«Doveva far strage a Tienanmen» di Fernando Mezzetti
Pechino ammette: un attentato. Il timer è scattato in anticipo. Forse 5 i morti Pechino ammette: un attentato. Il timer è scattato in anticipo. Forse 5 i morti «Doveva far strage a Tienanmen» La bomba sul bus PECHINO DAL NOSTRO INVIATO Nell'esaltazione della stabilità e della continuità, si è fatto avanti il terrorismo portato al cuore del potere. Fonti ufficiali dichiarano che l'esplosione avvenuta l'altra sera nel centro della capitale, a Xidan, mentre era in corso la sessione annuale dell'Assemblea del popolo, è stato un attentato. Si sono avuti venti feriti, nessun morto. Non sono confermate quindi le due vittime mortali di cui le agenzie di stampa internazionali hanno parlato poche ore dopo l'esplosione, confermandole ieri riferendosi a fonti non ufficiali. Per la tv di Hong Kong i morti sarebbero stati cinque, ma non si sa quale sia la sua fonte. Al di là del numero delle vittime, il dato certo è che si tratta di un atto terroristico. Secondo le prime ricostruzioni, l'ordigno a tempo, regolato con un timer da lavatrice, sarebbe dovuto scoppiare mentre l'autobus transitava sulla piazza Tienanmen. E' invece esploso prima, comunque a poche centinaia di metri dai luoghi del potere. Nessuno ha finora rivendicato l'attentato, che segue quelli avvenuti in Xinjiang, la regione occidentale storicamente abitata da musulmani uighuri, il 25 febbraio, in occasione dei funerali di Deng Xiaoping. Sugli attentatori è stata messa una taglia, benché non precisata: cospicue ricompense sono state promesse a chi darà informazioni valide. Poche ore prima dell'esplosione, da Alma Ata, in Kazakhstan, un esponente di uno dei movimenti separatisti uighuri parlando delle rivolte avvenute nella regione agli inizi di febbraio e obliquamente riferendosi agli attentati del 25 febbraio, aveva esaltatato l'attività di un non meglio identificato «partito di liberazione uighura», che si prò pone come obiettivo «la lotta contro gli oppressori cinesi». Lungo l'arco geografico che va dal Golfo Persico alla Mongolia l'attenzione del mondo musulmano si concentra criticamente su una Cina che ha sempre fatto di tutto per conquistarne le sim patie. L'Arabia Saudita esprime preoccupazione per il tratta mento dei musulmani nel Cele ste Impero. Dall'Iran, malgrado gli stretti rapporti anche di natu ra militare con Pechino, arrivano tramite i giornali aspre de nunce per la «soppressione di musulmani in Cina». La Turchia tace, concentrata sull'ingresso in Europa, ma dimostranti bruciano ad Ankara la bandiera cinese davanti all'ambasciata. Le organizzazioni uighure più attive in esilio sembrano quelle basate in Kazakhstan: uno dei leader vi è cresciuto alla scuola sovietica fin dagli Anni Sessanta, nel pieno della tensione tra Urss e Cina. Ma ora sono in gioco altre sfere di influenza. Gli uighuri sono sunniti, ma nella protesta si uniscono la dinastia saudita e gli ayatollah, di opposto rito. «Il Xinjiang sta diventando un punto scottante, una fonte di pericolo per la stabilità nella regione», dice un diplomatico di una Repubblica dell'Asia centrale sorta dal crollo sovietico. Un elemento che insidia e mette a severa prova la Cina del dopo Deng. Fernando Mezzetti Una via della nuova Pechino con i cartelloni pubblicitari della Coca-Cola
Persone citate: Deng Xiaoping
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