«Non potevate arrestare Necci»

«Non potevate arrestare Necci» La decisione per «totale insussistenza degli indizi di colpevolezza». Cardino: no comment «Non potevate arrestare Necci» La Cassazione azzera l'indagine della Spezia LA CATTURA IL 15 SETTEMBRE LA LIBERTA' IL 20 NOVEMBRE 15 settèmbre 1996. Lorenzo Necci entra nel carcere di La Spezia nella notte tra sabato 14 e domenica 15 settembre. Lo arrestano le Fiamme Gialle nella sua villa di Marina Velca, nei pressi di Tarquinia. Le accuse: associazione a delinquere finalizzata ai reati contro la pubblica amministrazione, peculato, corruzione aggravata, abuso d'ufficio, false comunicazioni sociali, truffa in danno delle ferrovie. Dice il pm Alberto Cardino: «Per me l'inchiesta è praticamente conclusa. Rinviare l'arresto sarebbe stato impossibile». Con lui finiscono in carcere Francesco Pacini Battaglia ed Emo Danesi. 16 settembre. I difensori dell'amministratore delegato delle Ferrovie protestano. «A 24 ore dall'arresto - dichiara l'avvocato Federico Stella - non sappiamo neppure quali sono le accuse». 17 settembre. Romano Prodi è a Valencia, in Spagna: «L'arresto di Necci preoccupa profondamente per l'immagine del Paese - dice - ma l'attività dell'Ente Ferrovie non subirà alcun ritardo». Le opposizioni, intanto, attaccano i magistrati: «Siamo seduti su una polveriera - dice Tiziana Parenti - Si sta ricominciando con un clima di terrore che non risparmia nessuno». 22 settembre. Scalfari] difende i magistrati spezzini: «Quando una ferita è grave guai a non usare il bisturi». 23 settembre. Il gip Diana Brusacà respinge la richiesta di scarcerazione. «C'è pericolo di reiterazione dei reati», spiega. 2 ottobre. Il gip Brusacà respinge la seconda istanza di scarcerazione. Anche se Necci si è formalmente dimesso dall'incarico di amministratore delegato dall'Ente Ferrovie. 3 ottobre. Altra accusa per Necci. David Monti, pm ad Aosta che indaga sull'inchiesta Phoney Money, avanza una nuova ipotesi di reato: «Costituzione di associazione segreta». 6 ottobre. Clamorosa dichiarazione dell'avvocato Alfonso Stile, difensore di Necci. «Il mio assistito aveva uno stipendio da fame: solo 280 milioni lordi l'anno... 9 ottobre. Il tribunale della Libertà di Genova interviene sulla vicenda: Necci resta in carcere, ma solo per il reato di associazione a delinquere. Per i giudici del riesame, comunque, sussistono anche gli altri reati di cui Necci è accusato. 17 ottobre. I difensori di Necci presentano ricorso in Cassazione. Sollevano anche l'eccezione di com¬ petenza per i magistrati spezzini. 2 novembre. Il gip di La Spezia concede a Necci gli arresti domiciliari. «Se ci sono ancora, è grazie all'umanità che ho ricevuto», dice Necci. 20 novembre. Necci toma in libertà. «Mi sento come uno che per 60 giorni non ha visto la luce e adesso la rivede», dice. 26 novembre. I tre filoni principali dell'inchiesta spezzina vengono passati, per competenza, alla procura di Perugia. 8 gennaio 1997. Necci rilascia un'intervista a «Porta a Porta», il programma televisivo di Bruno Vespa. A quattro mesi dall'arresto dice di non sapere perché sia accusato. «Non so che cosa sia successo né perché sia successo», [g. tib.] LA SPEZIA. Non c'è futuro per Tangentopoli Due. L'inchiesta che ha mandato in carcere il responsabile della più grande azienda del Paese rischia di essere archiviata come un grande bluff. Lorenzo Necci non è colpevole. Così ha deciso la sesta sezione della Corte di Cassazione che ha annullato ieri, senza rinvio, l'ordinanza di custodia cautelare adottata dal gip della Spezia Diana Brusacà per totale insussistenza degli indizi di colpevolezza. Il ricorso era stato presentato dagli avvocati dell'ex amministratore delle Ferrovie dello Stato Paola Balducci e Alfonso Stile. E alla domanda: «Ora procederete