La «condanna» di Massimo superstar di Augusto Minzolini

La relazione del numero due del governo è stata sottoposta all'approvazione di Prodi La relazione del numero due del governo è stata sottoposta all'approvazione di Prodi Parleranno anche alcuni «esterni», tra cui Diego Della Valle e l'editrice Sellerio La «condanna» di Massimo superstar Bicamerale, partito e Paese: troppe sfide per il leader La mancanza di opposizione potrebbe danneggiarlo Folena: il pericolo è il plebiscito LE STRATEGIE DEL SEGRETARBO CROMA OME un monito per il futuro, l'ultimo infortunio del governo Prodi ieri ha raggiunto Massimo D'Alema durante la riunione della Bicamerale. Dopo essersi trastullato in dichiarazioni pubbliche su una manovrina che - quasi in polemica con il segretario del pds - poteva addirittura essere considerata superflua, il premier è stato riportato con i piedi per terra dalla caduta della nostra moneta. Così ancora una volta è andata in scena la commedia di questi mesi: ci sono state le telefonate del professore per tranquillizzare Bertinotti; il solito intervento di Ciampi che ha strappato al premier il comunicato con l'annuncio della manovra per consolidare la lira sui mercati; e, in ultimo, la telefonata di Prodi a D'Alema durante i lavori della Bicamerale per evitare due righe di critica - alla fine rimaste nella penna - nel comunicato dei capigruppo della Quercia sul rapporto privilegiato instaurato anche in questa occasione da Palazzo Chigi con Rifondazione. In quella telefonata il leader pds ha ascoltato le lamentazioni del premier, gli ha consigliato una maggiore «sobrietà» nelle dichiarazioni che riguardano la politica economica e alla fine gli ha confermato il suo appoggio. Poi ai cronisti D'Alema ha regalato un commento talmente asciutto da diventare un capolavoro d'ironia sulle capacità di valutazione del capo del governo: «Che fosse necessaria una manovrina di aggiustamento era ovvio». Già, «ovvio» per tutti, meno che per Prodi... Questo ripetersi di cose già viste è un monito soprattutto per quel D'Alema che, nell'immagine amplificata che ne danno i media, è diventato uno e trino (segretario del pds-presidente della Bicameralepremier ombra). Di moniti del genere, la superstar del momento ne riceve in continuazione. Sono richiami ad una realtà che lo vede onnipotente sì, ma solo sulla carta. Sembrerà strano, ma per D'Alema anche l'«owio» è una conquista: lo è nella politica di un governo che preferisce galleggiare e rinviare e che decide solo se è incalzate dai fatti. Ma anche nella Bicamerale. Sarebbe «ovvio», ad esempio, che D'Alema trovasse in Gianfranco Fini l'interlocutore più interessato alla nascita di un sistema bipolare maturo. E invece, niente da fare: il presidente di An è stato spinto dai suoi sospetti ad interpretare il ruolo del grande guastatore. «Il siluramento della legge Rebuffa - commentava nei giorni scorsi il presidente della Bicamerale - è stato un voto pieno di rancore. Purtroppo Firn non ha la tempra per prendere decisioni coraggiose. La botte dà questo vino e bisogna adattarsi...». Per l'appunto D'Alema deve adattarsi. Con Prodi, con Firn ma anche con il conformismo del proprio partito che, per non cambiare, si è uniformato al suo culto. Ma è mai possibile che il segretario del pds, nell'ultima riunione dell'esecutivo, sia quasi costretto a scongiurare i suoi a non eleggerlo presidente del partito («Meglio fare il segretario, essere conservatori, altrimenti sai cosa potrebbero dire!»)? 0, ancora, a prendere delle decisioni chiare, a contarsi in questo benedetto congresso, «perché nei prossimi mesi su questioni come le riforme istituzionali, il Welfare State, la manovrina bisognerà decidere, magari anche dividersi, perché non si può più rinviare»? E, malgrado que- Il segretario Massimo D'Alema con il premier Romano Prodi pure l'aiuto - sembrerà paradossale - di un'«owia» opposizione, mantenendo quelle differenze, che pure ci sono, sommerse o confuse nelle mediazioni. «Questo - ammette Pietro Folena - è il vero pericolo». Già, quale miscela può essere più dirompente per un leader politico di un'immagine collettiva che lo celebra onnipotente e responsabile di ogni cosa, quando in realtà è in grado di decidere poco e niente? Il pro¬ sto, c'è il rischio grosso che la platea congressuale per auto-garantirsi conceda al segretario l'unanimità, la delega in bianco per salvaguardarsi negli organismi dirigenti. Non conceda, insomma, al leader nep¬ blema di D'Alema è proprio quello di consumare il suo presente e il suo momento magico, di essere costretto ad ipotecare il suo futuro, senza poter interpretare fino in fondo se stesso, consumandosi nelle mediazioni e nei tanti ruoli che gli sono imposti dalla situazione. Deve essere il leader della componente di sinistra della coalizione ma, nel contempo, il personaggio che richiama al rigore il premier centrista del governo che sostiene. E' l'uomo delle riforme che piacciono all'Ulivo, ma allo stesso modo il «garante» della domanda di cambiamento di un Polo confuso e diviso. E' il segretario che vuole innovare il proprio partito, ma che deve pietire la nascita di un'opposizione che renda più vero il cambiamento. Insomma, tanti D'Alema perché non ce ne sia nessuno. Anche questa è una condanna. Augusto Minzolini

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