L'AUTOSCONTRO DI DETROIT di Masolino D'amico

L'AUTOSCONTRO DI DETROIT L'AUTOSCONTRO DI DETROIT «Motor City» con vip Anni 50 A critica autobiografica è passata di moda col romanticismo; tuttavia può aiutare a descrivere questo Motor City il fatto che il sottoscritto sia stato contento di trovarselo nella borsa durante una lunga mattinata all'aeroporto di Linate paralizzato da una nebbia improvvisa. Il libro non era infatti né così profondo da esigere uno sforzo di concentrazione quale l'occhio continuamente rivolto al tabellone delle informazioni avrebbe scoraggiato, né d'altro canto così frivolo e inconsistente da irritare il viaggiatore maldisposto; non era così breve da esaurirsi in poco tempo, né così pesante da fiaccare la mano che lo sorreggeva; non era così frammentario da disperdere l'interesse, ma neanche così monolitico da saturare dopo una dose massiccia. Primo romanzo di un giornalista di cui il breve profilo del risvolto dice solo che ha fatto anche il disc-jockey e il pony express, richiama un romanzo famoso, Ragtime di E.L. Doctorow, nel proporsi come rievocazione caleidoscopica di una città colta in un momento della sua evoluzione, nonché nel mescolare personaggi veri, questi in apparizioni secondarie tipo «carneo», con quelli inventati. Doctorow, nato nel 1931, aveva descritto la possente New York del 1906; Morris, nato nel 1952, ambienta la sua storia, o meglio il suo intrico di storie, nella Detroit del 1954, dove naturalmente tutto ruota intorno all'industria dell'automobile. La vicenda principale riguarda un ambizioso executive, di cui è anche brevemente rievocato il passato di audace aviatore, e i suoi tentativi di fare carriera lanciando un nuovo modello di Buick mentre contemporaneamente ha una storia con una disegnatrice, trascura il proprio matrimonio con una bella ereditiera già aspirante scrittrice, e tenta di scoprire il dipendente infedele che ha passato alla concorrenza i disegni di un nuovo paraurti. Fra gli altri personaggi sono un altro executive che rintraccia a Hiroshima la giapponesina sfigurata dall'atomica con cui aveva avuto un timido flirt; uno sciatto giornalista ebreo che da Washington, dove raccoglie maniacalmente materiale contro il disprezzato presidente Eisenhower, passa a Detroit per un servizio che risulterà molto meno ditirambico di quanto la Buick si augurava; un giovane ed emergente progettista negro; uno sciagurato impiegato polacco oberato da debiti di gioco. Fra le celebrità ospiti figurano Marilyn Monroe (sulla quale il visionario dirigente vorrebbe impiantare una campagna di lancio), che prima di celebrare le nozze con Joe Di Maggio si ossigena le parti basse con uno spazzolino da denti; Elvis Presley nel chiassoso camiciotto di un rozzo ragazzotto del Sud che sorprende tutti alla sua prima esibizione radiofonica, cantando come uno di colore; Neal Gassady e Jack Kerouac pronti a lanciarsi sulla strada come camionisti senza licenza quando la produzione delle auto viene gonfiata abnormalmente, e i concessionari vengono inondati di veicoli da smerciare a qualunque condizione; Ray Kroc, venditore nato che compra dai fratelli MacDonald, gestori di un prospero esercizio, l'idea di vendere hamburger a getto continuo senza personale di servizio, e quindi impianta una catena di locali tutti uguali al prototipo; Vladimir Nabokov, eccentrico professore di comparatistica che mentre dà gli ultimi tocchi a un romanzo sicuramente invendibile intitolato «Lolita», svergina una studentessa sul sedile posteriore della sua Buick, parcheggiata su cavalietti nel giardino di casa sua alla Cornell University perché priva di ruote e motore. Accantonando la gratitudine per essere stato intrattenuto in un momento difficile, il lettore potrebbe osservare che questi interventi e altri ancora, tutti ininfluenti sulle trame, possono finire per sembrare troppo programmatici. D'altro canto insistervi rischia di dare un'idea sbagliata del libro, sotto la cui apparente frammentarietà e quasi svagatezza di cui tali civetterie fanno parte, si trova in realtà un disegno coerente, quello di suggerire appunto tramite il disordine spesso alcolico e la stessa scarsa conclusività delle situazioni (alla fine nessuno ha veramente risolto i suoi problemi, ma è passato un anno e bene o male qualcosa comunque è successo - proprio come succede nella vita) quell'affannarsi nell'inseguimento di un sogno più o meno grandioso, che senza dubbio costituisce il tratto caratteristico dell'«homo americanus», anche quando non lavora per la General Motors. Masolino d'Amico

Luoghi citati: Hiroshima, New York, Washington