Pechino assalto al consolato di Seul

I cinesi rifiutano l'incontro con l'inviato del Sud che chiede il via libera per Hwang I cinesi rifiutano l'incontro con l'inviato del Sud che chiede il via libera per Hwang Pechino, assalto al consolato di Seul Nordcoreani respinti, volevano riprendere il disertore F «Fuggo dalla follia del Nord guidato da criminali ajfamatori » i » La grande «esse» dipinta di fresco risalta sui blindati come una toppa incollata sulle buone intenzioni. Sono decine, i mezzi della Nato allineati lungo la strada. Il cambiamento di sigla delle forze d'intervento (non più «Ifor» ma «Sfor», col cambio d'iniziale a indicare il concetto di stabilizzazione) deve aver impegnato decine di genieri con qualche quintale di vernice bianca. Eppure, non è che il risultato sia diverso. Oggi, ad un anno e mezzo dagli accordi di Dayton, su trenta chilometri quadrati si addensano mezzi corazzati ed elicotteri francesi e americani. Un carro armato serbo è stato appena bloccato. Tutt'intorno forze musulmane e della «Seprska Republika» continuano a svolgere «manovre». «Display determination», dice l'ordine: mostrare risolutezza per impedire che chiunque possa approfittare del momento per scatenare nuovi episodi di guerriglia. Poche ore ancora ed a Roma entro il mezzogiorno di oggi Robert Owen, giurista americano, dinanzi ai rappresentanti del Gruppo di contatto ed al mediatore Cari Bildt farà sapere al mondo quale dev'essere la sorte di Brcko, del suo «corridoio», del suo porto ed in fondo della pace. Forse ce n'eravamo dimenticati ma l'intera architettura di Dayton, il castello dei suoi fragili accordi, ha rinviato la costruzione di due pilastri. La Slavonia, sempre in procinto di tornare alla Croazia, e questa fettuccia di terra che si definisce «corridoio della Possavina». Una striscia larga al massimo sei chilometri che però unisce la Repubblica serba da Pale a Banja Luka, e nello stesso tempo impedisce alla Bosnia musulmana di collegarsi alla Croazia, al fiume Sava, alle fertili pianure ed alle strade verso il Danubio e l'area meridionale dei Balcani. Per i serbi di Bosnia questa è l'arteria femorale della cosiddetta Repubblica, per i musulmani un cordone stretto al collo. I croati possono permettersi di stare a guardare. La comunità internazionale, dopo un primo rinvio di due mesi, oggi deve decidere. Ma in base a quale principio? «Il principio può essere uno solo: quello fissato negli accordi», risponde a muso duro Simo Kojic, segretario locale del «Sds», il partito socialista serbo di Radovan Karadzic. «Il testo è chiaro: qui non è in discussione l'appartenenza della città alla Repubblica serba di Bosnia, ma solo l'ampiezza del territorio che la circonda». La posizione dei musulmani è altrettanto netta: «Brcko era nostra e nostra tornerà ad essere». Ognuno minaccia ritorsioni, tornano a rullare tamburi di una guerra per ora fatta solo di parole. Sceverare le ragioni dai torti in questo caso prevede un'operazione che è distillato delle relatività balcaniche. La città, le sue fabbriche in disuso, le sue rovine ed il suo porto (compresi 1 locali che furono tramutati in campo di concentramento per musulmani) dev'essere assegnata in base alla politica dei princìpi o a quella dello «statu quo»? E' vero: nel '90 sui 40 mila abitanti di Brcko e gli 86 mila della municipalità il 47 per cento era rappresentato da musulmani (contro un 27 di croati, un 20 di serbi, un sei per cento di «jugoslavi»). Poi i serbi di Krajna at- PECHINO. Si complica la vicenda del massimo ideologo del partito comunista nordcoreano Hwang Jang-Yop, rifugiatosi dall'altroieri insieme a un altro uomo nel consolato della Corea del Sud a Pechino. L'altra notte, due auto con targa dell'ambasciata nordcoreana hanno tentato di forzare il blocco della polizia nel quartiere diplomatico e di arrivare al consolato, ma sono state fermate dagli agenti