Storie di Città di Bruno Gambarotta
Storie di {fltà t Ga Storie di {fltà t Ga t Bruno Gambarotta argentini, niente a che vedere con quei volgari surrogati nostrani tipo «Creola», «Il tango delle capinere», «Vipera» o «Malafemmina». Talvolta gli amplificatori diffondono da antiche incisioni la voce tremula e immortale del mitico Carlos Gardel, il più grande, che spesso non canta in spagnolo ma in «lunfardo», un gergo diffuso tra la malavita, composto da parole anagrammate e da termini derivati da dialetti italiani e francesi. Non potrebbe essere altrimenti, visto che alla consolle c'è un disc jockey d'eccezione, Alfredo PetruzzeUi, fondatore e presidente di «El Barrio Tanguero», letteralmente «Il quartiere del tango», un circolo nato nel 1990 che conta 250 soci e che organizza queste serate al Procope. Gli argentini che vivono a Torino, quando scoprono questa dilagante passione per il loro tango, sono i primi a stupirsi. Loro che quasi si vergognano di questa immagine arcaica e folcloristica del loro Paese, come se un italiano, invitato a cena da amici svedesi, si vedesse mettere in mano un mandolino con l'invito pressante a suonarlo e a cantare «0 sole mio». Prima di questo boom inaspettato, i torinesi di origine argentina si riunivano solo per mangiare l'asado; ora invece si iscrivono al Barrio e s'affrettano, quelli che ancora non lo sanno, a imparare a ballare il tango. Con un ritrovato orgoglio per la loro «argentinitad», si impegnano anche a insegnarlo, come questo ragazzo che lo sta facendo proprio davanti a me con la sua compagna che a ogni volteggio sembra mettere il massimo impegno nel tentativo di infilzarmi un piede col tacco a spillo. Bisogna dire che nel frattempo, sono le undici e mezzo, il locale si è riempito come un uovo e le danze ferveranno fin oltre le due. Colpisce la gran mescolanza di giovani e anziani, di elegantoni e casual, di rappresentanti di ceti diversi, uniti da una sola passione, il tango. Uno dietro l'altro entrano in pista un viveur col capello tirato a lucido e incollato sul cranio, l'immancabile sciarpa di seta bianca sull'abito da sera e il papillon, e un giovanotto in giacca a vento e ponpon di lana in testa che ha appena finito di depositare al guardaroba gli sci. Inoltre si mescolano allegramente ballerini esordienti come la signorina che mi costringe a tenere i piedi in allarme rosso e danzatori provetti che piroettano con estrema eleganza. Al centro della pista si esibisce una coppia stupenda: lui con il collo del piede arpiona il tallone della compagna, lo solleva a tempo e poi lo lascia andare. Ora io mi chiedo: perché il tango esercita presso i torinesi un fascino irresistibile? Come sostiene Meri Lao, autorevole studiosa di questo ballo, al tango occorre dedicare tempo, studiarlo, applicarsi, prendere lezioni. Perciò, per un torinese, il tango ballato come si deve è come un lavoro ben fatto, che per il solo fatto di farlo procura piacere. Inoltre il tango, quello vero, offre agli introversi l'occasione di una fruizione dolorosa, è un tuffo negli insondabili moti deU'aninma. Non a caso, grandi appassionati e cultori di questo ballo sono i giapponesi e i finlandesi e a loro tempo lo furono George Bernard Shaw e il ventenne Ciu En-lai, studente e lavapiatti a Parigi. Il tango è un esercizio di concentrazione, di virtuosismo e a volte di alta acrobazia. Guai a distrarsi con la conversazione o guardandosi negli occhi. Nelle poche ore che ho trascorso avvinghiato a una sedia del «Procope» terrorizzato all'idea che qualche signora mi chiedesse di farla danzare, mi sono reso conto che il tango è ben più di un ballo fra i tanti ma ima cerimonia carica di tensione e languore, di prepotenza e morbidezza. Perciò, carissima, se vuoi ballare il tango, non contare su di me. Tuo affezionatissimo Felice Pautasso VENERDÌ'
Persone citate: Alfredo Petruzzeui, Carlos Gardel, Ciu En-lai, Felice Pautasso, George Bernard Shaw, Meri Lao
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