contro i magistrati che hanno incriminato il vostro assistito?», così risponde Balducci: «Nessuna rivalsa, per ora pensiamo a brindare, poi penseremo anche alle strategie processuali». Perché «il processo resta - spiega Balducci - la Cassazione non si può sostituire al magistrato che svolge le indagini. La svolta nell'inchiesta comunque è enorme. Dalle stesse carte Necci appare come una persona che non aveva contatti con quella gente». Insomma, secondo l'avvocato e secondo la Cassazione, Necci non avrebbe niente a che fare né con il banchiere toscano-ginevrino Francesco Pacini Battaglia né con l'ex democristiano Emo Danesi, accomunati con l'ex amministratore delle Ferrovie in un'associazione a delinquere per corruzione e truffa ai danni della pubblica amministrazione. Per Lorenzo Necci e per i suoi coimputati le manette scattavano la mattina del 15 settembre scorso. Uno choc per il Paese che scopriva di essere manovrato da una lobby di potere di cui avrebbero fatto parte persino magistrati disponibili a truccare processi. Finirono in galera, infatti, anche Roberto Napolitano, procuratore della Repubblica di Grosseto, e Orazio Savia, procuratore di Cassino. Necci, dal canto suo, era sospettato di aver acquistato per conto delle Ferrovie dello Stato pacchetti azionari di aziende private ad un prezzo superiore a quello di mercato. E dubbi gravissimi si accentravano sul denaro avuto da Pacini Battaglia. Venti milioni e più al mese per sé e la moglie Paola. Dagli atti emergeva inoltre che la figlia di Necci, Alessandra, aveva ricevuto da Pacini Battaglia 150 milioni. «Apparentemente» diceva l'accusa a saldo di una consulenza finanziaria, ma i sospetti erano altri. Dopo quaranta giorni di isolamento nel carcere di Villa Andremo della Spezia Necci si difende dicendo che si trattava di prestiti. Semplici mutui per poter sostenere un tenore di vita che con lo stipendio delle Ferrovie dello Stato era impossibile mantenere. La maxiinchiesta, che per ragioni di competenza territoriale è passata nei mesi scorsi in parte a Perugia in parte a Brescia, ha provocato le dimissioni di Antonio Di Pietro da ministro dei Lavori Pubblici. L'ex simbolo di Mani Pulite, più volte oggetto di conversazione da parte di Pacini Battaglia, ò ora impegnato a difendersi contro il sospetto di aver in qualche modo favorito imputati eccellenti. Un'inchiesta, insomma, interamente costruita su intercettazioni ambientali nelle stanze frequentate dal banchiere Pacini Battaglia. Conclude Balducci in proposito: «A Necci è stato fatto un ordine di custodia cautelare basato su stralci di intercettazioni ambientali pieni di omissis e senza sbobinature integrali». Il pm Alberto Cardino, primo titolare dell'inchiesta, ieri sera ha incassato il colpo opponendo ostinati «no comment» ad ogni domanda. «Non rilascio dichiarazioni sul merito», gli ha fatto eco il gip Diana Brusacà, che ha firmato la custodia cautelare relativa al capo di accusa. Ma la decisione della Corte rimette in discussione l'operato dei giudici spezzini?, le hanno domandato i cronisti. Risposta: «A questo proposito ricordo che c'è un'altra ordinanza della stessa Cassazione che conferma l'associazione per delinquere nei confronti di Pacini Battaglia. Inoltre, il Tribunale della libertà di Genova all'epoca ha confermato il provvedimento restrittivo nei confronti di Lorenzo Necci». Donatella Bartolini I suoi avvocati «Svolta enorme Per ora pensiamo a brindare, poi ci occuperemo delle strategie per il processo» Il gip Brusacà frena «Ricordo solo che il tribunale della libertà aveva confermato la misura restrittiva» L'inchiesta provocò anche le dimissioni di Di Pietro da ministro per le conversazioni di Pacini Battaglia Da sinistra: Pacini Battaglia, Danesi, il pm di Aosta David Monti e i pm spezzini Cardino e Franz