La coscienza di Roma

La coscienza di Roma La coscienza di Roma E cercò di «bonificare» la de VENFANNI IN LUTERANO SB& ER vent'anni ha abitato a HgP Roma in quel grande palaz- I zo del Laterano color rosso cupo. Faceva il Vicario del Papa. Erano gli Anni 70 con la capitale percorsa da cortei di autonomi devastatori e di femministe urlanti. Erano gli Anni 80 con Roma democristiana che declinava tra liti e situazioni pietose. Lui, Ugo Poletti, cardinale, Vicario della Città Eterna, stava male. Aveva malanni fisici, che nascondeva pazientemente, ma aveva soprattutto un dispiacere dentro: l'amarezza per una città, la capitale d'Italia e del cattolicesimo, che sembrava dare soltanto segni di grande fiacca cristiana. A Roma c'era stato, piccolo prelato piemontese, a dirigere le Pontificie Opere Missionarie. Allora girava per le parrocchie e per le associazioni romane a chiedere l'elemosina per gli orfani africani e i lebbrosi asiatici. Parlava e sorrideva, buono, dolce. A Roma era tornato, chiamato dal Papa a fare il Vicario, dopo una parentesi di vescovo a Spoleto. La passione per la città lo indusse quasi subito a preparare un famoso convegno nel febbraio '74, che fu detto dei «Mah di Roma». Gli oratori si scatenarono a trovare più mah possibili. Lui, il Vicario, si vide come colpevole della scoperta di questo fiume malsano, cercò di smorzare, di sopire, di andare alla ricerca anche del bene che si spandeva nella città, curava i parroci e dava ima mano alle associazioni di carità, come Sant'Egidio. Poi, da prete sincero, pur dotato di gentilezza (sorrideva ancora), si dava da fare per scuotere questa diocesi sua e del Papa fino a usare parole quasi di insolenza. Vedeva una città segnata da «povertà spirituale». «Roma - diceva - città am¬ massata, distratta, pigra, assorbita nei suoi interessi materiali, portata all'individuaUsmo, all'indifferenza sui valori della sua fede». Non gridava, non faceva il predicatore, ma continuava ad elencare gli idoli che tenevano il posto di Cristo nella Città Eterna dalle antiche vestigia cristiane. «Roma è ima metropoli moderna sempre distante dal senso religioso, inconsapevole della sua appartenenza al Regno di Dio», Era¬ no parole che pronunciava quasi a conclusione dei suoi anni di vicario, nel giugno '90, poco prima di lasciare il posto al cardinale Ruini. Poletti era così: con la sua voce cantilenante ha sempre detto cose urtanti su Roma. Le diceva perché amava questa città, perché come pastore voleva portarla a sentimenti cristiani. Pensava al Campidoglio, a chi andava a sedervisi per amministrare, e si costernava perché non vedeva uomini veramente cristiani su quel colle. La sua fatica grande, e vana, fu quella di bonificare la de romana. Ci provò con un intervento diretto alle elezioni comunali del 1981 quando lo scudocrociato tentò la riconquista del Campidoglio. Gli cliiesero aiuto per un candidato da far votare ai cattolici della città. Lui propose un nome pulito, Mario Agnes, ex presidente dell'Azione Cattolica, chiedendo di porlo al se¬ condo posto in lista dopo Galloni. 1 democristiani promisero riconoscenti, poi invece di Agnes mandarono avanti il segretario romano del partito. Potetti scrisse loro semplicemente: «Avevate promesso e poi, naturalmente, non siete stati di parola». E li abbandonò, infine, al loro disdoro e disfacimento. «Votiamo de - continuava però a diro ai suoi preti -, sia pure con ripugnanza». Si consolava, invoco, con la gente semplice. Nel suo solenne Palazzo Laterano, rosso cupo, riceveva ogni mattina chiunque si presentasse. Al telefono rispondeva di persona, senza intermediari. Quando lasciò San Giovanni in Laterano, si ritirò accanto alla basilica di Santa Maria Maggiore. Non fece più udire le sue parole roventi. Alla fine, gli era rimasto soltanto il sorriso. Domenico De! Rio

Persone citate: Galloni, Mario Agnes, Poletti, Ruini, Ugo Poletti