ROMEO & GIULIETTA

IL FILM IL FILM DELLA SETTIMANA ROMEO & GIULIETTA «Romeo & Giulietta» di Baz Luhrmann è in programmazione al cinema Doria. FORSE stiamo arrivando alla fine della fantasia. Incapaci di inventare cose nuove, i creativi provano a mescolare le vecchie, per stupire un pubblico che non riesce più a meravigliarsi di nulla. E' il trionfo dell'Ibrido. In tv Baglioni canta Heidi, Chiambretti presenta Sanremo e Mentana intervista il capitano di Star Trek. Al cinema Bugs Bunny gioca a basket con Michael Jordan in «Space Jam»: nella versione italiana, l'effetto spezzatino è dilatato dalla scelta di doppiatori casuali come Sandro Ciotti e Bistecca Galeazzi. Il capolavoro dell'Ibrido si raggiunge nella trasposizione dei drammi di Shakespeare. Dopo uno splendido «Riccardo III» ambientato negli Anni Trenta e ripreso quest'anno da Al Pacino, adesso tocca a «Romeo & Giulietta», precipitati in una Verona Beach californiana dove i Capuleti girano col chiodo e i Montecchi in camicia hawaiana, Mercuzio è un travestito e padre Lorenzo un prete operaio. La differenza con «West Side Story» è sostanziale: nell'era dell'Ibrido è solo l'immagine che cambia, mentre la parola originale viene rigorosamente rispettata. Giubbotti borchiati inneggiano a Cupido e discotecari incalliti conversano di «lombi fatali». Il messaggio dei media ci invita ad adeguare le nostre vite: giocare a pallone in smoking e mettere le ciabatte per andare in ufficio (il presidente della Rai lo fa già), mangiare gli spaghetti a colazione e un croissant a cena, andare a scuola la domenica, far l'amore alle undici del mattino e la spesa alle tre di notte: nella speranza che invertendo i fattori dell'esistenza, ci passi questo senso spaventato di esaurimento e di vuoto che attanaglia un po' tutti. Massimo Gramellini IL CINEMA DELLA RBUNIFICAZBONE Che il cinema sia l'invenzione che più si apparenta ad un sismografo, lo hanno già detto in molti. Solo così si spiega la straordinaria propensione dell'invenzione dei fratelli di Lumière a registrare ogni singola scossa, anche la più piccola, destinata a cambiare gii assetti sociali o politici dell'universo contemporaneo. Non stupisce perciò che il crollo del Muro di Berlino - un evento storico di portata mondiale, i cui effetti sono ben lungi -dall'essersi esauriti - abbia lasciato una traccia così profonda nel cinema tedesco di questi anni. Vedere per credere, la bella rassegna organizzata dal Goethe Institut Turni, dal Museo Nazionale del Cinema e dall'Università di Torino, intitolata «Il cinema della riunificazione» (al Massimo dal 12 al 17 marzo). Sono 9 film presentati, commentati e discussi - ecco la no¬ vità della proposta - da Andreas Kilb, autorevole critico del quotidiano «Die Zelt», e da Anna Chiarloni, docente di letteratura tedesca presso l'Ateneo cittadino. La rassegna ha il merito di riproporre titoli già noti - come gli straordinari «Il cielo sopra Berlino» e «Così lontano così vicino» di Wim Wenders, o «Allemagne Neuf Zèro» di JeanLuc Godard - accanto ad opere pressoché sconosciute per il pubblico italiano (alcune di queste sono sottotitolate, altre tradotte in simultanea). Nella diversità di percorsi e di letture, emergono analogie e costanti. Come l'ambizione speculare del grande affresco epico che apparenta il film di Margarethe von Trotta «La promessa» (storia di un amore contrastato sullo sfondo degli avvenimenti storici che vanno dalla costruzione del Muro alla sua caduta), a «La chiesa di Ni- Una scena delfilm «Così lontano così vicino» di Wim Wenders colai» di Frank Bayer (storia di tre generazioni di una famiglia di Lipsia). Ma il bello è che l'una è cineasta dell'Ovest, l'altro tra i maggiori registi dell'ex Germania dell'Est: dunque non sfuggirà a nessuno l'interesse di un confronto tanto inevitabile quanto ingrato. Altri film, altri linguaggi,

Luoghi citati: Berlino, Germania Dell'est, Mentana, Sanremo