inchiesta. Di notte al lavoro, rifiutando ogni offerta di riposo dei colleghi, perché come potrebbe dormire, comunque, col pensiero della piccola Loubna che non lo abbandona? Il Belgio scopre questa famiglia povera e tenace il 13 agosto scorso, quando il piccolo giudice di Neufchateau, Marc Connerotte, riesce ad inchiodare Marc Dutroux, il mostro di Marcinelle. Due giorni dopo nella sua cantina verranno trovate vive Sabine Dardenne e Laetitia Delhez. L'emozione è enonne. Le famiglie dei bambini scomparsi si sono organizzate, raccolgono fondi, hanno propri avvocati. Nabela suscita curiosità, con quei suoi ocelli dolci, quel suo filo di voce tranquilla, il capo coperto. Presto la curiosità si trasformerà in rispetto e ammirazione. Ad ottobre, quando la Corte di Cassazione toglie l'inchiesta al giudice Connerotte, la folla tenta di dare l'assalto al Palazzo di Giustizia. Nabela si fa avanti, scortata dal padre taciturno, e in un megafono dice poche semplici parole: «Non è con i disordini che arriveremo a qualcosa». Il suo intervento è accolto da un'ovazione. Da allora la giovane marocchina è diventata celebre. Le sue labbra carnose, il suo volto rotondo sono divenuti familiari a tutti gli abitanti del Paese. Tv e rotocalchi ne fanno rimbalzare l'immagine ogni giorno. Il primo ministro JeanLuc Dehane la incontra, le parla al telefono. Re Alberto e la regina Paola la ricevono a Palazzo reale. Alla Camera è ormai di casa. Giovedì sera, quando una folla di giovani marocchini furibondi minaccia di assaltare il comune di Ixelles, il quartiere dei Benaissa, è a Nabela e a suo padre che la polizia va a chiedere aiuto. I due arrivano, come sempre assieme. Lahssen parla, finalmente, per la prima volta parla. Ma in arabo. E per i belgi è ancora come se fosse muto. Poi parla Nabela. «Dover portare il lutto dopo tanta attesa è difficile. So che in tutto questo tempo la nostra piccola Loubna è divenuta anche vostra. La collera che è nei vostri cuori è legittima, capiamo la vostra rivolta. Ma nel vostro cuore c'è anche amore per Loubna. In nome di quest'amore, affinché le si possa dire addio in tutta serenità, af¬ finché lei sia fiera dell'omaggio che le rendete, vi chiediamo di restare calmi, di dominare la collera. Si potrebbe distruggere la terra intera, ma il suo sorriso non tornerebbe. Voglio darvi fiducia e dirmi che verrete a rendere l'ultimo omaggio a Loubna in serenità. Sono le testimonianze che ci fanno più piacere, non dei vetri rotti. Adesso andate a casa». E l'hanno ascoltata. Non c'è stata rivolta grazie a Nabela. I funei ali di Loubna si sono svolti come lei voleva, come volevano Lahssen e Harissa: con i genitori degli altri bambini straziati dai pedofili, nella moschea, infedeli tra i musulmani, perché per i Benaissa sono fratelli e sorelle di sangue, il sangue dei bambini morti. Ancora una volta Nabela ha preso la parola, tranquilla. «Ci hai lasciato quel mattino saltellando, e il mostro era lì, in attesa. Ti abbiamo cercata dappertutto, passavamo tutti i gior¬ ni da lì. Ma tu, volgarmente, ori in un baule in fondo a una cantina. Gli uomini che avevano il potere di trovarti non l'hanno fatto. Spero che non possano mai più dormire la notte. Altri ti hanno cercata con tutte le loro forze. Ma sono arrivati tardi. Siamo in qualche modo sollevati di averti trovata. A nome di nostro padre, di nostra madre, dei nostri fratelli, ti prometto formalmente che faremo tutto il possible per cercare la verità, e la troveremo. Oggi ci siamo riuniti attorno al tuo sorriso al di là delle divisioni linguistiche, religiose, etniche. Domani, spero, saremo uniti nell'amore. Loubna, ora posso finalmente dirti arrivederci». E per la prima volta la voce ha tradito Nabela. Le si è rotta, ma appena un poco, perché il padre la guardava. E si è ripresa subito Nabela, la voce dei Benaissa. Fabio Squillante 'a sorella della piccola vittima è diventata simbolo della lotta contro gli orrori, della pedofilia. Ha solo 18 anni, ma una saggezza infinita e una forza d'acciaio «Ci hai lasciato quel mattino saltellando, e il mostro era lì, in attesa. Ti abbiamo cercata dappertutto, passavamo tutti ì giorni da lì» ILGRIPO DI DOLORE «Ma tu eri in un baule infondo a una cantina. Gli uomini che avevano il potere di trovarti non l'hanno fatto. Spero che non possano mai più dormire la notte» «A nome di nostro padre, di nostra madre, dei nostri fratelli, ti prometto formalmente che faremo tutto il possibile per cercare la verità e la troveremo» w ■-.,>;■>■-■ ::;...: :-\':*V. 7v \ 7 I r Nella foto grande, due sorelle di Loubna coprono la bara della vittima con un broccato, ieri nella moschea nel centro di Bruxelles. Sopra, re Alberto del Belgio. A destra Nabela sorella maggiore della piccola Loubna, durante il discorso alla fine della cerimonia

Luoghi citati: Belgio, Bruxelles, Marocco