Il giorno in cui cacciarono Lama

Il giorno in coi cacciarono lama Il giorno in coi cacciarono lama Colletti: fu l'inizio di un lungo incubo tarlo fuori». Così racconta Daniele Pifano. Che però non nega i risvolti violenti di quel movimento: «Sì, la violenza ci fu, ma per usarla contro gli altri dovemmo esercitarla prima su noi stessi. I motivi erano tanti. Da un lato fu necessario scendere su quel terreno per autodifesa, e per conquistare gli obiettivi minimi del movimento; dall'altro, la lotta che ha come epilogo la morte del nemico, era una prassi usata dai nostri maestri. In fondo Mussolini mica l'abbiamo ammazzato noi. Insomma, lanciare una bottiglia molotov si può, e ti può anche esaltare, ma questo non implica l'approvazione razionale del gesto». Un mese più tardi, il 12 marzo, alla manifestazione nazionale di Autonomia operaia, oltre alle molotov comparvero le pistole. E ci furono gli assalti alle armerie di Roma. «Il giorno prima i carabinieri avevano ammazzato un compagno a Bologna. Qualcuno, come Avanguardia operaia, voleva sfilare in maniera composta, ma noi dicemmo che no, ognuno doveva fare come gli pareva, perché era ora di far sentire il substrato insurrezionale che c'era». A Pifano non piacciono le celebrazioni. «Perché voi vi ricordate del '77, o del '68, ma noi abbiamo fatto pure il '69, il '70, il '71... Sono trent'anni che ci facciamo un culo così per tirare su collettivi ed esperienze di base. Comunque quelli sono gli anni del riscatto, di un progresso sociale e culturale enorme. Aver rotto certi schemi, e dato dignità alle minoranze, è un patrimonio di quel periodo e di quel movimento, anche se su certe questioni, come il salario ai giovani o le lotte al Policlinico, dovevamo avere maggiore capacità di mediazione». Il professore. Costretto a casa dai postumi di ima noiosa influenza, Lucio Colletti attacca: «Evidentemente i giornali non hanno proprio niente da scrivere, se sono costretti a pubblicare pagine intere su questo 77». Dopo la «cacciata di Lama», ricorda il professore, ci fu l'occupazione di Lettere. «Durò un mese e mezzo, e distrussero tutto. Portarono via calcolatrici, macchine per scrivere, poltrone, perfino i libri della biblioteca: credo per venderli, non certo per leggerli. Ad aprile dovetti sospendere una sessione di esami per l'arrivo 4egli indiani me¬ tropolitani, quelli con la bombetta e il viso dipinto. Coi miei assistenti, tutti comunisti peraltro, scendemmo tra due ah di folla che inveiva e scagliava minacce. Sul piazzale tentarono di assalire la mia macchina, e allora fui costretto a riparare in una stanza della presidenza, da dove telefonai al rettore. L'assedio finì solo a sera». Tornato a casa, quella stessa sera Colletti scrisse una lettera al rettore e al ministro della Pubblica Istruzione, Malfatti. «Dissi che non avrei più messo piede all'università finché non fosse tornato un po' di ordine. Poi me ne andai a Ginevra, e per un altro anno fui a dispozione del rninistro. Ma le vicende personali contano poco. Conta invece sottolineare e spiegare che in quel periodo passarono in rivista le peggiori foibe di cui era permeata la società di allora». Qualche esempio? «Non si poteva dire che i terrorismi erano due, nero e rosso, perché così voleva il pei di Berlinguer. Non si poteva parlare di opposti estremismi, senza essere colpiti da cecchini attentissimi come Luigi Pintor. E nelle redazioni dei grandi giornali c'era una vera e propria dittatura di sinistra». «Il guaio è - prosegue Colletti che anche la classe politica dell'epoca non capiva quello che stava succedendo. Da due anni io mi meravigliavo che le Brigate rosse non avessero ancora colpito Andreotti o Moro, il reclutamento dei terroristi nelle università si vedeva a occhio nudo. A giugno incontrai ad una cena Malfatti e Cossiga, che era ministro dell'Interno; ci scambiammo delle opinioni, e mi resi conto che non comprendevano la gravità della situazione: credevano che il terrorismo fosse una zuffa nelle cucine del palazzo. Uscii da quella cena con le mani nei capelli. Sei anni dopo, nell'83, rividi Cossiga che mi disse: "Professore, aveva ragione lei"». Oggi Cossiga propone l'amnistia per i terroristi, e Colletti è d'accordo: «Ma solo per chiudere definitivamente quel periodo. Anche perché i germi di quegli anni continuano a circolare, come dimostra in questi giorni il clima di di indulgenza e beatificazione per tutti "i martiri e gli eroi" di Lotta continua. Meglio passare una mano di bianco su quella pagina sporca, piuttosto che riproporla sui giornali in toni

Luoghi citati: Bologna, Ginevra, Roma