BONATTI SUL DRU: SEI GIORNI DI ARRAMPICATA E CINQUE BIVACCHI

Km Km m Equipaggiamento usalo per l'assalto al K2 nel '55 ELL'estate del 1955, nel gruppo del Monte Bianco si registra una scalata incredibile: dal 17 al 22 agosto, da solo, Walter Bonatti percorre il pauroso spigolo Sud Ovest del Petit Dru. Sei giorni di arrampicata e cinque di bivacchi. Dell'avvenimento si occupa Carlo Moriondo. Il primo servizio esce domenica 21 agosto («Bonatti è aggrappato da quattro notti su una inviolata parete a strapiombo»); l'ultimo, due giorni dopo. In vetta, l'alpinista lombardo viene raggiunto dagli amici che portano con loro una radio, e di lassù parla con Moriondo, che segue la scalata dalla terrazza di Montenvers, senza mai allontanarsi dal telescopio. Bonatti chiama alle 16,54: «Mi senti? Sono Walter, sono Walter! Sono arrivato in punta al Dru. Sono felicissimo. I brani di questa pagina sono tratti dal catalogo che accompagna la mostra, e che è in vendita al museo e in libreria a 40 mila lire. L'allestimento propone un viaggio nel tempo e nella memoria di oltre cent'anni, e racconta con testi e immagini, come il quotidiano La Stampa, ha trattato l'argomento «montagna» in tutte le sue accezioni, dall'alpinismo allo spopolamento, dalla cronaca di incidenti e catastrofi (come il Vajont), alla nascita dello sci e alle spedizioni oltreoceano. Gli orari del Museo. Dal martedì al venerdì continuato: 8.30-19.15. Sabato, domenica e lunedì: 9-12.30/14.45-19.15. Ingresso 8 mila, ridotto 5 mila, soci Cai 4 mila. Il biglietto comprende la visita non solo della mostra «Pagine di montagna», ma di tutte le collezioni del Museo, e permette di assistere alle proiezioni a ciclo continuo dei videomontagna. Informazioni 011/6604.104. La mostra resterà aperta fino al 16 marzo. Gervasutti». Una gran bella salita. Con sorpresa: nella prima parte della via, «Mauro scorge, alla sua sinistra, incastrati in una fessura, un sacco ed una piccozza. Sono certamente di Gervasutti». Presto l'orizzonte alpino diventa stretto. La conquista dell'Everest impegna il giornale con una decina di servizi. Il 2 giugno 1953, l'annuncio della salita è in prima pagina («L'Everest conquistato dagli alpinisti inglesi»). Il servizio, accompagnato da due fotografie, è siglato «r. a.», Riccardo Aragno, corrispondente del giornale da Londra. Ma sulla «Nuova Stampa», la scalata dell'Everest è niente rispetto al K2 della spedizione Desio. La grandezza dell'impresa, l'orgoglio patriottico, la scoperta che il racconto della scalata «tira» e fa vendere, fanno della scalata un avvenimento di prima grandezza. Come gli altri giornali dell'epoca, il quotidiano torinese non fa eccezione. La prima pagina del 4 agosto 1954, è tutta per il K2: tre fotografie e una carta, nove colonne intere di testo, apertura di Paolo Monelli, grande firma del giornale, servizi da Rawalpindi e da Roma. In sesta pagina, il seguito: «Come fu organizzata la spedizione degli italiani», con interviste raccolte dalle guide di Courmayeur, l'opinione dei «tecnici» e un sondaggio sui pareri degli scalatori inglesi dell'Everest. Le firme dei servizi sono quelle di Francesco Rosso, Carlo Moriondo e Riccardo Aragno. Il giorno dopo, di nuovo in prima pagina, una corrispondenza da Rawalpindi a firma di M. Karin, della Reuter, solleva la questione sul nome dei primi salitoli. «Il prof. Desio non ha ancora rivelato il nome di coloro che giunsero in vetta», scrive Karin. Che subito dopo aggiunge: «E' probabile che questi debbano trovarsi fra una rosa assai ristretta, comprendente cioè Achille Compagnoni, Ubaldo Rey, Walter Bonatti, Lino Lacedelli». Ufficialmente, dunque, non si sa nulla, ma è lecito supporre che ci sia stata qualche «soffiata». Anche perché il servizio conclude dicendo che «le maggiori probabilità vanno ad Achille Compagnoni che per la sua abilità, la sua esperienza, la sua eccezionale struttura fisica era ritenuto il più adatto a portare a termine l'assalto finale». sono felicissimo: finalmente posso bere e mangiare. Sto sbranando un pollo. Ora devo soltanto mangiare». A conclusione della vicenda, mercoledì 24 il giornale pubblica un resoconto firmato dallo scalatore. Bonatti lo aveva promesso alla partenza: «Se arrivo in cima, lo scriverò io un articolo per "La Stampa"». La ricostruzione della straordinaria ascensione è chiara e precisa, l'alpinista non sorvola su nulla. Accenna persino al famoso lancio di corda: «Vorrei spiegare come ho fatto, ma non ci riesco», racconta Bonatti. «Dico soltanto che ho percorso almeno cinque metri appeso alla corda totalmente nel vuoto. E' questo il passaggio più arduo, più pericoloso che abbia mai fatto in tutta la mia vita, ma non c'era proprio alcun altro modo per uscire dalla nicchia»... [r.m.] Roberto Mantovani

Luoghi citati: Courmayeur, Londra, Roma, Vajont