ARON: COME E PERCHE' DIVENTAI FILOSOFO

ARON: COME E PERCHE' DIVENTAI FILOSOFO ARON: COME E PERCHE' DIVENTAI FILOSOFO Pernierò e azione dell'amico-rivale di Sartre quell'epoca (1930 - 1931), terminati i miei studi universitari con tutti i diplomi che l'università può accordare io sono un tipico agrigé di filosofia, il che significa che non so quasi niente, se non dissertare di tutto quanto. So poco di scienza, poco di matematica e di fisica, e praticamente niente della società in cui vivo. Ho delle opinioni e delle passioni come se ne hanno sempre a quell'età, soprattutto quando si è agrigé di filosofia, ma non so molto proprio perché - come il normalista tipico di ieri, di oggi e di domani - sono capace di tenere una dissertazione o una lezione per la agrégation praticamente su tutti gli argomenti. Compio poi un breve tentativo di imparare la biologia, che dura un anno e ne concludo che, nella migliore delle ipotesi, potrei arrivare a parlare di biologia meno bene dei biologi di professione, e in questo frattempo vengo a incontrare quello che è diventato il tema di riflessione di tutta la mia vita: come si può conoscere a un tempo la società in cui si vive e se stessi? 0 ancora: com'è che si sviluppa la dia- me scopo? Qual è la capacità dell'individuo o dell'umanità presa nel suo complesso di trasformare l'organizzazione sociale che conosciamo? Cosa possiamo sperare da questo mondo? Va da sé che, aggiungendo alle tre domande kantiane le due parole «nella storia», io ne cambio radicalmente il significato. Ma, ad ogni modo, sono state proprio quelle tre domande ad essere all'origine del mio lavoro intellettuale, cioè della mia riflessione epistemologica sulla natura della conoscenza storica o storico-sociale. L'altro aspetto del mio lavoro è stato rappresentato dall'analisi critica del marxismo (analisi critica nel senso kantiano del termine). L'analisi critica del marxismo non consisteva per me soltanto nel chiedermi se Marx aveva torto o ragione su questo o quel punto delle sue teorie o se era stato confermato o smentito da questo o quell'aspetto della evoluzione storica del mondo. Su questo punto sarei proprio della stessa opinione di Schumpeter, che ha scritto da qualche parte - e lo ha scritto da non-marxista - che tutti coloro che scrivono sulla società vorrebbero senz'altro raggiungere lo stesso coefficiente di previsione di Marx, le cui analisi - pur non senza un numero non indifferente di errori - presentano una percentuale di conferme positive eccezionalmente alta. La mia analisi critica del marzismo consisteva essenzialmente nell'esame delle diverse articolazioni della interpretazione marxista della società: è per questa ragione che ho lavorato sulla economia politica per comprendere Il Capitale e discuterne, e per la stessa ragione ho lavorato su argomenti sociologici per vedere in quale misura era soddisfacente una interpretazione della società nella sua globalità condotta facendo ricorso ai concetti marxiani di forze e di rapporti di produzione. La mia riflessione sul marxismo si svolgeva su due piani: da una parte sul piano trascendentale, affrontando il problema di ciò che si può sapere e di ciò che si deve fare e, dall'altra, sul piano della discussione delle teorie o delle analisi dello stesso Marx. Ora, è proprio riflettendo sul pensiero di Marx che, a quell'epoca, in Germania, mi sono incontrato con la tradizione dello storicismo. Volevo riflettere essenzialmente su Marx ed il marxismo, e invece mi sono trovato a scoprire la tradizione storicistica, la tradizione dell'ermeneutica, la fenomenologia e l'esistenzialismo ed è stato così che, una trentina di anni fa, ho contribuito alla «germanizzazione» della filosofia francese. Io appartengo infatti ad una generazione che ha introdotto nella filosofia francese un certo numero di temi che in buona misura sono specificatamente tedeschi. Appartengo alla stessa generazione di Sartre. Sartre è andato in Germania seguendo il mio suggerimento. Sartre ha studiato la fenomenologia perché sono stato io a suggerirgli che era la fenomenologia la filosofia di cui egli aveva bisogno per esprimere la sua visione del mondo. lettica tra la società che fa di me quello che sono e me stesso, che voglio definirmi in rapporto ad essa? La dialettica tra la società fuori di me e la società in me conduce a interrogarsi sulla conoscenza che l'individuo può acquistare di questo mondo che è fuori di lui ed in lui. E' la fondamentale questione filosofica che mi sono posto per tutta la mia vita e che mi continuo a porre. Mi sono imbattuto in questo tema un giorno, passeggiando lungo il Reno, quando ero lettore all'università di Colonia, e non ho mai smesso di riflettere su questo problema nelle sue diverse forme. E' cwio che non ho passato tutto il mio tempo a speculare su questo tipo di dialettica tra l'individuo e la società. Ma ho sempre pensato che viviamo in due mondi: il mondo degli oggetti sensibili e il mondo degli oggetti dotati di senso, oppure - se volete esprimervi diversamente - delle cose sensibili e degli oggetti con un senso o un significato. Le cose serebbero più chiare se parlassi tedesco: basterebbe fare uso del termine sinnhaft, termine che evita ogni equivoco legato al termine sensato (senséi. Se è infatti vero che il mondo storico è un mondo con un senso, esso non è però necessariamente un mondo sensato (sensé), nei termini in cui si dice che un uomo è sensato o no. Questa relazione dialettica tra la società e il soggetto storico mi ha condotto a porre, a proposito del marxismo, la fondamentale questione del rapporto tra sapere LEZIONI SULLA STORIA Raymond Aron // Mulino pp. 546 L. 65.000 ed agire. E' stato in quegli anni che ho cominciato a riflettere sul marxismo, ma il mio modo di riflettere era duplice. Da una parte una riflessione di tipo astratto, filosofico, epistemologico, che all'epoca e lo faccio ancora oggi - traducevo nelle tre domande kantiane: Was kann ich wissen? Was soli ich tun? Was darf ich hoffen? (Che posso sapere? Che debbo fare? Che cosa ho il diritto di sperare?). Ho finito tuttavia con il pormi queste domande in una forma particolare. Mi sono domandato: cosa posso sapere, e che abbia una sua validità sulla società in cui vivo, che fa di me quello che sono e dalla quale non posso prendere le distanze, ma da cui invoce devo prendere le distanze proprio per comprenderla obiettivamente? D'altra parte, cosa devo fare in una società che conosco male e dinanzi ad un avvenire che come tutti quanti - non posso prevedere? E, in terzo luogo, cosa posso sperare - non certo nell'altro mondo, ma in questo mondo - per quanto riguarda la società dei mie anni a venire, o almeno del futuro dei miei figli? E' per queste ragioni che, nella mia tesi di dottorato sui limiti della oggettività storica sollevavo il seguente problema: cosa posso sapere in termini di validità universale sulla società nella quale vivo e tenuto conto dei limiti del mio sapere? Qual è il ruolo della scelta dei valori o dello decisione che interviene ad un momento dato? E, infine, cosa posso danni co- L Ideologo francese (1905-1983) traccia un bilancio del suo rapporto con Marx e lo storicismo tedesco Raymond Aron Raymond Aron Le sue «Lezioni sulla storia» escono per II Mulino

Luoghi citati: Colonia, Germania