Gli osservatori dei maharaja

ASTRONOMIA ASTRONOMIA Gli osservatori dei maharaja Ugelli Collegamento elettrico con la camera di iniezione pietra di Delhi pianeti, ossia la latitudine e la longitudine, attraverso una lettura diretta (Kranti Vrit Yantra); le distanze e gli azimuth dei pianeti in rapporto alla Terra (Ram Yantra); gli azimuth in generale (Digamsa Yantra); l'ora di mezzogiorno (Narivalaya Yantra); le coordinate eclittiche (Rashivalaya Yantra); l'altezza dei corpi celesti (Unnatansha Yantra); le coordinate equatoriali di un astro, l'angolo orario e la distanza polare (Chakra Yantra); le distanze dei corpi celesti quando sono sul meridiano (Dakshino Yantra); le parti visibili della sfera celeste (Yantra Raja); la misurazione del tempo in ore, minuti, secondi (Samrat Yantra). E ancora: la longitudine, la latitudine, la declinazione, i meridiani, i paralleli, gli equinozi, i solstizi, le eclissi. Tutti e cinque gli osservatori sono chiamati Jantar Mantar. Termini derivati dal sanscrito che significano «strumenti di calcolo». Ma non contento di tutto ciò, il principe-astronomo segue personalmente la realizzazione di alcuni astrolabi in bronzo, del diametro da 1 a 3 metri ciascuno e di vario tipo (come l'astrolabium planisphaerum e quello marinum). E sempre a Jaipur costituisce una collezione unica di strumentazioni, compresi alcuni rari astrolabi, arabi e persiani, oggi conservate nei principali musei indiani, oltre che nel City Palace della «Città Rosa». E veniamo agli osservatori. New Delhi. Alla fine dell'animatissima Jampat Road, in un giardino di piante tropicali, l'osservatorio risale al 1724. Gli strumenti in mattoni dipinti di rosso hanno dimensioni notevoli. Jaipur. Accanto al City Palace, il fantasmagorico Palazzo del Maharaja della città, si trova il Jantar Mantar. L'osservatorio astronomico più completo e integro di tutta l'India, costruito dal principe-astronomo dal 1728 al 1733. Contiene 18 strumenti. Benares. Nel palazzo voluto nel 1600 da Man Singh I, raja di Amber, nei pressi del Mandir Ghat, ci sono gli osservatori astronomici (1693). Ujjain. Una delle sette città sacre dell'induismo, a 55 chilometri da Indore, conserva in Jiwajii Singh Pura Road il Jantar Mandar (1733). LA scienza astronomica in India è fino dall'antichità intrecciata con l'astrologia, e sovente la prima è spesso in funzione della seconda. Nelle scritture del «Rig Veda» e dall'«Atharva Veda» appaiono le prime codificazioni delle conoscenze astronomiche dei fenomeni celesti. Risale al 300 a.C. il «Jyotishavedanga», il primo testo organico su questi argomenti, dove sono introdotti per la prima volta calcoli e matematiche per la misurazione del tempo e dello spazio. A cui fa seguito, nel VI d.C, il Brihatsamhita (il «Grande Compendio»), del celebre astronomoastrologo Varahamihira. Opera fra le più importanti della scienza indiana degli astri e che nello stesso tempo rappresenta un vero e proprio trattato di astronomia e di astrologia. Alcuni secoli dopo il maharaja di Jaipur, Sawai Jai Singh II (1686-1743), tenta di realizzare una suggestiva utopia: fa costruire giganteschi strumenti per studiare meglio il «Grande Libro del Cielo». E' il Secolo dei Lumi e anche in India si riannoda il filo rosso che, dalla Francia di Diderot e D'Alembert, si dipana attraverso il mondo nel segno della scienza e della ricerca scientifica. Inspiegabilmente a migliaia di chilometri di distanza dall'Europa il pensiero degli Illuministi fa adepti e anche in India trova studiosi e principi illuminati disposti a finanziare gli studi e la ricerca scientifica. Sawai Jai Singh II è appunto uno di questi. Appassionato di astronomia e di matematica, si circonda di esperti di queste discipline, dà vita ad una vera e propria scuola di astronomia, raccoglie testi rari su tali argomenti, chiama alla sua corte alcuni gesuiti, fra cui il portoghese Padre Figueredo che viveva a Goa. Inoltre cura personalmente la redazione delle tavole astronomiche «Zij Muhammad Shahi» («I movimenti dei corpi celesti»). Ma soprattutto fa erigere cinque osservatori astronomici a Jaipur, Delhi, Benares, Mathura (l'unico andato perduto) e Ujjain, dotati di strumenti colossali realizzari in pietra, marmo, mattoni e arenaria. Metafisiche forme rigorosamente geometriche, di estrema eleganza architettonica e dal preciso rigore scientifico, che ancora oggi si possono ammirare in tutta la loro surreale e intrigante bellezza. Strumenti che consentono di determinare: le coordinate dei L'osservatorio i L'osservatorio in p La raffica delle goccioline d'inchiostro Pietro Tarallo me col precedente ispirò i livornesi Giovati Cosimo Bonomo, medico sulle galee della flotta granducale, e Giacinto Cestoni, speziale e naturalista. Costoro nel 1687 sottoposero alla correzione del Redi un lavoro rivoluzionario sull'acaro della scabbia. Fino ad allora si credeva che i parassiti esterni si installassero sul corpo umano dopo che una malattia ne aveva alterato gli umori. Qui invece si sosteneva che erano proprio gli animaletti a creare la malattia! Insomma, si sovvertivano le convinzioni del tempo, sulla scia di Galileo: queste scoperte naturalistiche erano sconvolgenti almeno quanto la teoria secondo cui era la Terra che girava intorno al Sole e non viceversa. Si arrivò all'ipotesi che le malattie avessero origine da quegli organismi minuscoli di cui il microscopio - magico marchingegno inventato in quei tempi dall'olandese Van Leeuwenhoek - stava rivelando l'esistenza. Fu così aperta la strada alle teorie dei contagi, che portarono quasi due secoli dopo alle scoperte di Koch e Pasteur. L impronta indelebile lasciata da Francesco Redi nella parassitologia è rivelata ancora oggi dal termine redia (forma larvale di certi vermi piatti), coniato come omaggio verso la metà dell'Ottocento dallo zoologo Filippo De Filippi. Anna Buoncristiani

Luoghi citati: Europa, Francia, Ghat, India