Stress artificiale in laboratorio

Stress artificiale in laboratorio Stress artificiale in laboratorio STRESS e patologie cardiovascolari, stress e infarto. In un laboratorio sulle colline del Novarese si riproducono emozioni e sensazioni sgradevoli per verificare quanto un soggetto è a rischio e sino a che punto ci sia una correlazione tra psiche e cuore. Alla Clinica di Veruno Fondazione Maugeri, l'unico centro in Piemonte specializzato in medicina riabilitativa qualificata, il laboratorio per lo studio dello stress e del sistema nervoso autonomo si avvale di medici e psicologi e di una strumentazione preparata da bioingegneri in grado di captare anche le minime reazioni cardiache. Una camera ovattata e insonorizzata, il paziente disteso sul lettino con i sensori applicati a torace-braccia-mani-dìt a-caviglie e collegati a monitor, sfigmomanometro, elettrocardiografo. Muti i telefoni, luci soffuse e sottofondo musicale dolce. Insomma, tutte le condizioni di relax che trasmettono a uno dei monitor il segnale prevalente del sistema vago rispetto a quello simpatico: la dimostrazione che il paziente è in condizioni di riposo. A questo punto il test assume una svolta imprevista, e a sorpresa, con l'intervento di una psicologa che riproduce per il soggetto una condizione disagevole e opprimente. S'inizia con un calcolo aritmetico: «Che cosa fa 1013 meno 17, risponda veloce, non ci pensi... ha sbagliato, ricominciamo daccapo... più veloce, impiega troppo tempo». E via di seguito in rapida successione. Uno stress mentale che dura una decina di minuti e che coinvolge emotivamente il paziente, il quale non riesce ad arrivare sotto la soglia dei 960, ma quasi sempre sbagliando e ricominciando. La psicologa è riuscita a riprodurre in laboratorio una condizione abbastanza comune di vita quotidiana, quando dobbiamo confrontarci con un superiore o non siamo in grado di rispondere con calma e in modo adeguato a una situazione, appunto, di stress. Ed ecco la reazione dell'organismo, che i medici definiscono «distress»: mentre la frequenza cardiaca oscillava fra i 64 e i 74 battiti, la pressione arteriosa è passata - in quei dieci minuti che sembravano opprimenti e interminabili - da 115 a 140. E anche la curva del sistema simpatico ha avuto un'impennata, annullando quello vago. Seconda fase. L'«intervista strutturata», che comprende altri coinvolgimenti emotivi, riguardanti la vita privata (situazione finanziaria, rapporti di lavoro, relazioni affettive, sfera sessuale): ma sempre sotto l'incalzare ferreo della psicologa. Gli effetti dell'attivazione psico-emotiva sono essenziali quando, di fronte a soggetti affetti da cardiopatia ischemica, diventano essenziali per analizzare le risposte normali o patologiche. Il test comprende anche lo «Stroop color word», che richiede il riconoscimento del colore di una parola, in contrasto con la tendenza (più forte) di denunciare il significato della parola stessa. Gianfranco Quaglia Si ricerca il «gene candidato» LE cause dell'obesità, cioè dell'eccessivo e diffuso accumulo di trigliceridi nell'interno delle cellule adipose con il conseguente aumento della loro massa, sono molte. Oggi si studia in particolare la genetica dell'obesità. La definizione di obesità fa riferimento a un limite convenzionale, peraltro difficile da stabilire. Apposite tabelle indicano i pesi «desiderabili» per le varie età in rapporto all'altezza. In genere si considera obeso colui nel quale l'accumulo di trigliceridi supera del 20 per cento il peso «desiderabile». L'obesità non è soltanto un inconveniente estetico; accresce anche i rischi per la salute: cardiopatia coronarica, ipertensione, diabete, calcoli biliari, artrosi. Le cause sovente si intrecciano fra loro: mangiare troppo, sedentarietà, difetti del metabolismo, fattori genetici. A proposito di questi ultimi, in una popolazione omogenea socioeconomicamente i fattori genetici devono essere importanti nel determinare l'obesità. Si calcola che il 20% degli europei e dei bianchi degli Usa fra i 20 e i 60 anni siano obesi, ma si arriva al 40% se si considerano le donne dell'Europa dell'Est e del Mediterraneo e le donne di colore degli Usa. In certi Paesi dell'Asia e dell'Africa l'obesità è meno frequente, 10-15%, in Cina il 7%, in India addirittura il 3%, nell'America del Sud e nei Caraibi invece è prossima a quella degli europei. Vi sono poi casi particolari come gli abitanti della Melanesia, della Micronesia e della Polinesia: il 70% delle donne e il 65% degli uomini dell'isola di Nauru, in Micronesia, sono obesi. Certamente qui i fattori genetici prevalgono. Negli ultimi tempi i genetisti hanno fatto indagini sui gemelli, gli adottati, e vari membri di famiglie con casi di obesità. Sembra che l'ereditarietà dell'indice della massa corporea {Body mass index, Bmi = pesostatura) sia compresa fra il 25 ed il 40%. In una ricerca svolta da Bouchard a Quebec dodici coppie di gemelli ricevettero per 100 giorni mille calorie in più delle loro necessità abituali: vi fu un aumento significativo del peso e del tessuto adiposo, ma con importanti differenze, non casuali bensì caratteristiche dei due membri di ciascuna coppia. Nel genotipo vi sarebbe dunque la spiegazione dei mutamenti del peso e della massa adiposa in seguito ad una prolungata modificazione del bilancio energetico. L'obiettivo è identificare i geni dell'obesità. Il metodo più comune è quello del «gene candidato», ossia un gene il cui prodotto possa essere implicato nei processi lisiopatologici che determinano l'obesità. Le tecniche di biologia molecolare permettono di individuare numerosi geni coinvolti nello sviluppo d'un eccesso di massa grassa: geni corresponsabili della termogenesi, del metabolismo del tessuto adiposo. Parecchie associazioni sono state descritte ma l'interpretazione è delicata. Ricerche sono in corso attualmente in molti laboratori. E' importante lo studio di animali aventi nella loro patologia, a somiglianza dell'uomo, l'obesità. Vi sono topi che possono manifestare precocemente una obesità accentuata, associata a iperfagia e riduzione dei consumi energetici. E' stato identificato con la sigla ob un gene (Y. Zhang e altri su Nature, 1994) nel cromosoma 6, da ritenere per molte ragioni responsabile in quanto, se alterato, non codificherebbe una proteina importante per la regolazione del peso (J. Halaas su Science, 1995). La somministrazione di questa proteina al topo produce in due settimane una perdita di peso del 30%, associata a una riduzione del consumo di cibo e a un aumento dei consumi energetici, probabilmente per un'azione a livello dell'ipotalamo. J. Friedman ha proposto di chiamarla «leptina» (ormone .dell'esilità). l .)Sono ricerche all'inizio ma in pieno sviluppo. Certamente, ripetiamo, il numero dei geni in rapporto con l'obesità è elevato. Per il momento non si può parlare di identificazione dei predisposti, tuttavia la genetica dovrebbe condurre a una migliore comprensione, cellulare e molecolare, dell'obesità, da cui potrebbero derivare nuovi indirizzi terapeutici fondati su precisi meccanismi fisiopatologici. Ulrico di Aichelburg

Persone citate: Bouchard, Friedman, Gianfranco Quaglia, Stroop, Ulrico Di Aichelburg