cinesi che impediscono a chiunque l'accesso. Pechino, riferiscono fonti giornalistiche sudcoreane, è furibonda con Seul per la gran pubblicità data alla vicenda di Hwang, e si trova in grande imbarazzo perché il settantatreenne segretario del pc di Pyongyang ha scelto proprio la capitale cinese per disertare e chiedere asilo politico alla Corea del Sud. A dimostrazione dell'irritazione cinese, le autorità di Pechino si sono rifiutate ieri di ricevere un inviato da Seul per discutere una soluzione. Pechino si trova nella scomoda situazione di dover scontentare per forza una delle due Coree, e per ora non lascia intendere quale sia il suo orientamento. Fino a ieri sera non aveva concesso il nulla osta alla partenza di Hwang per Seul, continuando a dar credito (per mostrarsi totalmente imparziale fra nord e sudcoreani) anche alla versione di Pyongyang, secondo cui l'ideologo del comunismo del Nord non è fuggiasco, ma «rapito» dai cugini del Sud. Il portavoce del ministero degli esteri cinese ha detto che «verifiche sono in corso per capire cosa sia successo» e che la Cina ha «invitato le parti alla calma». Fra l'altro, Cina e Corea del Nord hanno un trattato per l'estradizione dei disertori, firmato nel 1978, in base al quale i nordcoreani che cercano di fuggire dal regime attraverso la Cina devono essere rimpatriati. LA LETTERA DE HO lavorato sinceramente per oltre 50 anni come membro del partito dei lavoratori coreani, e ho avuto amore e considerazione dal partito e i suoi leader. Perciò non ho altri sentimenti se non gratitudine verso il partito e i dirigenti. Non credo che la Repubblica (della Corea del Nord) sia in poricolo di crollare, perche mantiene una forte coesione politica malgrado stia ora attraversando un periodo di difficoltà economiche». «Si deve rilevare che è in queste circostanze che ho deciso di rinunciare a tutto e venire al Sud. La mia famiglia e altri penseranno che io sia diventato pazzo. Anche io sono sfiorato dal pensiero di essere impazzito. Ma non credo di essere il solo ad essere pazzo. Più di mezzo secolo ò passato dalla divisione del popolo coreano, ma pur proclamando di volere la riunificazione della madrepatria, le due parti si guardano l'una l'altra come nemiche, e minacciano di far scomparire l'altra parte in un mare di fuoco. Si può dire che tutto sia sensato?». «Sono mentalmente sani coloro che proclamano di aver realizzato il paradiso dei lavoratori e dei contadini, quando lavoratori e contadini stanno morendo di fame? Al tempo stesso, non posso capire quei sudcoreani che continuano a inscenare manifestazioni di Di Hwang sono circolate ieri due lettere aperte. Una sarebbe stata scritta un mese la e spedita a un uomo d'affari di Seul; non esistono prove della sua autenticità, ma la pubblica il quotidiano sudcoreano «Chosun Ubo». «La Corea del Nord non ò uno Stato socialista - vi si legge - ma un'arretrata società feudale dominata da un leader dispotico come Kim Jong-Il. La popolazione soffre pe¬ ne indicubili e le è pressoché impossibile sollevarsi e liberarsi da questo giogo. Il culto della personalità ò arrivato a livelli impensabili...» e via di questo passo con affermazioni impensabili da parte di uno dei responsabili del sistema totalitario nordcoreano così com'è. Della seconda, senz'altro autentica e pure apparsa sulla stampa locale, pubblichiamo di seguito il testo integrale, [e. st.] stescont protesta, incuranti del fatto che una considerevole parte del popolo coreano, a Nord, e affamata». «Dopo un'angoscia sofferta per anni e anni, ho deciso di lasciare il Nord, allo scopo di discutere in larga prospettiva con i coreani del Sud i modi di salvare il nostro popolo dalla tragedia». «Affido il mio destino alle mani del tempo 11 giudizio sulla mia azione, lo affido alla storia. Sono al tramonto dei miei anni. Io sono un fallimento in politica. Non ho intenzione di prender