Ma così Romano rischia il «commissariamento»

L'ASSEDIO AL PREMIER Ma così Romano rischia il «commissariamento» L'ASSEDIO AL PREMIER ROMA EL portone principale di Montecitorio ci vuole poco a capire l'insofferenza con cui ieri sera palazzo Chigi ha vissuto l'irruzione del Capo dello Stato nella trattativa con Rifondazione, con tanto di convocazione del vertice al Quirinale. Gianclaudio Bressa, fedelissimo di Romano Prodi, tenta in tutti i modi di non commentare quell'«aiuto» venuto dal Colle, a cui nella giornata di ieri si è aggiunto un altro «aiuto» premuroso, quello di Massimo D'Alema. L'uomo del Professore resiste al sarcasmo e alle battute fino a quando non incrocia il pidiessino Claudio Petruccioli, che ironizza sulla logica costituzionale che sovrintende all'intervento del capo dello Stato: «Il senatore Gualtieri mi ha detto che l'intervento di Scalfaro si spiega con il potere di stimolo. Ma io non conosco il commentario in cui si parla di questo stimolo...». A quel punto Bressa, che non ne può più, sbotta: «Nel kamasutra». Eh sì, se potesse parlare il presidente del Consiglio se ne uscirebbe più o meno così, commenterebbe con un certo fastidio i soccorsi che gli sono venuti ieri dal Colle e dalle Botteghe Oscure. Perché da una parte queste mani tese gli offrono la possibilità di procedere diritto, addirittura - se si sta ai consigli del capo dello Stato - utilizzando i decreti legge per gli interventi sull'occupazione. Ma dall'altra, se la trattativa con Bertinotti e compagni andrà a buon fine, il merito non sarà suo bensì di Scalfaro o dello stesso D'Alema. In poche parole, da oggi Prodi rischia di appiccicarsi addosso l'immagine del premier commissariato, dimezzato o, nel migliore dei casi, di quello che per tirarsi fuori dai guai ha bisogno di essere guidato. Il professore infatti, dicendo una cosa oggi e una domani, si è ritrovato in mezzo a un triangolo che - come quello delle Bermude - potrebbe ingoiare qualunque tipo di imbarcazione: in un angolo c'è Scalfaro, nell'altro D'Alema e nell'ultimo Bertinotti. D'ora in avanti la rotta la decideranno gli altri. Già l'altro ieri erano arrivati a Palazzo Chigi i primi segnali che il capo dello Stato stava per muoversi. Uno dei consiglieri del Presidente, Michele Zolla, aveva fatto visita al sottosegretario Micheli per spiegargli che le punture polemiche riservate dal premier al segretario del pds, nell'intervista a El Pais, erano ingiuste. E così un'ora dopo l'«uomo ombra» di Prodi ha precisato le affermazioni del suo capo. Poi, ieri mattina, c'è stata la sortita del Quirinale che ha sbilanciato tutta la tattica che Palazzo Chigi avrebbe voluto adottare nella trattativa con Rifondazione: la questione del lavoro, infatti, Prodi avrebbe voluto inserirla dopo aver superato gli altri punti di contrasto, come merce di scambio. E invece, il premier ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte per rispetto del Quirinale. «Ma è possibile che un presidente del Consiglio - si è sfogato con i suoi - non possa decidere da solo l'agenda di una trattativa?». Fin qui Scalfaro. Ma ieri, oltre al presidente del Consiglio, sulla scena della trattativa ha fatto la sua comparsa anche D'Alema. Gli interessati lo negano, ma le iniziative di Scalfaro e del segretario del pds sono state troppo sincronizzate per non fai- nascere il dubbio che siano state decise di comune intesa. Di certo D'Alema non ha avuto nulla da ridire sulla sortita del Quirinale, anzi: «Il presidente della Repubblica - è stata la sentenza che ha regalato ai suoi - ha sempre ragione». Ma perché D'Alema ha deciso di impegnarsi in prima persona? All'improvviso ha avuto il timore che la trattativa tra Prodi e Bertinotti potesse alla fine sfuggire di mano a entrambi: cioè che per imperizia di una delle parti Bertinotti fosse costretto ad aprire una crisi di governo che non vuole. Una cosa ha preoccupato, soprattutto, il segretario del pds: la diversa valutazione della situazione fatta dai suoi interlocutori. Veltroni per giorni gli ha raccontato che era tutto sotto controllo: «Siamo in una fase di trattativa ma alla fine si troverà un accordo». Bertinotti, invece, nei colloqui di questi giorni (ce ne sono stati diversi) gli ha descritto sempre un quadro a tinte fosche: «Il rischio di ima rottura è reale». Inoltre il leader di Rifondazione non ha concesso nulla neppure alle minacce di D'Alema. Si è andati avanti nel duello di sempre: D'Alema a ventilare le elezioni in caso di crisi e Bertinotti a ripetere «siamo pronti ad andare alle urne con la vecclùa legge elettorale, così tu perdi con il Polo»; il segretario del pds a ribattere alzando la posta («vado alle elezioni perché se io rischio una sconfitta tattica voi, invece, andate alla distruzione») e quello di Rifondazione a replicare con il solito «vogl; 1 vedere». Ieri, messi da parte i propositi «suicidi» e i «bluff», le due parti hanno cominciato a ragionare. L'incontro a Palazzo Cingi tra Prodi e D'Alema è servito proprio a ricercare i margini di una trattativa con Bertinotti. Il premier e il segretario del partito di maggioranza relativa hanno parlato dei costi «politici» che la manovra di primavera potrebbe provocare all'Ulivo nelle elezioni amministrative, eppoi di una questione che D'Alema stesso ha posto in questi termini: «Dobbiamo tirare Bertinotti, fargli accettare alcune nostre condizioni senza per¬ derlo. Per questo dobbiamo assicurargli ima via d'uscita, individuare delle contropartite clic lo rassicurino». Alla fine entrambi hanno convenuto sulla necessità di andare a una verifica della maggioranza con Rifondazione. In altre parole, siamo al punto di due settimane fa. Così ancora ima volta il segretario del pds si è ritagliato il ruolo del mediatore: tra oggi e domani vedrà Bertinotti e il segretario della Cgil Cofferati. E per dimostrare che il ruolo è proprio questo D'Alema, do¬ po aver lasciato palazzo Chigi, si è infilato nello studio di Franco Marini. E Prodi? Per il momento, non gli resta che accettare gli «aiuti» che Scalfaro, D'Alema, Marini e quant'altri gli hanno concesso, non senza un sorriso di sufficienza. Basti pensare che ieri sera il segretario del ppi ha salutato quello del pds con queste parole: «Cerchiamo di contenere i danni di Prodi e Veltroni...». Augusto Minzoiini Sotto la tutela di Scalfaro e D'Alema potrebbe perdere autonomia e visibilità A destra il segretario dei ppi Franco Marini

Luoghi citati: El Pais, Roma