Francia contro America il match centroafrìcano di Mario Deaglio

Francia contro America il match centroafrìcano Francia contro America il match centroafrìcano KINSHASA. L'esercito zairese di Mobutu ha lanciato ieri l'annunciata offensiva contro i ribelli nel Nord Est del Paese, i guerriglieri tutsi «banyamulenge» che qualche mese fa avevano espulso i miliziani della rivale etnia hutu e i governativi dalla regione dei Grandi Laghi. Incerto l'esito dell'attacco: Kinshasa ha vantato la riconquista di almeno un centro importante ma in serata i ribelli sostenevano di avere già bloccato e respinto l'avanzata. Il portavoce del governo, Jean-Claude Biebie, ha annunciato che l'offensiva «folgorante» ha già fruttato la riconquista da parte dell'esercito della città di Bafwasende, 200 chilometri a Nord della capitale dell'Alto Zaire, Kisangani. Secondo le fonti zairesi, numerosi blindati leggeri equipaggiati con mitragliatrici da 14,5 millimetri sono partiti da Kisangani diretti verso Bafwasende e verso Walikale, più a Sud. Anche i caccia leggeri di produzione italiana «Aermacchi», pilotati da mercenari ser- umanitarie, che definiscono il campo come «una polveriera», a Tingi Tingi i governativi stanno armando gli ex soldati dell'esercito ruandese e i miliziani hutu. I banyamulenge hanno minacciato ieri un attacco in forze entro due giorni se il campo non sarà smilitarizzato. Quel che è certo è che l'avanzata dei ribelli ha provocato la fuga della «legione bianca» zairese. Il ministro della Difesa di Kinshasa ha infatti annunciato che gb ultimi mercenari assoldati dal premier Kengo Wa Dongo lasceranno la città di Kisangani in questi giorni. Kabila ha rivendicato recentemente l'uccisione di 30 mercenari, assicurando che ogni soldato di fortuna catturato sarebbe stato ucciso all'istante. Nel vicino Ruanda, il presidente del consiglio di Stato Vincent Nkezadaganwa è stato assassinato l'altra notte a Kigali. Anche altre tre persone che si trovavano a casa di Nkezadaganwa, la cui identità non è stata resa nota, sono state uccise. [Ansa-Afp] — Milano, 16 febbraio 1997. Teodoro e Clara Adler, Vicky e Alessandro con Isabelle, Davide e Anna con Federico sono vicini nel costante ricordo della carissima IL fronte è lungo migliaia di chilometri: parte dalle paludi che il Nilo Bianco, sonnolento e pacioso, forma prima di precipitare verso Kharthoum; attraversa zizzagando le pietrose ambe etiopiche, si copre della polvere che imbianca la savana somala; poi guizza deciso tra i laghi smaltati di verde e le montagne nebbiose orfane dei gorilla, fino a perdersi nelle foreste dello Shaba. Dal Sudan allo Zaire, sotterraneo e feroce, si combatte il grande gioco: il tesoro da conquistare è il cuore ricco di questo continente di poveri, ricolmo di materie prime. E alla ricerca di nuovi padroni. In campo ci sono vecchi attori e ambiziose comparse: l'inossidabile ma senescente Mobutu e Yoweri Museveni, il «napoleone nero» ugandese che vuole rubargli la parte; un astuto ingegnere del fondamentalismo come il sudanese Hassan-el-Tourabi e piccoli boss come i signori della guerra somali. Sono cambiati i burattinai: sparita l'Urss, adesso il duello è tra Washington, che ha iscritto il continente tra i sacri «interessi vitali», e un vecclùo colonialismo un po' sgualcito ma volenterosainente rampante, la Francia, alle prese con l'ennesimo risvolto della odiata «americanizzazione». E' una grande guerra che bisogna leggere nelle piccole notizie. Wasliington, per esempio, ha appena dato l'annuncio che regalerà a Uganda, Etiopia ed Eritrea venti milioni di dollari di equipaggiamenti militari. A chi pensa che il Pentagono manca di senso dell'umorismo è destinato un codicillo: quello che definisce questi armamenti «non mortiferi». Una parte di questi «pacifici» strumenti sono già nelle mani dei ribelli sudanesi usciti dai santuari in Etiopia