DOPO WOJTYLA UN PAPA NERO?

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Gaetano Cappelli NON so niente di A ovest di Roma di John Fante, ora pubblicato da Fazi: i nostri editori sono purtroppo sempre più impegnati a confezionare quarte di copertina zeppe, invece che d: informazioni, di claim pubblicitari. Non so, per esempio, se questo libro sia posteriore al ripescaggio di Fante ad opera di Bukowski. E sarebbe curioso perché la prima e più lunga delle due storie, «Il mio cane Stupido», con protagonista un vecchio scrittore alcolizzato alle prese con i figli terribili, sviluppandosi su un facile registro comico ricorda proprio Bukowski - pur essendo scritta assai meglio di qualsiasi storia Bukowski abbia mai scritto. Fondi di cassetto riesumati dalla solita avida vedova?, o non sarà che il vero, unico Fante è quello dei malinconici riti di passaggio della giovinezza come dimostrerebbe ulteriormente «L'orgia», l'altro breve ma intensissimo racconto del volume ohe ne stravale da solo l'acquisto? ^ fc ULLA copertina del nuovo saggio di Giuseppe Boffa (in libreria da oggi) c'è una vignetta di Sergio Staine Vi si vede Bobo (o un suo gemello) in smoking, con l'aria euforica, se non proprio ubriaco, con un bicchiere in una mano e una bottiglia di champagne nell'altra, seduto su una falce e un martello che affiorano appena dai detriti. Lo guardano preoccupati e perplessi un altro Bobo (quello vero) e la figlia, con in mano una lattina, verosimilmente, di Coca Cola. Bolla vignetta, che illustra bene il titolo del libro: L'ultima illusione. L'Occidente e la vittoria sul comunismo. Boffa è il più importante storico italiano dell'Unione Sovietica, e uno dei più importanti in assoluto, non fosse altro perché ha coperto l'intero arco dell'Urss, dal 1917 al 1991 (quella sera di Natale in cui fu ammainata al Cremlino la celebre e drammatica bandiera rossa). E' anche un grande giornalista, il che gli consente di scrivere i suoi libri di storia con la chiarezza e la scorrevolezza che spesso gli storici «puri» non hanno (almeno da noi). Ma questo non è un libro di storia, benché sia anch'esso assai documentato e pieno di riferimenti alle fonti. E' un «pamphlet», in senso alto, cioè un libro di polemica e di discussione. Che comincia dove era finito l'ultimo testo storico: DaU'Urss alla Russia. Storia di una crisi non finita (anch'esso edito da Laterza, gli altri due volumi invece da Mondadori). Beh, dice Boffa, non solo la crisi non è finita, ma è molto peggiorata. E non gli mancano gli argomenti, dallo spettacolo poco rassicurante che offrono la società e la politica russa alle persistenti difficolta dell'Europa centro-orientale, per non parlare dei Balcani, fino in generale al contrasto tra la globalizzazione economica e la frantumazione crescente delle politiche nazionali, anche in Occidente. E la colpa di tutto questo, secondo l'autore, è certo dell'eredità del comunismo, ma anche e soprattutto del modo in cui si è voluto che il comunismo finisse, al suo interno e al suo esterno, saltando e bruciando l'estrema mediazione, chiamiamola così, di Gorbaciov. Naturalmente, non tutto è condivisibile, e allora, visto che discussione dev'essere, abbozziamola già qui, con qualche domanda all'autore. Dunque, Boffa, nostalgia di Gorbaciov? «No, nostalgia no. Gorbaciov e anche lui uno sconfitto, e questo è un dato che resta. Ma rendersi conto che l'accantonamento delle sue proposte di evoluzione dell'Urss e dei rapporti intemazionali non ha giovato a nessuno, questo sì». Quindi l'Urss, il suo sistema totalitario, era riformabile? Non è che, appena toccato seriamente, il sistema è crollato su se stesso? «Io penso che tutto nel mondo sia riformabile. Dipende dai tempi e dai modi. Un'introduzione graduale di elementi di mercato e di metodi democratici di governo avrebbe potuto modificare profonda- Giuseppe Boffa mente l'Urss, anche trasformarla in un'altra cosa, ma salvando certi aspetti importanti. Invece si è scelta un'altra strada». Ma l'Occidente ha cercato di aiutare Gorbaciov, penso alla partecipazione al G7 di Londra nel 1991, al sostegno che gli diede Bush durante il golpe di agosto... «Era troppo tardi, la crisi era ormai inarrestabile. Poi è rimasta una grande ammirazione per il personaggio, che non annulla l'assenza di risultati politici». In chiave appunto gorbacioviana, nel libro si lamenta che, anziché un superamento dei blocchi, si sia decisa la cancellazione di uno di essi, mentre era necessaria una ((sintesi superiore». Cos'è una sintesi superiore? «E' il superamento della tesi e dell'antitesi, alla luce di interessi comuni, superiori ai vecchi motivi di divisione. Non è un'idea peregrina, ha radici lontane, nel pensiero di Sakharov, e anche in quello di Einstein...». Nel libro non si fa alcuno sconto, per così dire, ai problemi della transizione, nei Paesi ex comunisti. Si vede la BIBLIOGRAFIA Macerie di un crollo I L crollo repentino dell'Unione Sovietica e dei sistemi comuni§ sti è il maggiore avvenimento storico dopo la seconda guerra mondiale. Sulle sue conseguenze, e sulle incerte prospettive per il futuro, segnaliamo cinque saggi, di grandi autori internazionali. 