«Ancora in agguato i killer di Yitzhak» di Luigi Grassia

«Ancora in agguato i killer di Yitihak» «Ancora in agguato i killer di Yitihak» Leah Rabin: gli ultra non si rassegnano alla pace ALESSANDRIA DAL NOSTRO INVIATO Ai funerali lei strinse la mano a Netanyahu, ma subito dichiarò d'averlo fatto solo per dovere... «... non certo per piacere!». ... in quanto partecipava a una cerimonia pubblica, A due anni di distanza ha perdonato? Avrebbe ancora difficoltà a stringere la mano al premier? «Potrei evitare di rispondere a questa domanda?». Leali Rabin ride un po' amara; persone amiche che l'attorniano la imitano per simpatia. «E' troppo personale!» dice e scuote la testa, sempre sorridente, ma decisa a non dire quel che pensa. Passiamo all'attualità politica. Sembra che il processo di pace entri in un nuovo round: tocca al Libano Sud e alla Siria: lei come vede Assad, in quanto partner negoziale? «Mio marito ha sempre detto che il problema con Assad è che finora non ha voluto discutere la pace con noi. Ma se arrivasse il momento in cui decidesse, una buona volta, di farlo, potremmo fidarci, perché Assad osserverebbe religiosamente qualunque accordo firmasse. Certo, finora non ne ha siglato nessuno; ma se lo facesse, è una persona di cui fidarsi». Scoppiavano tante bombe islamiche quando al governo c'erano i laboristi, e invece da quando Netanyahu è al potere, più nulla. Come lo spiega? «Non ha niente a che fare con il governo della destra. Arafat ha impiegato un certo tempo ad assumere il controllo delle aree dell'Autonomia; e il terrore ha potuto scatenarsi. Poi l'Anp si è completamente insediata e ha represso Hamas: col massimo impegno, perché sa che nuove bombe metterebbero in pericolo il processo di pace. Perciò Netanyahu non ha nessun merito, benché lui se lo arroghi: è arrivato semplicemente al potere al momento giusto per raccogliere i frutti. Sarebbe capitato Una donna fragile e forte, di sobria eleganza, che è diventata la coscienza critica di un Israele eternamente sospeso tra violenza e speranza. Cosi è apparsa ieri Leali Rabin ad Alessandria, dove è stata invitata a discutere con Carlo Rossella e altri ospiti il libro «La pace difficile» di Giancarlo Elia Valori. Poi la Rabin ha concesso un'intervista esclusiva per un bilancio più personale della sua esperienza di vita e politica. Signora Rabbi, dopo l'assassinio di suo marito Yitzhak nel '95 lei ebbe parole molto amare nei confronti di Netanyahu, fino ad addossare al Likud la responsabilità morale del delitto. Adesso che anche il nuovo premier si è messo sulla strada degli accordi di pace e ha ricevuto minacce di morte dagli stessi ambienti estremisti, sente una qualche solidarietà? «Mio marito fu ucciso dopo una lunga opera di sobillazione. Che non prendeva le mosse solo dagli estremisti di piazza, e neanche dagli ambienti religiosi ortodossi, ma dal cuore stesso del sistema politico: dalla destra ostile alla pace. Yitzhak aveva ricevuto molte minacce ma non aveva mai creduto che dalla violenza verbale sarebbero passati all'omicidio. Ora la situazione è diversa: sappiamo quanto gli ultra siano pericolosi e attorno a Netanyahu sono in vigore tutte le misure necessarie a proteggerlo». lo stesso con un eventuale nuovo governo Peres». Ma lasciata Hebron, bloccati gli insediamenti a Gerusalemme Est, che cosa potrebbe fare oggi un ipotetico governo laburista più di quanto già non faccia il Likud di Netanyahu? «Mio marito Yitzhak credeva nel rispetto e nella fiducia reciproci fra israeliani e arabi e si era impegnato a reabzzarli. Se si rispetta la controparte con cui si tratta la pace, allora un chilometro qua, un chilometro là, non hanno più molta importanza. Questo ha di più il partito laborista: nella pace crede. La destra, almeno all'inizio - non so se poi abbiano cambiato opinione, a me non l'hanno detto e io non gliel'ho chiesto - non aveva la ininima fiducia in Arafat, e Arafat non ne aveva in Netanyahu. Poi credo che anche loro abbiano imparato ad aver fiducia». Luigi Grassia

Luoghi citati: Alessandria, Gerusalemme Est, Israele, Libano, Siria