e Eritrea: li hanno aiutati a conquistare Kassala, chiave del Sudan che per due volte sfuggì al colonialismo italiano, e a lanciarsi verso Khartoum. La posta in gioco è il Corno d'Africa, trincea del nuovo «ismo» che turba i sonni di Washington. Il Sudan è una piovra fondamentalista solerte ed astuta che allunga i suoi tentacoli verso Sud: avvolge, sinuosa, i bastioni cristiani dell'Etiopia e dell'Eritrea, e scivola tra i mille clan somali. Addis Abeba e l'Asmara, forzatamente alleate, replicano maneggiando le legioni di John Garang, un tenace Garibaldi che difende il ridotto cristiano-animista del Sud. Quan- Garil cristi do non bastano gli alleati, Addis Abeba scatena raid micidiali. Truppe etiopiche controllano da mesi alcuni ridotti in territorio somalo da cui annicchilano le basi dei locali «fratelli musulmani». Il secondo frutto da raccogliere è più a Sud, il grande scrigno di minerali e materiali strategici nascosti nelle foreste fradice di pioggia dello Zaire. Qui 0 regista è un ex studente marxista, un guerrigliero formatosi in anni ormai lontani in Corea del Nord, ora diventato l'allievo prediletto del Fondo monetario che ripassa compiaciuto le cifre del miracolo economico ugandese: un prodotto interno lordo cresciuto del 7%. Museveni ha un nemico, Mobutu, un gruppo di disponibili ex compagni di scuola marxista a Dar esSalaam (uno è Garang), tutti impegnati in guerriglie; e un sogno, costruire un gigante politico ed economico nell'Africa centrale. Per lui Mobutu è il simbolo della vecchia Africa, corrotta e gracile. Museveni disegna costruzioni politiche nuove, indifferenti alle barriere artificiali dei vecchi confini coloniali. L'Uganda è troppo piccola per un'aspirazione così grande, ma dispone di un'arma micidiale: centinaia di migliaia di profughi tutsi del Ruanda, assetati di vendetta. Li ha trasformati, grazie a un altro compagno di scuola, Paul Kagame, in un esercito affilato e lo ha lanciato alla riconquista di Kigali. Per il secondo balzo c'era un'altro amico, Laurent-Désirè Kabila, con la sua quinta colonna di tutsi dello Zaire. Lo ha scagliato all'assalto del regno di Mobutu, irrobustendo le sue bandiere con migliaia di regolari ugandesi. Contro Museveni lotta il vecchio padrone, la Francia, protettrice degli hutu e del leopardo di Kinshasa. L'America, invece, accarezza il vecchio progetto dei colonialisti inglesi, creare una lunga spina dorsale anglofona che sorregga il continente (e i suoi interessi), dal fiume Congo al Mediterraneo. Al Pentagono devono stare in guardia perché un nuovo concorrente vuole entrare nel grande gioco. Il Sud Africa di Mandela creerà una forza di intervento per tener l'ordine nel suo cortile di casa, l'Africa Australe. Contemporaneamente ha annunciato che venderà armi per mille miliardi alla Siria. Washington è avvertita. J — MilanAldo Azzurra, Un'immagine della Zaire orientale fra cadaveri e miliziani in armi [foto ansa] bi, hanno ripreso a bombardare le postazioni ribelli. Ma già ieri sera i tutsi zairesi affermavano che la controffensiva in realtà è stata bloccata, che le loro truppe avanzano su tutti i fronti e che è «molto prossima» la caduta della stessa Kinsangani. Le truppe ribelli di Laurent Desiré Kabila hanno conquistato Isiro, presso la frontiera con l'Uganda, e Fara- dje, al confine con il Sudan, e si dirigono verso Buta, più a Ovest, inoltrandosi nella ricca regione mineraria di Shaba, al Sud, afferma la radio dai rivoltosi, che riferisce anche di una intensificazione dei combattimenti attorno al campo di Tingi Tingi, a Ovest di Kisangani, che ospita oltre 150.000 profughi ruandesi hutu. Secondo i funzionari delle organizzazioni ieri il governatore della Banca d'Italia Fazio. Occorre però domandarsi se i banchieri centrali, non eletti da alcuno, siano legittimati a condizionare e perfino a determinare grandi scelte politiche; e