Il tempio della Quercia artificiale di Filippo Ceccarelli

Il tempio della Quercia artificiale Il tempio della Quercia artificiale Massimo diventa azzurro, Walter pallido profeta e si è come rapiti da una sensazione di lugubre maestosità, da cerimonia sacra, da mistero orfico di massa, con tanto di preliminare e improvviso spegnimento delle luci. Per rinfrancarsi, d'altra parte, basta la frase di quell'altro poetico ottimista che era Rilke - «Il futuro entra in noi molto prima che accada» - laddove su cosa sia precisamente questo futuro ci sa¬ rebbero già tre diverse scuole filologiche d'interpretazione; per cui c'è chi dice che sia la morte, chi il suicidio e chi (l'ex segretario bolognese Sabattini) un tumore. Dunque evviva, anzi allegria. Se non fosse per le obiettive difficoltà procurate ai fotografi, che ieri non hanno proprio scattato, e per l'inesorabile discussione sul carattere più o meno liberticida del provvedimento, c'è da essere quasi lieti del divieto d'ingresso in sala. Solo da lontano, in effetti, o meglio ancora costretti dietro una soglia invalicabile, è stato possibile cogliere quella che è forse la caratteristica epocale del congresso, e cioè di un evento che per la prima volta si è svolto nell'aldilà mediatico, in una dimensione parallela a quella dei viventi, puro regno di realtà simulata, ombre mobili e visibili sui maxi-schermi. In altre parole, al Palasport D'Alema, Veltroni, Occhetto, con tanto di abbracci e smorfie e occhiacci, non erano più veramente loro, ma solo presenze luminose e impalpabili. Come quelle, del resto, che si sono materializzate al buio, nell'articolatissimo filmetto iniziale: Prodi che scende dal pullman, nel cui specchietto retrovisore si vede la faccia di Di¬ lli, e poi ci sono delle bandiere, che sfumano per far posto a Benigni che s'attorciglia a Veltroni, mentre D'ulema viene assunto al cielo per poi ridiscenderne insieme a Confalonieri. E la voce di una cantante invisibile che accompagnava questi fantasmi di un anno, parecchi dei quali presenti hi sala, eppure ormai senza tempo, trapassati anche loro in quella zona ectoplasmica entro la quale è stato situato il Grande Evento. Così grande, però, così gigantesco, e solenne, e ridondante, da far sembrare ogni pur lieve movimento di Veltroni il gesto maestosamente ieratico di chi non ha più corpo, e ogni sua parola una sentenza definitiva nella sua enfasi perenne. E importa poco se il vicepresidente del Consiglio sta parlando del fisco, o dice semplicemente: ((Apro le virgolette». Quando si esagera nell'astuto allestimento scenografico; quando si sopravvalutano l'artificio, l'illusione e il sogno; quando addirittura la comparsa di una fanciulla che reca all'oratore un bicchier d'acqua appare, sempre sul maxi-schermo, una scena quasi sacrale, beh, forse vuole solo dire che dal congresso tematico - come fu il penultimo della Quercia - si è appunto passati a quello sintetico, inorganico, immateriale. La cui regia, naturalmente, è occulta, mistericamente affidata a figure di tecnici - come, nel caso, il regista della Rai Andrea Bevilacqua - che non stanno nemmeno in sala, ma vagolano fuori del tempo e dello spazio entro camper multi-funzionali all'ingresso «S», e c'entrano davvero poco con la politica come si concepiva fino a ieri, e in ultima analisi anche con la parola. E invece moltissimo hanno a che fare con le luci, i colori, i materiali, i rumori, i segnali da smistare sui monitor affinché giungano presto a destinazione, che poi sarebbe l'apparato psico-sensorio e in qualche modo il cuore e l'immaginazione di chi partecipa a questo primo congresso artificiale secondo nella pur breve storia del pds. Filippo Ceccarelli 'V,

Persone citate: Andrea Bevilacqua, Benigni, Confalonieri, D'alema, Occhetto, Sabattini, Veltroni