Primo round a Gerusalemme di Fiamma Nirenstein

Primo round a Gerusalemme LA PACE IN BILICO Primo round a Gerusalemme Schermaglie e ricatti per la Città Santa CTEL AVIV OSA succede a Benjamin Netanyahu? Perché, dopo il grande passo di cedere, nonostante tutto e tutti, la sacra città di Hebron ai palestinesi, adesso giuoca col fuoco di Har Homa, la zona di Gerusalemme confinante da una parte con la parte ebraica e dall'altra con l'Autonomia Palestinese, dove i bulldozer dovrebbero cominciare a scavare fra pochi giorni? Gerusalemme è una città sacra, ogni pietra è un simbolo, e anche se questa collina non ha nessuna santa rimembranza, pure sta diventando punto di principio capace di mettere di nuovo a ferro e fuoco il processo di pace, e di reclamare ancora una volta il sangue di ambedue le parti in causa. Ma ciò avviene in modo più controverso della vicenda della galleria del Monte del Tempio. Là le vestigia religiose così calde, così fumanti, erano di per sé un invito allo scontro religioso-etnico. Qui la guerra è più direttamente politica. Non si tratta per i palestinesi di reclamare il rispetto delle vestigia dell'antico Islam. Si tratta di un passo ulteriore: portare la lotta su un qualunque terreno edificabilc situato non a Gerusalemme Est, dove attualmente i palestinesi reclamano la sovranità ma a Sud, in una zona eguale, per esempio, al quartiere di Gilo che prima del '67 era sotto la sovranità giordana e sul quale non è mai esistita nessuna contestazione. I musulmani dichiarano, cercando una maniera di collegare il problema Har Homà con un problema religioso, che non potranno più arrivare di venerdì alla santa moschea di Al Aqsa direttamente da Betlemme. Gli ebrei, da parte loro, dicono che rinunciare a costruire in quel punto è come accettare per sempre di avere una cintura palestinese intorno alla città, mettendo la Gerusalemme ebraica di fatto in condizioni di difficoltà persino militare, ovvero in una specie di stato di assedio permanente. Il fatto è che i tempi di tutta questa vicenda sono fatalmente ambigui. Infatti tutti si sentono il fiato sul collo della trattativa finale che inizia tra pochi giorni, prima per la zona B e poi per tutto il resto: da una parte questa contiguità può portare all'esplosione di una nuova Intifada per Gerusalemme e divenire il catalizzatore dei grandi problemi che per sempre domineranno la compresenza dei due popoli neLla medesima area. Dall'altra la contingenza storica delle trattative così a ridosso crea nei due leader Netanyahu e Arafat la convinzione di poter contenere i guai entro limiti ragionevoli. Vediamo perché. Netanyahu con una mano spinge avanti i bulldozer, con l'altra appoggia ai palestinesi 3600 unità abitative, un buon numero dopo tanti rinvìi delle richieste pressanti e indispensabili dei permessi per una popolazione che soffre da anni di sovraffollamento endemico. Inoltre, quel che è più ùnportante, da indiscrezioni sembra che Bibi abbia spiegato a Clinton nella recente visita negli Usa la sua inten- zione di cedere, sempre in cambio di Har Homa, una migliore porzione appunto della zona B, la zona di campagna, 0 tessuto connettivo fra le città, di quanto non fosse previsto. Arafat è a sua volta pronto per il suo viaggio da Clinton nei prossimi giorni, e certamente non intende giuocarselo senza neppure discutere i benefici e il credito che può ricavarne; proprio ieri (certo anche in vista del suo prossimo viaggio) sono iniziati i colloqui interni dei palestinesi, fra le varie parti politiche (Fatah, Hamas e altri gruppi minori) da cui presumibilmente Arafat uscirà ben in sella, sempre più potente, in ottimo controllo della situazione. Se un'esplosione ci deve essere, pensa Netanyahu, è difficile che Arafat, con tante scadenze in vista, non voglia controllarla fino al punto di rovinare i prossimi colloqui. Quanto alle convinzioni profonde del primo ministro d'Israele, se anche avesse voluto resistere più a lungo alle pressioni del sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert (che vuole passare alla storia come il sindaco che ha allargato Gerusalemme e che ha rafforzato la sovranità ebraica) in questo momento avrebbe trovato grandi difficoltà: infatti la polizia l'ha interrogato a lungo pochi giorni or sono per una bruttissima storia di nomine. Questo è avvenuto fra lo scandalo generale (gli israeliani di destra e di sinistra ci tengono molto alla pulizia della classe dirigente) e ancora Netanyahu non ne è fuori. Potrebbe ricevere un avviso di garanzia di ora in ora. Quindi, è particolarmente fragile, e ha bisogno anche del sostegno di quella destra che mise da parte quando si trattò di sgomberare Hebron. Inoltre, se lo Stato di Israele decidesse di non costruire in quella zona lottizzata ormai da molti anni, dovrebbe espropriarla ai proprietari: e, per esempio, un certo signor Mir, padrone del 93 per cento della zona dovrebbe ricevere dallo Stato mezzo miliardo di dollari di indennizzo. In definitiva, ci sono in vista due possibili violazioni dell'accordo di Oslo: la prima da parte israeliana, di pregiudicare i colloqui finali di pregiudicare lo stato definitivo di Gerusalemme che deve essere sancito da colloqui fra le due parti; la seconda, da parte palestinese, di usare la violenza come metodo di intervento politico. E' ancora troppo presto perché il vero grande nodo politico dei colloqui, Gerusalemme, venga in primo piano. Ma ancora una volta la Città Santa stende la sua sanguinosa ombra sul processo di pace. Fiamma Nirenstein L'arrivo di Arafat a Nablus per l'incontro con gli oppositori dell'Olp e il premier israeliano Netanyahu