posizione o di cercare facili onori. Spero che fin da oggi la mia famiglia mi consideri perduto, mi rinneghi, mi dimentichi. Voglio soltanto dedicare i miei ultimi momenti alla riconciliazione e alla riunificazione del Sud e del Nord». «Sono molto grato per l'ospitalità offertami dai degni amici della Chosoren (l'associazione dei coreani in Giappone sostenitori del Nord), e al tempo stesso mi sento colpevole verso di loro». «Spero che tutti i miei amici e conoscenti mi considerino perduto. Mi scuso con gli amici cinesi, che amo molto, per i problemi che col mio gesto sto provocando alla Cina». Yop Hwang Jang-Yop taccarono e conquistarono spazio. Oggi guardiamoci attorno. Questa cittadina ornata di palazzotti bianchi e azzurri adesso mostra sulle facciate tutti i segni della guerra, e sulle facce la rabbia frustrata di serbi che l'hanno trasformata in povero definitivo asilo. Un centinaio di musulmani hanno cercato di tornare: vivono protetti dalle forze Nato, senza futuro. La maggioranza dei rifugiati (privi di passaporto, di lavoro, di qualsiasi identità eccetto il livore) è schiacciante. Sono circa 4(3 mila oggi: calcolare in quarantamila anime la presenza serba e abbastanza realistico. Si tratta d'immigrazione recente, certo. Quella che un anno fa spinse molti a bruciare le case di Grbavica o Vogosca (le aree serbe di Sarajevo, destinate a passare sotto il controllo di Izetbegovic) e spostarsi fin qua, in una beffarda contromigrazione. Aggressori costretti a trasformarsi in rifugiati: nello stesso modo, colonne di profughi si sono incrociate in Bosnia lungo ogni direttrice. Questa considerazione - la necessità di mettere almeno un punto fermo in una storia che altrimenti durerà all'infinito - pare stia orientando il mediatore americano verso una soluzione che in un modo o nelaltro scatenerà reazioni. «Brcko resterà serba almeno per un anno - prevedono informatori qualificati - ma sotto controllo Usa e con l'impegno che a croati e musulmani sia garantita libertà di movimento. In caso contrario, la citta passerebbe sotto il controllo delie orzi; Nato». Dov'essere qualcosa in più di un'ipotesi poiché ieri il capo della presidenza collegiale di Bosnia-Erzegovina, Alja Izetbegovic, ha fatto giungere ai rappresentanti del Gruppo di contatto una dichiarazione ultimativa. «Se Brcko resterà ai serbi presenterò subito le dimissioni». Un anno di faticose ricuciture, di elezioni-farsa tenute in piedi ai di là delle evidenze, un anno in cui l'Occidente ha profuso in Bosnia centinaia di milioni di dollari e buona parti; della sua credibilità, rischiano di saitare in un solo giorno. L'ipotesi alternativa Ima in questo caso andrebbe messa in conto la reazione serba) potrebbe prevedere mia città tripartita, con la zona Est affidata ai serbi, l'area Ovest (quasi tutta composta da villaggi di collina) sotto amministrazione croato-bosniaca ed il porto sulla Sava sotto controllo internazionale. Una sorta di Gaza dei Balcani, che continuerebbe a svilupparsi per superfetazione, accumulando errori su errori solo per l'incapacità di compiere una scelta. Co n'eravamo dimenticati, ma la cosiddetta pace eh Dayton ha lasciato aperto nella ex Jugoslavia un problema enorme. I rifugiati serbi in Serbia sono oltre 600 mila, i serbi nella Repubblica serba di Bosnia quasi 400 nula. I musulmani fuggiti dalle loro case dovrebbero assommare ancora intorno al milione e 200 mila. Sono tutti in attesa di sapere se la comunità internazionale consentirà loro di tornare nelle case di un tempo (con enormi problemi di sicurezza) o se il futuro è lì dove si trovano adesso. Una funzionaria della Croce Rossa di Belgrado, Olga Milanovic, pochi giorni fa mi ha detto quanto famiglie, in oltre un anno, hanno deciso di tornare nelle case della Krajna, oggi croata. Neanche conto. Di questo passo, per risolvere il problema occorrerebbero circa 236 anni. Giuseppe Zaccar