Pregiudizi sulla scienza
TRA LATINO E RICERCA TRA LATINO E RICERCA Pregiudizi sulla scienza Riforma scolastica e geni incompresi LA proposta del ministro Berlinguer di rendere facoltativo il latino ha scatenato un mare di proteste che ricalcano in parte difese d'ufficio ormai logore ma anche nuovi punti di vista sul ruolo che il latino potrebbe avere nella scuola del futuro. Dario Antiseri sostiene sul Corriere della Sera che tradurre (dal latino) è «autentico lavoro scientifico» mentre non lo è di regola l'insegnamento delle scienze basato sull'esercizio che «non deve inventare niente, non deve discutere, non deve sbagliare». Dal suo intervento deduco che Antiseri ha avuto un insegnante di alto livello che ha fatto amare il latino ai suoi allievi. Vorrei che questo accadesse più spesso anche e soprattutto nelle materie scientifiche, il cui insegnamento, ai tempi in cui frequentavo il liceo scientifico, era ridotto in uno stato deplorevole. Non condivido invece il giudizio da lui espresso sull'insegnamento della scienza, che richiama le condanne sommarie di Capanna. Inoltre non tutti gli insegnanti sono pari al compito, ne ho incontrati alcuni capaci di far odiare una materia qualsiasi e a volte mi reputo fortunato per non avere studiato storia della musica al liceo: se l'avessi fatto forse detesterei Mozart. Non accetto la traduzione di testi antichi come lavoro scientifico se non nei casi eccezionali in cui venga eseguita da personaggi di alto livello dotati di ampia visione storica. Il commento di Antiseri illustra inve- cipe Eugenio di Savoia fu snobbato dal Re Sole e chissà quanti dirigenti d'azienda di alto livello sono stati licenziati perché vedevano lontano. Nella ricerca come in tutto il nostro vivere dobbiamo prendere delle decisioni su dati incompleti e possiamo sempre sbagliarci. A parte qualche intrigante nessuno nega che il sistema attuale di finanziamento della ricerca faccia acqua da tutte le parti e che in particolare i concorsi a cattedra e per ricercatori, a volte preda del nepotismo più sfacciato, debbano essere riveduti a fondo. La colpa non è solamente nostra ma anche dei politici che tardano ad intervenire. In ogni caso il marciume o il conservatorismo non sono monopolio degli scienziati, regnano ovunque. Il pericolo insito in questa visione settoriale e antiscientifica è l'apoteosi finale della ciarlataneria e della superstizione e l'abolizione di tutti i controlli: se questo avvenisse chiederò che le mie stupende opere grafiche vengono esposte al Louvre accanto alla Gioconda. Non possiamo mettere sullo stesso piano Einstein e Velikovsky e confrontare una visione scientifica che è passata attraverso quasi un secolo di numerosi ed estenuanti controlli con una fantasia buona al più per Star Trek. Non possiamo confondere fanti con santi e paragonare lo stesso Velikovsky con Arp, un vero astrofisico anche se in odore di eresia. ci viene dal libro «Il Genio Incompreso» di Federico Di Trocchio (Mondadori), dove viene illustrata la continua persecuzione delle eresie scientifiche da parte della scienza ufficiale. L'autore dedica vari capitoli a personaggi come il matematico Evariste Galois, morto a 22 anni in duello e a cui si fa risalire la prima formulazione della teoria dei gruppi. Di Trocchio dedica un intero capitolo a Velikovsky, definito come «doppio di Einstein», e non manca di citare Arp, portato in palma di mano da un esercito di eretici. Molti di questi episodi sono ben noti e scavando nella mia memoria potrei aggiungerne altri. L'impressione che si ricava dal libro è, come al solito, che gli scienziati siano i veri depositari dell'intolleranza. Di Trocchio non si rende conto che gli scienziati sono dopotutto uomini con tutte le loro debolezze e virtù e che episodi simili a quelli riportati nel libro si ritrovano in tutte le attività umane, nessuna esclusa. Van Gogh morì in miseria, una nota casa editrice rifiutò II Gattopardo, la grandezza di Bach fu riconosciuta solamente un secolo dopo la sua morte. Il prin¬ ce molto bene la visione distorta della scienza che ancora caratterizza vasti settori della cultura italiana. In primo luogo non possiamo ridurre d'imperio la scienza a sterile esercizio come non possiamo ridurre il lavoro del medico alle analisi cliniche o la musica al solfeggio. Esistono esercizi noiosi, e altri che permettono varianti di grande interesse; esistono grandi letture, anche in latino, che ci aprono la mente ai grandi problemi ma che vengono regolarmente censurate nei licei. La riforma Gentile ha eretto barriere di ogni tipo per impedire che la scienza alzasse la cresta e avesse dignità di cultura. La scienza è anche sentimento di meraviglia, ben illustrato da Platone e da Aristotele, davanti alle cose che ci circondano e il desiderio di vederle e interpretarle sotto punti di vista inaspettati e che la traduzione di un testo di Tacito non può darci. Tutto questo illustra i limiti di un insegnamento basato esclusivamente sul primato e sulle virtù taumaturgiche del latino, una lingua che ha regnato per quasi 25 secoli ma da cui i latinisti hanno depennato con Il fisico Tullio Regge: «Il latino non è taumaturgico nella formazione scolastica» inaudita meticolosità e ferocia gli ultimi 15 secoli, tra cui quelli in cui è nata la scienza contemporanea. In breve, il latino è oggi lingua morta assassinata dagli stessi latinisti, che dopo averlo imbalsamato continuano ostinatamente a proporlo come lingua internazionale negli scambi scientifici senza essersi mai degnati di leggere un solo paragrafo dei Principia di Newton o del Sidereus Nuncius di Galileo Galilei. Un altro sintomo del permanere di pregiudizi antiscientifi-
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