L'eretico uomo di ferro che unì Confucio e Marx di Domenico Quirico
L'eretico uomo di ferro che unì Confucio e Marx L'eretico uomo di ferro che unì Confucio e Marx sdrucito e in testa un basco alla Jean Gabin, è figlio del capo dei «bravi» di una grande proprietario del Sichuan, una delle province più povere dell'immenso impero sonnolento: si chiama Kan tse Fao «colui che scala le vette», un nome che cambierà con un altro altrettanto poetico Xiaoping, piccola pace, quando entrerà nel partito comunista. Deng, come molti protagonisti della generazione di acciaio che ha cambiato volto all'Asia, da Zhou Enlai a Ho Cln-min, è diventato comunista non tra i dannati della terra dello Yangtze ma alle catene di montaggio della Renault dove imparò ad ammirare la potenza dell'Occidente. Era un piccolo cinese, tenuto d'occhio dalla polizia francese, che non aveva soldi sufficienti per comprare i croissant di cui era ghiottissimo, e che continuava a sognare di tornare in «ciò che sta sotto U cielo». La sua carriera politica è stata per molti anni quella di un onesto gregario, un numero due oscurato dalle figure carismatiche di Mao, di Liu Shaoqi, di Lin Biao. Anche nel suo stato di servizio di rivoluzionario di professione, al ritomo dalla Francia e da un breve soggiorno in Urss, c'erano i 25 mila li della lunga marcia «tra le montagne di neve e le sabbie d'oro», ma la sua popolarità tra i capi è legata più al modo in cui cucina lo stufato di cane in salsa bruna che alle intuizioni di generale. Nella Cina diventata maoista Deng deve costruire la sue carriera come una tela paziente: vicepremier nel '52, segretario generale del partito nel memorabile '56, mentre il pianeta comunista risuona del crollo delle statue di Stalin.Davanti a lui c'è sempre il mito ingombrante di Mao; e U grande timoniere non ama quel piccolo uomo un po' sordo che alle riunioni, ha notato, si mette nel posto più lontano e proprio dal lato in cui non sente. Deng non scrive poesie come il grande timoniere, ha poche massime ma ha grande dote: è realista. Sa che alla fine i miraggi dell'utopia dovranno lasciar posto alla prosa delle cifre. Lo sviluppo non lo assicureranno i poveri altiforni autarchici del Grande balzo in avanti; occorrono le catene di montaggio che ha ammirato in Europa. E così, con pazienza, difende le ragioni dell'economia contro l'utopia xenofoba, e raccoglie intorno a sé tutti i realisti. Sono peccati gravi quando esplode lo psicodramma della rivoluzione culturale; le guardie rosse guidate da un suo commilitone della Lunga marcia, Lin Biao, glieli faranno scontare gettando suo figlio dalla finestra e condannandolo al destino di handicappato. Deng viene rieducato in una fabbrica del Sichuan, e deve preparare lo scarso cibo con le sue mani, spaccare la legna in cortile e allevare galline. Seppe che il suo esilio era terminato quando alla radio, ascoltando l'elenco dei dirigenti presenti sulla Tienanmen per l'anniversario della rivoluzione, non udì il nome di Lin Biao. Il 21 luglio del '77 il comitato centrale gli restituisce le cari¬ I GIORNI DEL CAOS APECHINO DESSO che è morto, e che la Cina si è trasformata come non avrebbero osato sperare neanche i più visionari tra i ragazzi della Tienanmen, prima o poi potrebbero venirci a dire che Deng Xiaoping non c'entra con la strage; e che l'avallo da lui dato ricevendo i militari dopo la mazzata, era basato su informazioni ingannevoli dategli da avversari. La realtà è che in quei giorni Deng sapeva benissimo ciò che faceva, e giocò il destino di tutta la sua politica e del futuro della Cina. Lo scontro decisivo non era che: la banda dei quattro è stata rovesciata e Deng può tornare a Pechino a «rimettere le cose a posto». E' la lunga stagione del riformatore, che plasma con spregiudicato pragmatismo una Cina avviata a rinnegare la millenaria povertà, l'ascetismo rivoluzionario, ma anche il monolitismo marxista, un Cina che sembra sul punto di conciliare l'inconciliabile, profitto e proprietà di Stato, economia di mercato e pianificazione. E' soltanto un'illusione dell'Occidente. Deng, dietro il look di eretico senza paura, resta se stesso: un mandarino ben consapevole che un sistema totalitario non può liberalizzarsi pena l'autodistruzione, deciso a tenere accuratamente separate tecnologia e democrazia. Come gli imperatori della dinastia Qing vuole importare le «diavolerie» moderne, tenendo fuori dalla porta le idee moderne. Domenico Quirico
Persone citate: Deng Xiaoping, Jean Gabin, Mao, Marx, Qing, Stalin, Xiaoping, Zhou Enlai
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