Un'allegorìa di Camerana di Bruno Quaranta

Un'allegorìa di Camerana Un'allegorìa di Camerana IL CENTENARIO Oddone Camerana Baldini & Castoldi pp. 380 L. 28.000 Oddone Camerana Baldini & Castoldi pp. 380 L. 28.000 A Generala, sotto la Mole,, è il carcere minorile, il Ferrante Aporti. E la Marescialla, la fabbrica scalpellata nell'incubo che domina II Centenario, il nuovo romanzo di Oddone Camerana? Avendo, l'autore, lavorato a lungo nella torinese casa automobilistica; appartenendo a una famiglia assisa nell'aziendale stanza dei bottoni; allargandosi, la vicenda, nella città di Ligonto, quasi anagramma di Lingotto, perché non pensare alla Fiat, che - ulteriore segnaletica - fra due anni taglierà il traguardo del secolo? Troppo facile, troppo cartesiano. Oddone Camerana è un flàneur felicemente periferico (sin dalla prova d'esordio, L'enigma del cavalier Agnelli, le passeggiate fuori porta del senatore), un rabdomante non ovvio, non ancorato ai soliti itinerari, geografici o mentali. Avverte: «Il mio non è un pamphlet. O un manuale di storia. O un'inchiesta giornalistica. E' un'architettura narrativa iperrealista. E' una metafora, un'allegoria, una fantascientifica escursione. Una visione swiftiana». Come protagonista - non lo si dimentichi - il Centenario: «O meglio: l'attesa del Centenario. Un evento messianico, salvifico, che tarda ad accadere, che non accadrà». Un numero magico - ecco l'auspicio - che dovrebbe «guarire» la Regia, fabbrica d'armi alla deriva: «No, non l'ho modellata sulla Fiat. Anche se non arrivo dalla Legione straniera. Anche se sono andato su e giù lungo certi paesaggi e non altri» E' una giornata all'inferno, un lunedì, la parabola di Camerana. Con un'eco di Dante e un'eco di Virgilio che esplorano i Pattumeros, una folla di inconsapevoli dannati, tanto sono devoti al ruolo di custodi del passato, della memoria. Di capitolo in capitolo si susseguono le recite: i rituali, le modalità, gli stilemi del lavoro che fu, perché alla Marescialla il lavoro è un antico fantasma, una purissima reliquia. «La questione - atto sesto: Pattumeros - è organizzare il tempo e i movimenti fisici secondo i vecchi schemi. Sempre riusando beninteso le attrezzature o quel che ne resta. (...). Ognuno ha la sua stanza, il suo angolino, il suo box e il suo formaggio. E il suo tavolo. E sul tavolo c'è l'agenda settimanale. Aperta sul piano ben spolverato, si riempie omeopaticamente di impegni che ordinano la giornata e la settimana, e poi la settimana successiva, con incursione anche nei mesi». L'eco di Dante è Erwin («Il nome non l'ho scelto a caso, vuole suonare subito straniero, suggerisce l'arrivo da chissà quale mondo»). E' un giovane «con gli occhi arrossati e dall'aspetto cadaverico» che giunge alla Marescialla attraversando «i resti d'una città abbandonata». L'eco di Virgilio si chiama Parella (debutta nel capitolo «Baroello»: Burello - potenza e bizzarria degli echi - era il caffè dove il tenente Giovanni Agnelli dichiarò non più rinviabile l'avventura delle quattroruote); ebbene, Parella, un signore alla ricerca di polverosi documenti che gli servono per regolare un non meno ossidato conto, come antagonista, va da sé, la Regia. I Pattumeros sono i militarifunzionari che in una storia scandita dai sensi vanno a naso, ragionano col naso (Nasino è il generale di cui agognano il ritorno): «I radar corporali, animaleschi - spiega Camerana - affiorano e si impongono nei climi finali, al profilarsi delle scadenze, degli urti, dei fatti straordinari». Una discesa delle scale darwiniane, un risveglio delle energie primitive, uno scenario di selvatica inquietudine. Ma i Pattumeros non sanno di sapere («il basta che avevano tante volte già mormorato in Oddone Camer Oddone Camerana TORINO na cuor loro»), vi è un incantesimo che li isola, toccherà a Erwin provocare il cortocircuitp liberatorio: nutrire la fiducia nella ricomparsa del grande capo, salvo, all'improvviso, reciderla, annullarla. Liberazione da che cosa? «Dall'Organizzazione - non esita Camerana -. Un autentico moloch. Lo strumento occulto che inocula l'ideologia della tecnologia, assolutista, dispotica, terrifica. Una fattrice di patacche, di falsi valori, di false uscite di sicurezza, di false statue della libertà». Un'aberrante spirale: «Più che fabbricare cose, oggetti, prodotti, armi, munizioni, le regie fabbriche erano diventate luoghi e modi per fabbricare uomini». Il rompete le righe, la risalita dal sottosuolo (perché il General Nasino concepì «l'underground manufacturing») ha il suo incipit nel linguaggio. Denso, esatto, irreggimentato e insieme aperto all'urgenza di scartare, «di lasciarsi andare alle irregolarità», testimoniata da un vocabolario qua e là latino-americano o ispanoligontese, ondulato, estroso. Dalla casa in collina di Oddone Camerana non si vedono Marescialle. Non è da qui che il dirigente di Volponi Bruto Saraccini guardava «la grande città industriale che si estende nella pianura, spianata dalla notte oltre se stessa fino a sparire tra i riflessi del fiume e le fumate dei campi». «Volponi - distingue Camerana - è un filologo dell'industria, crede nella sua rigenerazione, la considera il perno della città umana, il fondamento di un Paese o di un universo diverso, moderno, colto. La mia, viceversa, è un'utopia al negativo. Sbaraccata qualsivoglia attività produttiva, le Marescialle vanno a riempire i baracconi dell'Inutile». Frantumatasi «l'ingegnosa robotizzazione dei comportamenti, schiacciati dal peso inaspettato dell'autonomia e di una responsabilità» sconosciuta gli ex Pattumeros «sfilavano verso Ligonto, sotto gli occhi di nessuno. Via dalla casa comune... verso dove?». Oddone Camerana non sa o non può o non vuole azzardare: «E' sempre difficile immaginare che cosa nascerà dalle macerie». Bruno Quaranta

Luoghi citati: Camerana, Generala, Torino