Agli insorti un'altra città Argirocastro

9 Il presidente Berisha propone elezioni immediate ma i ribelli rifiutano: vogliamo più tempo Agli insorti un'altra città/ Argirocastro Napolitano: non daremo asilo ai profughi illegali TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Una quinta città dell'Albania meridionale è caduta nelle mani dei ribelli: Argirocastro, 250 chilometri a Sud di Tirana, presso la frontiera con la Grecia. Secondo le tv elleniche la sommossa è scoppiata dopo l'arrivo di truppe aerotrasportate che si preparavano ad assaltare la vicina Permet. Questo ha provocato l'ira degli abitanti, che hanno catturato il comandante del contingente senza che i soldati (sufficienti a riempire tre grossi elicotteri) opponessero resistenza. Dopo avegli tolto uniforme e berretto i ribelli gli hanno ordinato di leggere in un microfono gli ordini ricevuti. La collera della gente è cresciuta ancora fino a scatenare il saccheggio di due depositi dell'esercito, le cui ar- mi sono state distribuite agli abitanti. Anche l'aeroporto è caduto in mano agli insorti. Intanto si continua a trattare. E' una trattativa logorante, perché qui nessuno dà nulla per nulla e il peggio è che nessuno è disposto a cedere per primo perché c'è il rischio di un equivoco colossale: chi dice sì per primo, lo fa solamente perché si sente più debole e non perché sia maggiormente ragionevole. Si è mossa l'Europa per convincere il presidente Sali Berisha a mostrare flessibilità, ma quello che gli hanno chiesto le opposizioni brucia: elezioni anticipate. E forse lui accetterà, potrebbero esserci, le urne, fra 45 giorni: questa è la concessione di Berisha, ma le opposizioni hanno ribattuto che in un periodo cosi breve non sarebbe loro possibile organizzarsi e hanno chiesto invece di indirle a scadenza di due o tre mesi. Da Valona e dal Sud in tumulto echeggiano echi contraddittori, ma che si possono tradurre in un grido: «Berisha vattene!». Lui, il presidente, ieri aveva il volto teso e quando Franz Vranitzky, rappresentante dell'Osce, l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea, che fu Cancelliere d'Austria ed è indicato come grande amico del presidente, è tornato dall'incontro, ha detto: «Abbiamo chiesto che la tregua venga prolungata di 48 ore perché questo aiuterebbe il dialogo». L'ex Cancelliere ha avuto una giornata frenetica, prima l'incontro col presidente, poi quello con i rappresentanti dell'opposizione. «Abbiamo con¬ statato la volontà di continuare a trattare e abbiamo detto che, a ogni costo, dev'essere evitato il ricorso alla violenza. Insomma, altre 48 ore potrebbero essere utili per mettersi intorno a un tavolo». Ma il ministro greco Janos Kranidiotis, lui pure qui a Tirana, ha dato l'impressione di esser meno soddisfatto dopo i suoi rendez-vous. «Ho trovato molte chiusure». Ma forse parlava dei problemi che affliggono la comunità greca, al Sud. Nella partita appena cominciata nessuno vorrebbe andare a vedere i bluff, perché può sempre costar caro pretendere di guardare le carte dell'avversario. Forse lo sanno quelli di Valona, che dichiarano di non cedere le armi, se non cede Berisha, ma subito dopo avvertono che «come le abbiamo prese in un giorno, in un giorno le restituiamo». E il presidente deve aver contato i suoi. Lo sa bene di doversi destreggiare fra due gruppi, e fra i duri ci sono i due fedelissimi di vecchia data. Trita Shehu, per esempio, che è ministro degli Esteri e, si dice, in pectore primo ministro, lo stesso che a Lushnja, in gennaio, fu catturato e malmenato dalla gente furibonda per il crack delle finanziarie. E c'è pure Alexandr Meksi, vecchio primo ministro sacrificato nel tentativo di prendere tempo. Lui, a Berisha, ripete: «Hai già dato me, non dare altro». E poi ci son le colombe, il «gruppo dei 14», e fra loro Bashkim Kopliku, che ammette: «Abbiamo fatto molti sbagli, abbiamo fatto le leggi democratiche ma non abbiamo applicato la democrazia. Che non c'è neppure dentro il nostro partito. E il governo avrebbe dovuto dimettersi, già a no¬ vembre». Ma non è soltanto la voce dei dissidenti a non dare tranquillità. In altre parole, da questi primi giorni di braccio di ferro il presidente Berisha ha ricevuto segnali precisi. Per esempio, i suoi 200 carri armati non rappresentano quanto di meglio si possa trovare in giro, ma forse di peggio, ed efficienti non sarebbero più di una cinquantina, soprattutto non c'è da giurare sulla fedeltà dei carristi. E da ieri, al di là dell'Adriatico, Lamerica non c'ò più. Una nota del Viminale e dnì ministero degli Esteri sottolinea che «non c'è motivo di ritenere che la situazione in Albania giustifichi di per sé la concessione dell'asilo politico a coloro che, giunti in Italia, ne facciano richiesta». E anche questo, per il presidente Berisha, è un problema, [v. tess.] Secondo le tv greche ì nuovi ribelli avrebbero assaltato i depositi militari e preso il comandante delle truppe regolari Il rappresentante dell'Osce Vranitzky cerca di convincere Tirana a prolungare di 48 ore la tregua che scade oggi * *

Luoghi citati: Albania, Austria, Europa, Grecia, Italia, Tirana