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa, di Ralf Dahrendorf, sotto forma di una «lettera immaginaria a un amico di Varsavia», indaga sulle cause del crollo comunista, sul ruolo della Germania e sull'avvenire delle società postcomuniste dell'Est europeo (Laterza, 1990). // mondo fuori controllo, di Zbigniew Brzezinski (già autore de // grande fallimento, che anticipava il collasso dell'Urss) esamina i fenomeni di disgregazione del dopo-guerra fredda, e intravede una soluzione possibile in una «interdipendenza democratica» a livello mondiale (Longanesi, 1993). Riflessioni sul nuovo ordine mondiale è il titolo della parte conclusiva di un più ampio saggio di Henry Kissinger, centrato sulla necessità di una faticosa ricerca di equilibri, oggi come ieri {L'arte della diplomazia. Sperling & Kupfer, 1996). // passato di un'illusione, di Francois Furet, opera ormai classica, è la storia, non dell'Urss o di altri sistemi, ma dell'«idea comunista nel XX secolo», e della sua crisi, non necessariamente della sua fine, come «richiesta democratica di una società diversa» (Mondadori, 1995). Infine, // secolo breve, di Eric Hobsbawm, famoso storico inglese, già comunista, come in gioventù anche Furet, è un'analisi a tutto campo delle accelerazioni, e delle perversioni, della storia del Novecento, e del suo epilogo, guardando all'insondabile secolo venturo (Rizzoli 1995). [a. r.] metà vuota del bicchiere e non quella piena... «Ma il bicchiere è quasi tutto vuoto, c'è appena un fondo di qualcosa. Per esempio, un principio di democrazia in Russia, peraltro instaurato anch'esso da Gorbaciov. Economicamente, anche i più evoluti Paesi dell'Europa centroorientale hanno appena raggiunto i livelli del 1989. Ma il vero problema è più generale, ed è che si è sprecata un'occasione storica, quella di far coincidere la fine dei blocchi con un progetto di "casa comune", sulla base di valori finalmente generali. Non si trattava di proporre una nuova utopia, ma di cercare di evitare quello che poi è successo, lo scatenarsi dei nazio- Un saggio esplicito fin dal titolo: «L'ultima illusione. L'Occidente e la vittoria sul comunismo» nalismi, una tragedia come quella jugoslava e così via. Invece si è preferito chiudere la guerra fredda con lo stesso spirito con cui la si era combattuta, cercando e volendo una vittoria illusoria, che può ritorcersi contro lo stesso Occidente. Anzi è probabile che questo avvenga, se l'America, l'Europa, la stessa Italia nei suoi limiti, non recuperano il senso di una responsabilità globale, la voglia di un'iniziativa comune, multilaterale, verso il mondo che si vuole sconfitto, e lo è, e verso il mondo in genere». La discussione, nel nostro caso, si ferma qui. Molte altre domande sono possibili, e naturalmente molte altre risposte. Si può essere più o meno convinti che ci fosse davvero una strada sulla quale conciliare tutto, la parte «buona» dell'eredità comunista e un'estrema disponibilità «liberale» dell'Occidente. Resta 0 grande interesse del libro di Boffa e restano i problemi oggettivi e gravi che sono scaturiti dallo storico biennio 1989-1991. Con la conseguente perplessità del personaggio di Staino, di fronte all'euforia del suo simile. Aldo Rizzo DOPO WOJTYLA UN PAPA NERO? Zizola: ritratto del successore IL SUCCESSORE Giancarlo Zizola Laterza pp. 378 L 30.000 IL SUCCESSORE Giancarlo Zizola Laterza pp. 378 L 30.000 NO sguardo dentro gli «scenari dell'avvenire», l'avvenire della Chiesa e del mondo: è l'indicazione che lo stesso Giancarlo Zizola («competenza ormai quarantennale di vaticanista») dà per il proprio libro, uscito ora in Italia dopo la pubblicazione in Francia. Il successore (successore del Papa, naturalmente) dovrebbe costituire, sempre per esplicita intenzione dell'autore, «una sorta di guida» per il dibattito sullo «stato della Chiesa» che si svolgerà tra i cardinali prima del prossimo Conclave e, anzi, dovrebbe penetrare perfino «dentro la Cappella Sistina» (pp. IX, X dell'introduzione). Costruire scenari del futuro, sia pure partendo da una realtà presente, è operazione che si presta a più o meno facili previsioni, ovviamente, ma anche ad aeree utopie, per non dire a semplici fantasie. Sono gli ingredienti, del resto, che investono non solo la costruzione del futuro, ma spesso anche l'analisi del presente. Il presente preso in esame da Zizola è soprattutto il papato di Giovanni Paolo II con questa sua Chiesa, un po' ereditata dai suoi predecessori, ma per la maggior parte da lui