« Perché calunniate 2 morti »

«Il nostro è un lavoro difficile con pochi diritti» LA RABBIA DEI COLLEGHI « Perché calunniate 2 morti? » Iferrovieri: sui treni non ci sono alcolici PIACENZA DAL NOSTRO INVIATO Le carrozze erano belle, affilate come lame, per tagliare il vento e l'aria. Adesso stanno sotto ai teli grigi, nascoste ai margini della ferrovia, come blocchi inanimati senza vita, senza senso. E' da quella domenica del 12 gennaio che il bambino che guardava passare i treni, le viene a cercare sperando tutte le volte che qualcuno abbia finalmente sollevato i teloni, alzato il velo della morte e della memoria, per farle correre di nuovo con i loro sospiri e il loro sferragliare antico su un corpo nuovissimo. Alfredino Carini, 11 anni compiuti appena, sogna ancora di guidare un treno guardandosi quel che resta di questo Pendolino disegnato da Giugiaro, ucciso da una violenza illogica, un giorno che c'ora la nebbia e c'era ancora la neve. Angelo Moggi, macchinista dal 1968, invece vorrebbe smettere e dice che non riesce più a guardare quelle spoglie senz'anima dell'Etr Botticelli: «Io c'ero il 12 gennaio. Ho visto i cadaveri dei miei colleghi, ho visto tutto quello strazio. Oggi, vorrei dimenticare. E vorrei lasciare tutto. Non è un lavoro facile il nostro. Non c'è nessun diritto al pasto, nessun diritto a dormire. Qualche volta nessun diritto alla vita. Ma l'abbiamo scelto noi, questo mestiere», i sogni dei bambini fanno in fretta ad andare via. I teloni, però, non li tolgono. E forse resteranno lì per tutto il tempo che lo sconquasso dell'Etr Botticelli rimarrà un mistero senza colpe e senza verità, com'è adesso, 45 giorni dopo l'inizio dell'inchiesta. Correva più veloce di quel che poteva, il Pendolino delle 12,55. Ma questo non basta. Alberto Grassi, il procuratore capo di Piacenza, dice che «c'è stato un accenno di frenata poco prima del disastro, da 162 chilometri all'ora a 157». Vuol dire che i macchinisti non erano del tutto distratti e che bisogna spiegarsi ancora molte cose, aggiunge. E' vero che avevano bevuto?, Gli chiedono. Lui alza appena le piccole mani, dice che a questo non risponde. Però, c'è una perizia, fanno. E lui, «non voglio fare polemiche», dice: «Io leggo soltanto le carte. Solo che quando si leggono le carte bisogna leggerle tutte». E la perizia afferma purè che «non si hanno elementi assolutamen- te probatori circa l'affidabilità dei materiali biologici esaminati». Nel capannone, a pochi metri dalle carrozze abbandonate sotto i teloni, anche il macchinista Antonino Rapisarda ripete che lui non ha mai creduto «a quello che hanno scritto questa mattina i giornali. Io non guido i Pendolini, ma conosco due che lo fanno. Si alzano alle 9,15 quando vanno a dormire a Milano, alla Centrale. Fanno colazione, e cosa vuole che prendano, un caffè e un capuccino? Devono partire attorno a mezzogiorno, e allora vanno a mangiare verso le 11. Ma chi ha voglia di bere, a quell'ora?». Maria Sorbo, la ve- dova di Pasquale, quello con il tasso alcolico dello 0,85, ricorda che suo marito era quasi astemio e che «quella mattina avevano mangiato alle Ile mezzo. Da qualche parte ho ancora la ricevuta del ristorante. Lì sopra c'è scritto che avevano bevuto solamente acqua». Bene. Potrebbero aver bevuto sul treno, però. Non sono morti assieme alle hostess? Forse gli avevano appena portato un vassoio, con un amaro, un bicchiere di vino? Grassi, il procuratore, scuote la testa: «Ma come si fa a dirlo?». Già, come si fa. E Rapisarda passa la mano sul tavolo, come per pulirlo. «Sul treno? Improbabile» E perché? «Perché le hostess danno il caffè, il cappuccino. Non offrono bevande alcoliche neanche ai viaggiatori. E tantomeno al personale». Noi non siamo sicuri, ma non ci sembra. Lui insiste: «Chi dice il contrario racconta balle. Le Ferrovie non lo ammetterebbero». Facciamo che sia vero. Spiega qualcosa tutto questo? Serve a qualcosa? Ogni tanto la porta cigola. Entra il freddo e il rumore dei treni. Angelo Moggi, un altro macchinista: «Ormai su questa vicenda hanno tirato fuori di tutto contro questi due poveretti. Non resta che dicano che stavano divertendosi con le hostess al momento dell'incidente». Beh, qualcuno l'ha già pensato. «Eh, lo so, l'ho sentita anch'io», l E da chi? «Non so se l'ho sentita o l'ho letta. Però so che c'è anche questa calunnia». Perché? «Perché io quella domenica sono venuto qui alla stazione e me la ricordo bene. Ho visto il Perazzi, un altro macchinista, e gli ho chiesto: i nostri colleglli li hanno trovati? Eccoli lì, mi ha detto. Li stanno tirando fuori. Li ho visti, erano brandelli. Avevano fatto un taglio nella prima carrozza e li stavano prendendo. Poi mi ricordo che mi disse, non riescono a trovare le hostess. Me lo disse il Perazzi. Quando le trovarono non erano lì vicino, erano da tutta un'altra parte, mi sembra che fossero in fondo alla carroz- za. Non può voler dire che al momento dell'incidente erano in posti diversi?». Forse. O forse no. Vincenzo Morabito, delegato Uil trasporti: «C'è troppa gente che parla a sproposito. O magari no, magari parla proprio con propositi precisi. Non posso credere che sia un caso il fatto che le più gravi dichiarazioni contro i macchinisti del Pendolino e a difesa degli alti papaveri delle Ferrovie, siano state fatte e rilanciate proprio nell'imminenza di scioperi della categoria». Certo, attorno alle spoglie di quel Pendolino, stanno tutti l'uno contro l'altro armati. «Le Ferrovie e i sindacati hanno delle verità», dice Grassi, il procuratore. «Ma noi dobbiamo cercare la verità». E per quel che riguarda questa storia del tasso alcolico, quasi celia: «I due macchinisti sono già comparsi di fronte a un giudice ben più alto. Anche per questo abbiamo umana pietà e non pensiamo affatto a citarli come non sobri». Dice che bisogna aspettare ancora altre perizie, altre risposte. Altre polemiche. Altri viaggi verso la verità, lontano da qui, da questa stazione, da quel luogo della memoria. Toma in mente «Il Ferroviere» di Germi, la storia di Andrea Marcocci che per un bicchiere di troppo fu coinvolto in un incidente e che poi vide disgregarsi attorno la famiglia e il lavoro che aveva sognato. Anche adesso, viene da guardare fuori dal capannone. La curva appare come un groviglio di fili e binari, un incastro disegnato sotto al cielo. Laggiù, sui fianchi, ci sono ancora i vagoni dell'Etr Botticelli coperti dai teli. Il piccolo Alfredo è sicuro che un giorno li vedrà correre di nuovo. Pierangelo Sapegno «Il nostro è un lavoro difficile con pochi diritti» «Ho visto i cadaveri ma adesso vorrei solo dimenticare» Fermata simbolica dei convogli di un minuto per protesta contro le accuse «Il codice di velocità non è certo stato modificato da chi guidava il supertreno» 00'««rfP -«>«**^ Sopra il perito Marozzi. A destra Lidio De Santis

Luoghi citati: Milano, Piacenza