I Taleban entrano in Cina di Francesco Sisci

taleban entrano in Cina IL CONTAGIC AFGHANO taleban entrano in Cina Dietro la ribellione dei musulmani UPECHINO N cocktail pericolosissimo di ingiustizie sociali, nazionalismo e fondamentalismo si nasconde dietro l'ondata di attentati terroristici e proteste di piazza che stanno sconvolgendo la regione autonoma cinese dello Xinjiang a maggioranza musulmana. Mentre giovani estremisti addestrati alla scuola di guerra dei Taleban afghani si sono infiltrati nel territorio. Non ci sono ancora rivendicazioni ufficiali, ma funzionari locali nutrono pochi dubbi che ad organizzare gli attentati che martedì scorso hanno sconvolto Urumqi, capoluogo dello Xinjiang, ci siano i fondamentalisti. Fonti russe e cinesi affermano che giovani uighuri, il gruppo etnico maggioritario nella regione, hanno attraversato il confine con la Repubblica ex sovietica del Tagikistan e di lì siano poi entrati in contatto con i Taleban afghani. 11 fervore religioso dello Xinjiang. è stato infatti ridestato in questi ultimi anni. Giovani uighuri e kazakhi della regione, grazie alla nuova tolleranza religiosa della Cina, sono andati a studiare l'arabo classico e il Co¬ rano in Medio Oriento. Al loro ritorno hanno rapidamente scalzato i vecchi leader religiosi, i mullah. «I vecchi mullah sanno solo leggere l'alfabeto arabo ma non lo capiscono, e non sanno veramente che cosa siano il Corano o i suoi commenti - spiega un esperto russo -. I giovani invece conoscono bene l'arabo e le sacre scritture, è quindi facile che la gente creda a loro». Alcuni dei giovani poi sentono di appartenere al mondo mediorientale e non a quello dell'Asia orientale. Sono nazionalisti e anticinesi. Ma questo è solo l'aspetto politico, sottolineano esperti cinesi; l'elemento importante che fa sì che i mullah estremisti e i Taleban dilaghino nella regione ò la discriminazione sociale ed economica subita dagli uighuri. La zona è ricca di petrolio, è già diventata la base per la coltura del cotone e sta per diventare il più grande produttore di frutta della Cina. La terra ò infatti molti i fertile, ancorché spesso arida. Così le grandi aziende delle zone costiere della Cina prendono in affitto migliaia di ettari, vi fanno massicci investimenti per portarvi l'acqua e cominciano a fare enormi profitti. Gli uighuri si trovano spesso completamente esclusi da questi profitti, e anzi vengono privati della terra che prima consideravano loro. Gli stessi operai che lavorano ai pozzi di petrolio, nei frutteti, nelle miniere sono cinesi Han, l'etnia maggioritaria nel Paese. «Questa è una pratica normale, ma alcune volte si va bene al di là, con fenomeni da Far West: terre confiscate agli uighuri e cedute a grandi imprese dell'Est», spiega uno studioso. A Pechino accusano il governo locale, che usa i fondi speciali por i crediti allo sviluppo dello Xinjiang in gran parte a favore di grandi imprese non locali. Nella regione invece si denuncia più genericamente la nuova situazione che esiste al confine: con il rilassamento dei rapporti con l'Urss prima, negli Anni 80, e il crollo dell'Urss più tardi, il controllo alle frontiere con l'Asia centrale si è enormemente allentato. La zona di confine tra Cina e Kazakhstan e tra Cina e Tagikistan è in gran parte incustodita. Inoltre, i canali creati da Pechino per fornire armi e addestramento ai gtierriglieri afghani durante la guerra contro l'Urss oggi funzionano in senso opposto: portano armi e guerriglieri in Cina. La nuova indipendenza di cui godono i kazakhi, i kirghisi, gli uzbeki ex sovietici, che parlano una lingua turca come gli uighuri cinesi, è poi un invito oggettivo alla ribellione. In tutto questo i Taleban hanno interesse a esportare la loro rivoluzione, sostengono fonti rosse. Osteggiati da tutti, hanno come arma di ricatto nei confronti dei Paesi vicini la minaccia di addestrare guerriglieri per compiere attentati a Urumqi o Alma Ata. A Pechino starebbero offrendo una pace condi¬ zionata: appoggio internazionale in cambio elei blocco dell'addestramento. Ma l'orse questa è una promessa che i Taleban non possono mantenere. Guerriglieri agiscono nel Tagikistan, e anche dopo che i Taleban avranno ottenuto il controllo di tutto l'Afghanistan difficilmente potranno eliminare sacche di territorio controllate dai «signori della guerra». Mercanti di armi e di terrorismo nella zona semifranca al confine con il Pakistan potrebbero continuare a smerciare fucili ed esplosivi ai fondamentalisti cinesi. Certo, tre esplosioni in tre autobus nell'arco di pochi minuti al centro di Urumqi significano un'organizzazione che funziona come un orologio. Ma i nonHan nello Xinjiang sono circa 10 milioni su una popolazione totale di quasi 17 milioni, e su un totale di 1,3 miliardi di cinesi. Difficile che gruppi terroristi, probabilmente una minoranza in quei 10 milioni, possano riuscire a destabilizzare la regione. Pechino confida di risolvere la situazione. La Cina è l'unico interlocutore internazionale di Paesi come l'Iran o la Siria, tradizionalmente indicati come ispiratori di terrorismo. Conta su un rapporto di quasi fratellanza con il Pakistan, sta tessendo una trama instancabile con Kazakhstan, Kirghizistan e Uzbekistan, coccola la Turchia, storica ispiratrice del sogno di quel Turkestan Orientale esistito dal 1945 al 1949. A Pechino vengono giudicati più pericolosi i disordini nel Tibet: lì i cinesi si confrontano con un popolo unito da una lingua, una religione e un leader, il Dalai Lama. Nello Xinjiang non c'è un leader che unisca uighuri, kazakhi, tagiki cinesi. Ma forse quella della leadership è una questione secondaria rispetto al problema più importante: il terrorismo rischia di provocare la fuga degli Han dallo Xinjiang e di preoccupare gli investitori stranieri, necessari per sfruttare le immense risorse naturali. La morte di Deng e l'inevitabile scatenarsi di regolamenti di conti interni al vertice forse non lasceranno tempo ai leader di Pechino di occuparsi a fondo dello Xinjiang, dove, almeno nel breve periodo, i problemi possono soltanto peggiorare. Francesco Sisci

Persone citate: Dalai Lama, Mercanti