formata e conservata. Essendo papa Wojtyla, come l'evidenza delle cronache dimostra, grande personaggio di consumo, avviene che ognuno se lo può consumare secondo i propri appetiti. L'appetito dell'autore è quello di consumarlo soprattutto sotto il profilo Papa Wojtyla Papa Wojtyla della politica mondiale, di immetterlo come massimo protagonista nei grandi giochi planetari: «Un papato allo Zenith dell'universo politico globale» (pg. 286), «un Papa che porta la Chiesa al culmine della globalità» (pg. 294), un Papa che «fa tornare la Chiesa pienamente sul proscenio mondiale come soggetto politico-religioso» (pg. 280), un Papa oltre tutto alquanto insincero che «tenta con ogni mezzo di dissipare l'impressione della sua alleanza o funzionalità con le logiche dell'impero d'Occidente», per esempio con «l'obiezione proclamata nel gennaio 1991 alla guerra america- < -S||| na del Golfo Persico, nel nome di un pacifismo radicale» (pg. 287). L'analisi, d'altra parte, come si può vedere anche da queste prime citazioni, si svolge molto spesso con un linguaggio da iniziati, dentro cui forse si dipana un pensiero profondo, ma nel quale il lettore non sempre procede con facilità e comprensione (es. «La religione installa con Giovanni Paolo II il fattore simbolico, a lungo disprezzato dalla Realpolitik, tra le variabili strategiche delle politiche globali e di paradigmi trascendenti la logica delle forze materiali di sua natura potenzialmente irriducibile e imprevedibile», pg. 286). Si può, inoltre, trovare nel libro non solo una buona abilità di acrobazie nelle previsioni del futuro, ma anche una sorprendente capacità di ingigantire le considerazioni su un recentissimo passato. Nel 1994, per esempio, in, Italia, «l'accordo tra le forze neo-liberiste facenti riferimento a Silvio Berlusconi e i dirigenti di Comunione e Liberazione» divenne addirittura il rischio di «una nuova Avignone che la prevaricazione di alcune forze ecclesiastiche in Vaticano stava imponendo al Papato, spingendolo nelle braccia della potenza del denaro» (pg. 206). Il discorso sulla «successione» parte dunque da una vasta analisi della Chiesa: vengono presi in esame, ovviamente, gli schieramenti opposti in cui si collocano i cardinali elettori di curia e quelli sparsi per il mondo; si affrontano i difficili e non ancora definiti rapporti della fede cristiana con la società moderna; si giudicano gli interessi e i legami politici della Chiesa, con le sue posizioni di fronte alle ideologie marxista e capitalista; si I Escluso Rpreferito sudamunico italiaè il cardin Escluso Ratzinger, preferiti asiatici o sudamericani, unico italiano in lizza è il cardinal Martini atzinger, asiatici ericani, no in lizza al Martini esaminano le possibilità che le culture sudamericana, africana e asiatica, finora fuori del gioco della successione hanno di presentare forme di cristianesimo adatte ai propri continenti e quindi in grado di fornire personaggi influenti nel prossimo Conclave. Sotto questo ultimo aspetto, anche in base alla testimonianza di uno dei più apprezzati porporati di Curia, il cardinale Achille Silvestrini, sembra di vedere prospettato «un grosso salto di qualità geopolitico», il che significa che, come Papa, «potrà emergere benissimo un latinoamericano, un africano...» (pg. 111). Come un primo «salto geopolitico» si è già avuto con l'elezione di papa Wojtyla, arrivato al di fuori di tradizionali scelte italiane, così il prossimo «salto» potrebbe venire dall'Estremo Oriente, dalle vicinanze della Cina, l'immensa nazione cui il papato del futuro guarderebbe con grande interesse. Il nome: Giovanni Battista Wu Chengchung, cardinale di Hong Kong (pg. 176). Oltre la prospettiva asiatica, nel conto dei successori ritorna però anche la previsione italiana. In una galleria di ritratti cardinalizi proiettati verso la successione (grande dimenticato o escluso è il cardinal Ratzinger!), notevole spazio è dedicato, infatti, al cardinale arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, «l'uomo in grado di conciliare la fedeltà alle radici bibliche della Chiesa con la sensibilità moderna e ricucire i pezzi di una Chiesa in scomposizione sul piano mondiale» (pg. 185). La «successione» avverrà, dunque, con qualcuno di questi uomini, in una previsione o profezia di mutamento radicale. Alla Chiesa attuale, politica, compromessa col neoliberismo, troppo presente sul proscenio mondiale, succederà una Chiesa forse dal volto monacale. «L'esperienza del XX secolo costituisce una prova irrefutabile che più la Chiesa sa stare in preghiera e contemplazione, più è significativa per la ricostruzione dei valori etici» (pg. 363). E' lo «scenario dell'avvenire», con cui si conclude il volume. Chi sa? «Il futuro è avvolto in tenebre profonde», cantava il vecchio Pindaro, in epoca però non cristiana. Domenico Del Rio