Il fantasma di Toni Negri è ancora qui

Il fantasma di Toni Negri è ancora qui Il fantasma di Toni Negri è ancora qui All'università di Padova si studia sui suoi testi «antagonisti», ha chiamato i «giorni dell'ombra», da queste parti ne sono successe di tutti i colori. Qui c'è stato il primo omicidio (due missini) delle Brigate Rosse; nel '77 s'è materializzato un contropotere sinistro: il quartiere Portello fu occupato e tenuto armi in mano dagli autonomi, all'università il terrore era diffuso, spranghe e P38. Emilio Vesce, il fondatore di Radio Sherwood, un altro degli arrestati del 7 aprile (5 anni, 5 mesi, 5 giorni di carcere e poi assolto da tutto), riconosce oggi che la «situazione era insopportabile, lo squadrismo intollerabile, ma altrettanto lo erano le insensibilità delle istituzioni». Rossana Rossanda, in uno degli inserti che il manifesto sta dedicando all'«annus terribilis», scrive: «L'asprezza del '77 e delle reazioni al '77 sono, visti da oggi, un segnale d'arrivo a zone estreme del conflitto reale, dell'idea stessa di cosa sia una società accettabile». Inaccettabile davvero era l'aria che si respirava all'università: centinaia di attentati, di minacce, di esami bloccati e condizionati. A Ezio Riondato, filosofo cattolico, hanno sparato nelle gambe. Al grecista Oddone Longo, invalido a una gamba, hanno rotto la testa a colpi di spranga. A decine di docenti hanno incendiato l'auto o il portone di casa. Ad Angelo Ventura, storico, hanno sparato per strada; lui che se l'aspettava, da mesi, ha risposto al fuoco. Aveva scritto che non c'era nulla di oscuro in quel che avveniva a Padova: sui giornali dell'Autonomia, da Potere operaio in poi, l'insurrezione era annunciata e teorizzata. L'inno di Potop, su musica sovietica, diceva: «Via dalle linee, prendiamo il fucile... non più parole, ma pioggia di piombo». Ci racconta ora Ventura: «Fu un attacco al potere diffuso. Il partito dell'insurrezione sapeva che non c'era più un palazzo d'Inverno da conquistare, ma un potere molecolare da disarticolare. Con l'azione terroristica si voleva aprire il terreno all'azione di massa, all'insurrezione». Negri, racconta Ventura, era un «uomo di notevoli qualità intellettuali. Insegnava dottrina dello Stato a Scienze politiche. Allora il potere universitario era da veri baroni. Lui aveva trasformato il suo istituto in una roccaforte di Potere operaio: era un centro di aggregazione e formazione dei quadri. Vi si entrava solo per selezione politica. Anche gli studenti venivano reclutati. Allora pubblicò le "33 tesi su Lenin", che si concludevano con l'appello alla lotta armata». Ventura sostiene che tanti anni di violenze politiche in Italia si spiegano solo con l'acquiescenza dello Stato e con il «penoso imbarazzo» in cui si trovava la sinistra incapace di prendere le distanze da un «movimento di massa», anche se violento, anche se dichiaratamente insurrezionale. Ricorda Ventura: «Ci fu addirittura una conferenza stampa di Negri, Piperno e Scalzone che si concluse con l'annuncio della lotta armata. I giornalisti prendevano appunti, i giornali pubblicavano e nessuno faceva niente». Emilie Vesce, che adesso ha 57 anni, da tempo sta con i radicali ed ha fatto anche il parlamentare, racconta quegli anni senza nostalgie: «Eravamo dentro un mare in movimento». (Anche i bancari era- no rivoluzionari, ci ha detto sorridendo Ventura). Ma la violenza, insiste Vesce, fu «di massa», che non fa meno male di quella individuale, ma consentiva ai sicari di nascondersi nel mucchio. E, poi, ai capi di salvarsi l'anima: era la moltitudine che cercava «spontaneamente» lo scontro, non loro a indottrinarla. E' l'autogiustificazio ne sociologica che, accusa Ventura, «determina le irresponsabilità dei soggetti: di spontaneo, nella storia, non s'è mai visto niente». Ma Vesce vuol dire anche che quella «massa» mise un argine al terrorismo: «Qui c'era una potenza di fuoco enorme, se fosse passata la parola d'ordine delle Brigate rosse, sarebbe successo l'iradiddio. E' solo dopo gli arresti e la sconfitta di Autonomia che le Brigate Rosse si impiantano in Veneto». Conclusione: «Non ho mai detto né pensato, come Capanna, che quelli furono anni "forrnidabui". Non voglio salvarmi l'anima per quello che ho scritto e fatto, ma non potete dirmi che sono stato un terrorista». Sovversivi, è la parola che piace di più. E' sulla natura di quella sovversione che si divise l'Italia. Ventura non ha dubbi: «Fu una strategia complessa, articolata, ben studiata. Una pletora di sigle e di "collettivi" in azione che nascondevano un unico disegno apertamente dichiarato in libri e documenti e dichiarazioni pubbliche: l'insurre- PER 11 TRATTAMENTO 01 IPERACICHTA. METEORISMO, E AEROFAGIA I LtJ HfUCNUl. UCCOS ATTMAMENTI t «OGUO UUIRATTVO SI K JtflQMO PUUSri CONUA.IAM lMHKO. «UT.MHSAN N 14*10

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