CASSAZIONE Il dovere di informare il malato
CASSAZIONE CASSAZIONE Il dovere di informare il malato ANCORA una volta la corte di cassazione ha dovuto ribadire, in una sua sentenza, il principio che il cittadino italiano, quando si ammala, ha il diritto di essere adeguatamente informato non solamente su diagnosi, prognosi e terapie, ma anche sui possibili rischi e sulle alternative terapeutiche. Ancora una volta dunque - si ricorda ai medici il loro dovere, di cittadini italiani, di rispettare la normativa giuridica che subordina il compimento di qualsiasi atto terapeutico al consenso del paziente, che costituisce, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, un presupposto per il regolare svolgimento dell'attività medica. Con il consenso ogni cittadino esercita il proprio diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione), esercizio che è volontario, e insieme tutela i propri diritti primari di libertà, dignità e autodeterminazione. Questi principi sono stati accolti nel nuovo Codice Deontologico dei medici italiani varato nel 1995, un codice che, garantendo il «rispetto dei diritti del paziente», sancisce il riconoscimento della sua autonomia e partecipazione attiva al processo di cura. Una riflessione su questi punti può farci intravedere il rischio che i medici, nella difficoltà di adeguarsi ai cambiamenti sociali e psicologici che investono l'attività sanitaria, passino da un atteggiamento paternalistico di beneficialità («il bene del paziente deciso dal medico») a comportamenti giuridicamente diligenti, ma impietosi, di informazione ai loro pazienti su «tutta la verità». Entrambi questi atteggiamenti sono espressione di una gestione unilaterale del rapporto di cura, lontana da un'autentica considerazione della persona del malato. E' una sfida della medicina del 2000 quella di ri .scire a integrare i progressi scientificotecnici con il rispetto giuridico e morale della soggettività dei cittadini e insieme salvare i valori di una buona relazione psicologica tra medico e paziente, che è ritenuta un significativo | motore emotivo di ogni processo di cura. Nel contesto antropologico dell'attività sanitaria, che si connota come «rapporto di aiuto», la sola informazione diagnostico-terapeutica, per quanto corretta, non è sufficiente. Essa può mantenere la sua natura di atto medico, cioè rivolto all'interesse del paziente, solo se si realizza nel quadro più ampio di una comunicazione dotata di empatia (capacità di immedesimarsi nell'altro). Strumento per questo obiettivo ò il «colloquio», che ha sue regole metodologiche. Intanto non può essere affrettato, ma ò piuttosto una progressione di incontri, in cui informazione graduale e dialogo possono permettere al paziente di orientarsi e fare domande. Del resto anche il medico ha bisogno di orientarsi e di capire: capire la personalità del paziente; conoscerne l'ambiente sociale e familiare; indagarne il grado di informazione già in suo possesso. Poiché l'atteggiamento da cui partire non è di come falsificare una realtà, ma di come far arrivare una informazione comprensibile e leale sulla «verità» medica a «quel» paziente. Per fare ciò la comunicazione medica ha bisogno di tempi di ascolto, su due versanti: ascolto del paziente, delle sue ansie e aspettative; auto-ascolto del medico, per evitare di proiettare sulla situazione del paziente il proprio modo di pensare e di sentire. Seguendo queste linee-guida, anche nei casi di gravi malattie, si ritiene oggi che una informazione chiara e veritiera, oltre che adeguarsi alla normativa giuridica, possa aspirare a raggiungere obiettivi più propriamente medici: contribuire a instaurare un rapporto di fiducia e di alleanza terapeutica; svolgere un'azione di psicoprofilassi, prevenendo le dannose conseguenze psichiche dell'isolamento dei pazienti nell'ignoranza o nell'incertezza; promuovere la speranza, per favorire nei pazienti un atteggiamento attivo di partecipazione alle terapie. Giorgio Lovera Per una svista, sotto l'articolo sull'Aids pubblicato il 5 febbraio è stata omessa la firma della coautrice Adriana Albini.
Persone citate: Adriana Albini, Giorgio Lovera
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