se, nel caso dell'euro, i governi europei non debbano riappropriarsi delle responsabilità di governo che a loro competono e interpretare in maniera elastica i famosi parametri, come del resto il trattato di Maastricht consente loro di fare. L'euro che nascerà in questo modo sarà certamente più debole del marco, su questo è inutile farsi alcuna illusione; sarà, però, una moneta più realistica, in grado di rispecchiare la situazione dell'Europa meglio di quanto non farebbe un euro artificialmente forte ma destinato a infrangersi alla prima seria crisi sociale. E sarà l'espressione di un consenso politico e non già di una semplice convergenza statistica. Sulla base di questo consenso politico sarà possibile realizzare il risanamento delle finanze pubbliche e il contenimento dell'inflazione e conciliarlo con le aspettative di vita decente e di bassa inflazione di qualche centinaio di milioni di cittadini europei. Cambiando i suoi marchi in nuovi euro, la Germania perderà certamente qualcosa. Si tratta però di una perdita di portata assolutamente accettabile per un Paese che ha ormai superato i traumi della guerra se confrontata con i vantaggi di far parte di un'area europea nella quale è comunque fortemente integrata, al punto che domani gli scioperi spagnoli rischiano di far fermare le fabbriche d'auto tedesche per il mancato arrivo di componenti prodotti in quel Paese. Il cammino dell'Europa verso l'unità ha visto momenti di incertezza e molte tensioni ed è in un certo senso del tutto naturale che sia così. Quanto meno la forza degli interessi deve far comprendere ai governi che, se anche non si è scelta la strada federalista di fare l'Europe par son peuple, è pericoloso pensare di fare l'Europa contro il suo popolo. Bisogna camminare sulla strada che porta all'euro ma, se si eliminano comportamenti ostinati e dogmatici, non c'è nessun motivo perché si tratti di una strada lastricata di disoccupati. I POPOLI EI NUMERI ne, ai limiti della legalità, degli autotrasportatori spagnoli. In Francia hanno scioperato camionisti e piloti d'aereo, in Belgio sono scesi in piazza i dipendenti della Difesa per protesta contro la prevista chiusura di molte caserme, la Grecia è stata a lungo paralizzata da agricoltori in rivolta contro il taglio dei privilegi previsto da quella legge finanziaria. L'agitazione dei minatori tedeschi, di ampiezza insolita in quel Paese, è quindi l'anello più recente di una catena ormai lunga, e giunge dopo un crescendo di opposizione alle politiche governative. Il cancelliere Kohl è l'uomo che ha saputo trarre le conseguenze politiche del crollo del Muro di Berlino ma sembra impotente di fronte al muro delie rigidità tedesche; e in Germania nessun partito, a cominciare dall'opposizione socialdemocratica, sembra saper bene che fare per cambiare le cose. Forse la riduzione del costo del denaro sarebbe il primo passo nella giusta direzione ma ciò potrebbe richiedere - se la cosa fosse costituzionalmente possibile - il licenziamento del governatore della banca centrale, l'onnipotente Bundesbank, arcinota per la sua ossessione per i pericoli inflazionistici, in un Paese in cui l'inflazione, da due anni scesa sotto il livello del 2 per cento, è, dopo quella svizzera, la più bassa d'Europa. In realtà occorre domandarsi se proprio la Bundesbank, mai entusiasta di dover sacrificare il marco per l'euro, non stia volutamente frapponendo ostacoli al progetto europeo. Se infatti Paesi come l'Italia e la Spagna raggiungeranno gli obiettivi prefissati, una parte dei responsabili monetari tedeschi sarà pronta a negare la sostenibilità nel tempo di questi risultati e quindi a chiudere la porta in faccia a italiani e spagnoli. Non si può, certo, dimenticare il pericolo inflazionistico, come ha giustamente ricordato gGaribcristiI Garil I cristi ico IcoJ Domenico Quirico Ico Mario Deaglio & 6