Albertini: sono solo un sciur Brambilla di Chiara Beria Di Argentine

Il candidato del Polo a Palazzo Marino: «Sono grato al Cavaliere per avermi scelto, ma non sono il fantoccio di nessuno» Il candidato del Polo a Palazzo Marino: «Sono grato al Cavaliere per avermi scelto, ma non sono il fantoccio di nessuno» Albertini: sono solo un sciur Brambilla «Il Comune è un 'impresa che deve dare vita e lavoro migliori» IL RIVALE DI FUMAGALLI IMILANO 0 non faccio parte deli'alta borghesia milanese, semmai ne fa più parte Aldo Fumagalli che ha un'azienda da 400 miliardi di fatturato. Anche se ho studiato dai gesuiti, al Leone XIII, io sono il tipico signor Brambilla. Un Brambilla che si chiama Albertini». Arriva all'appuntamento in Vespa, non è abbronzato, siede con le gambe divaricate, scherza persino sulla sua calvizie: Gabriele Albertiin, 46 anni, candidato sindaco a Milano per il Polo, al primo impatto sembra tutto meno che un clone dell'imprenditore o professionista che si dà alla politica puntando sull'immagine dell'uomo di successo. La sua estrazione e formazione è certo borghese come alla borghesia appartiene Fumagalli, scelto dall'Ulivo per la corsa a Palazzo Marino. Albertini 8- Fumagalli, due- candidature che sono state subito interpretate come il segnale che il mondo della produzione a Milano ha deciso d'impegnarsi in prima persona dopo gli anni della delega - se non del disprezzo e dei compromessi - ai pulitici di professione. «Non sono un politico», ripete Albertini e racconta di aver percepito un clima di grande attesa, quasi che a Milano si stia sperimentando una nuova classe di governo. Una sfida non semplice. Prima di tutto - come ha avvertito Piero Bassetti, presidente della Camera di commercio chi vuole conquistare Palazzo Marino deve convincere quei ceti medi e medio-piccoli, zoccolo duro della Lega a Milano. Non sono un potente, sono un Brambilla: dunque, è solo tattica elettorale l'ostentata modestia di Gabriele Albertini? La risposta è più complessa. Come si rivela ben più sfaccettato il personaggio: un ragazzo del '50 sideralmenle lontano dal '68 (((Alla Statale ho rischiato le sprangate dei katanga. Dicevano che avevo la "faccia da sanbabilino", non sapevo che per loro significava fascista»); un padrone che si e autoridotto, quando c'erano problemi, lo stipendio a 4 milioni e mezzo al mese. E che forse ha persino un cuore dietro al suo aspetto da primo della classe mai sfiorato dal dubbio su ciò che fa. «Mi viene da rabbrividire», confessa ripensando ai 10 giorni che hanno cambiato la sua vita. «Quella privata, poi, e totalmente sconvolta», dice. E spiega che la sua compagna Giovanna Morerio ha deciso che non comparirà mai, né in campagna elettorale né ai suo fianco in occasioni ufficiali se mai verrà eletto. Una first lady ombra come le signore Pertim e Cossiga? «Ottimi esempi», risponde ridendo. Quanto alla sua candidatura, Al- bertini insiste: «Non l'ho né cercata né desiderata. Penso di essere stato scelto por il modo dignitoso con cui ho svolto il imo lavoro nell'azienda, in Assolombarda e alla presidenza di Federmeccanica». Bene, bravo, promosso. Sarà stata una premonizione la scelta della tesi di laurea in crimmologia alla facoltà di Giurisprudenza, titolo «Il delinquente politico», discussa con il professor Ponti? Di certo se fosse un crimmale Albertini sarebbe un killer tanto pignolo da non lasciare tracce. Forse non è un caso che il figlio di un piemontese (il padre Cesare era di Casale Corte Cerro, provincia di Novara), orfano a soli 15 anni, educato da suo fratello Carlo Alberto che aveva smesso gli studi per far andare avanti l'azienda di famiglia, ritorna con la memoria ai suoi anni di liceale. A quando padre Egidio, dopo 45 minuti d'infernale interrogazione su Esopo, lo rimandò al posto con un brutto voto: non perché il giovane Albertini non fosse superpreparato ma perché reo di «saccenteria fastidiosa». Una scuola di vita, utile anche per gli incontri ad Arcore e per la campagna elettorale. Poi c'è la fede. Il suo credo Albertini l'ha recitato nella prima intervista rilasciata, nell'80, quando era presidente dell'organizzazione zonale dell'Asso- lombarda (nata nel '69 per controbattere la Firn) e il suo nome venne ritrovato in un documento, la risoluzione strategica numero 5, nel covo del brigatista Corrado Alunni. Sosteneva Albertini: «Come industriale, mi considero uno dei più grandi rivoluzionari della storia, perché chi ha cambiato l'uomo, chi ha rivalutato l'individuo, non è stata la rivoluzione marxista, è stata l'mdustrializzazione». Oggi rilegge quelle parole e aggiunge: «La vera solidarietà è nell'impresa». Al centro del suo universo ci sono quelli che lui chiama gli «incominciatori di attività» che, secondo il suo pensiero, «sono portatori di civiltà». Certo l'uomo è duro, un liberista convinto che a parlargli delle nuove povertà nella grande metropoli replica: «La risposta più corretta da dare ai bisogni è una sintesi tra volontariato e imprenditorialità». Già, ma che immagine ha il candidato Albertini di Milano? «Quella di una città zoppa, squilibrata. Da una parte c'è la capitale economica che produce l'I 1% del Pil e paga il 20% dell'Iva, la città delle grandi imprese, della tecnologia, delle cinque università, della Scala. Dall'altra la città delle periferie desolanti, mal collegate, senza servizi. Il mio obiettivo è che l'impresa Comune sappia offrire al cliente-cittadino una qualità di vita ma anche di lavoro migliore». Qualità significa però anche questione morale. O no? Candidato di Berlusconi a sindaco del dopo-Tangentopoli, Gabriele Albertini, a differenza di Fumagalli che ha più volte solidarizzato con il pool di Mani pulite, è finora rimasto al coperto. «Noi rispettiamo la magistratura come istituzione dello Stato» dichiara Albertini. Per il resto, si richiama alla proposta di uscita da Tangentopoli che Ennio Presutti, presidente di Assolombarda, fece fm dall'ottobre '92: accelerazione dei processi, pene più severe ai corrotti, impunità ai corruttori che collaborano, restituzione del maltolto, «un punto molto ùnportante» chiosa Albertini che ha molto ragionato sui codici etici per le imprese e ammette: «Aveva ragione Di Pietro quando parlava di dazione ambientale, bisognava voltar pagina». Eppure quella proposta che avrebbe fatto di Milano la città simbolo di una nuova stagione anche imprenditoriale non è decollata. Perché? «Colpa - secondo il candidato del Polo - degli attacchi concentrici sferrati a questa o a quell'impresa». Ovvero alla Fininvest di Silvio Berlusconi. E sull'ultima domanda, su come farà il candidato di Berlusconi, imprenditore dai molteplici interessi, a fare il sindaco di tutti i milanesi, Albertini sfodera la sua grinta: «Sono grato a Berlusconi e condivido le sue idee su Milano, ma sia ben chiaro: io non sono il fantoccio di nessuno». Chiara Beria di Argentine Gabriele Albertini 46 anni è il candidato sindaco di Milano per il Polo Si confronterà con Aldo Fumagalli candidato dell'Ulivo