NELL'OASI DI FORTUNATO A SVELENIRE LA VITA di Mario Fortunato

NELL'OASI DI FORTUNATO A SVELENIRE LA VITA NELL'OASI DI FORTUNATO A SVELENIRE LA VITA L'ARTE DI PERDERE PESO Mario Fortunato Einaudi pp. 210 L 28.000 NNUMERABILE esistere / mi scaturisce in cuore» scrive sul taccuino uno dei protagonisti di questo struggente bellissimo romanzo di Mario Fortunato e i versi rilkiani potrebbero suggerire l'indiscrezione affettiva, neocrepuscolare che l'autore effonde con equità su personaggi e cose, atmosfere e luoghi, come fasciati da una tristezza remota, indecifrabile, oscura e da una luce accecante, quella delle illusioni che via via si perdono. Ed è anche la luce di Djerba, isola topica di diramazioni e compimenti, come il ponte di un celebre romanzo di Torton Wilder, che crollando origina il mistero di quegli individui che casualmente vi transitavano. Perché è qui, nel conforto e riparo di un'oasi turistica, che approdano i derelitti esseri di L'ARTE DI PERDERE PESO Mario Fortunato Einaudi pp. 210 L 28.000 cui Fortunato racconta frammenti di vita, ne collega gli esiti, quasi a intravedere una possibile verità, una verità altra che le citazioni disseminate nei testi accentuano. Un delitto, apparentemente sessuale, accelera e coagula i destini, come se a quel corpo scoperto sulla spiaggia fosse affidata una catartica deliberazione: e l'accusato che però non ha ucciso espia nel carcere tunisino altri errori, altri silenzi e più gravi mancanze, come quella rimossa dall'abbandono di un soldato ferito, durante la guerra. Così tutti gli altri personaggi narrati in diretta o per luci interposte, attraverso lettere, diari, foto ingiallite, monologhi, scontano le incertezze e i timori di un'esistenza solo subita o sprecata: dal professor Fabre, sperso dietro un miraggio kavafisiano, al fotografo David che cerca col suo lavoro un antidoto alla menzogna, all'assistente giapponese Oku dominato dall'ossessione del viaggio, alla collega Myriam afflitta da una punitiva bulimia che prova a risolvere apprendendo la lingua del cibo, a Lina, madre e casalinga infelice che scopre nell'amicizia e nella lettura una sorta di lenitivo riscatto, agli oscuri gemelli di Madame Lebrun, impicciona e odiosa, forse l'unico personaggio veramente antipatico del diorama che lo scrittore muove nel tempo e nello spazio divaricati. Il filo intrecciato di un disegno ineffabile accosta e disunisce, connette e separa definitivamente questi esseri affranti, per attimi alla ribalta di un palcoscenico sempre sconnesso o estraneo, prima che la morte quasi chirurgicamente non chiuda il requiem, l'epitaffio della loro instabile presenza: «Come è ammirevole colui che non pensa "La vita è effimera" vedendo un lampo», dice uno di loro. Fortunato segue i suoi personaggi da una distanza ravvicinata, partecipe insieme e discreta, ne perde le tracce, disloca i tempi con prolessi ellittiche e dilata gli spazi in luoghi turistici, lontani e casuali, lasciando così trasparire un intento narrativo, che va al di là del racconto di anime alla deriva, quasi la necessità di radicalizzare i momenti lirici che le domande estreme sottese esalta¬

Persone citate: Fabre, Mario Fortunato