«In Europa? Si entra con le riforme» di Massimo Giannini

«Le decisioni che prenderà la Bicamerale contano quanto i parametri di Maastricht» «Le decisioni che prenderà la Bicamerale contano quanto i parametri di Maastricht» «In Europa? Si entra con le riforme» Umberto Agnelli: è l'instabilità politica a spaventare Bonn «Ha fatto bene Massimo D'Alema a spendersi in prima persona Il governo agisce positivamente ma ha dei limiti genetici perché Prodi deve appoggiarsi all'ala rivoluzionaria di Bertinotti» «Non credo esistano complotti E poi, se tutti i Paesi arrancano il Trattato si può applicare anche in modo flessibile cioè valutando l'avvicinamento tendenziale alle cifre stabilite» IL PRESIDENTE DELIZI FI «LLONDRA A Bicamerale è lo snodo di tutto, per l'Italia. E ha ragione D'Alema ad investirci tutte le sue energie. Perché se il lavoro della Commissione darà i suoi frutti, se sapremo uscire dalle ambiguità istiìuzionali prodotte dal "Mattarellum", e darci una forma di governo più stabile ed efficiente, allora anche il nostro ingresso in Europa con il gruppo di testa verrà di conseguenza. Perché sono questi, forse ancora di più di quelli del bilancio pubblico, i deficit che spaventano i nostri partner europei: deficit di stabilità, deficit di governabilità». A Londra su invito dell'Istituto italiano di cultura, Umberto Agnelli vede un'Italia ricca di contraddizioni: un «governo di coalizione dove convivono tante anime», e che ha bisogno per esistere di «appoggiarsi ad un'ala politica ancora fondamentalmente rivoluzionaria», come Rifondazione comunista; una Sinistra «che sta facendo grandi sforzi di rinnovamento grazie all'impulso riformista di un leader come D'Alema, ma che di fronte alle scelte decisive continua a sentire gli antichi richiami della foresta»; un sindacato che purtroppo «è tornato ad essere interlocutore politico», e che spesso si comporta più come «governo-ombra» in materie come l'assetto dello Stato Sociale, che non come una semplice parte sociale. Ma dal suo osservatorio europeo, Agnelli vede anche un'Italia che ha di fronte a sé una grande opportunità: quella di «cambiare davvero», grazie appunto al lavoro della Commissione Bicamerale. Un'Italia che può coronare il sogno di Maastricht, proprio se si dimostra credibile sul piano istituzionale, e se dimostra di aver capito che, «di fronte alla sfida della globalizzazione, deve passare dagli antichi privilegi e le inique inefficienze del suo "Welfare State" alla flessibilità di un nuovo "Welfare System"», e dunque non può eludere «l'appuntamento immediato con una riforma delle pensioni». Dottor Agnelli, partiamo proprio dal tema di Maastricht, sul quale ruota il dibattito politico di questi giorni. Lei è ottimista o pessimista, sulla possibilità che l'Italia riesca ad entrare nel gruppo di testa dell'Euro? «Preferisco evitare le categorie dell'ottimismo e del pessimismo. Meglio parlare in termini di speranza, piuttosto. Ma per poterla alimentare, questa speranza, servono alcune condizioni molto precise...». Il rispetto dei famigerati criteri del Trattato. L'Italia, secondo Eurostat, pare sulla buona strada... «Certo, rispettare i parametri di Maastricht è un "must" al quale non si può sfuggire. Ma non è il solo, mi creda. L'elemento che più spaventa i nostri partner europei a partire dalla Germania, nella prospettiva di un nostro ingresso fin dall'inizio nella moneta unica, non è tanto il rapporto deficit/Pil al 3%, che mi auguro sia alla nostra portata, ma l'instabilità del nostro assetto istituzionale, la scarsa chiarezza del nostro quadro politico». Eppure i tedeschi continuano a dire «ognuno faccia bene i compiti a casa, poi si valuterà in base ai parametri...». «E' chiaro, ma in una situazione in cui tutti i Paesi arrancano, questi parametri, interpretando il Trattato, si possono applicare in due modi, entrambi consentiti: in modo rigido, cioè le cifre della convergenza sono quelle e non si discutono, e in modo flessibile, cioè valutando anche l'avvicinamento tendenziale a quelle cifre. Bene, io credo che la differenza, ai fini di questa duplice valutazione, la farà proprio la stabilità politica: più un Paese è stabile, più sarà flessibile l'applicazione dei crite- ri, e viceversa. E' anche per questo che, oggi, un Paese come la Spagna, più o meno nelle nostre condizioni dal punto di vista della finanza pubblica, è politicamente avvantaggiato nella corsa verso Maastricht: perché da Aznar m poi si è data un assetto di governo solido, affidabile». Quello che invece manca all'Italia... «Infatti. Per questo io attribuisco la massima importanza ai lavori della Bicamerale, anche nell'ottica di Maastricht: perché se noi riusciamo a darci una solida forma di governo, se riusciamo ad uscire dalle ambiguità residue del proporzionalismo per abbracciare pienamente il maggioritario, la disponibilità dell'asse franco-tedesco ad accoglierci in Europa non manca, anzi...». Quindi lei non crede all'ipotesi del complotto anti-italiano da parte della Bundesbank e di Kohl? «Ma via, quale complotto! Kohl, viceversa, sarebbe ben felice di far partire un'Euro su una base più ampia possibile, ma ha il problema di convincere la sua opinione pubblica che vuole un'Euro forte come il marco, e quindi teme la partecipazione dei Paesi politicamente meno affidabili, più che di quelli che sforano il rapporto deficit/Pil di qualche decimale. Noi siamo tra questi Paesi. Per questo il Cancelliere, nei confronti dell'Italia, mostra umori alterni: al vertice di Bonn ha fatto grandi aperture di fiducia, mentre domenica sera, in un'intervista alla Tv francese, l'ho visto svicolare di fronte a tutte le domande sulla situazione italiana». C'è anche chi pensa, persino all'interno del governo, che in realtà alla fine sarà rinviato tutto il progetto di Unione monetaria. Forse anche per questo, nel governo, ora c'è chi esclude la manovrina di marzo. «Sarebbe un gravissimo errore, da parte del governo italiano, scommettere su un rinvio, e quindi abbassare la guardia sul fronte delle riforme istituzionali, non cogliendo la grande opportunità offerta dalla Bicamerale, e degli sforzi per il risanamento dei conti pubblici, rinunciando alla manovra aggiuntiva o all'ipotesi di anticipare la Finanziaria del '98. L'Unione monetaria, anche se costa sacrificio, presenta vantaggi politici ed economici evidenti: è l'unica e la più importante occasione che si presenta all'Europa da fine millennio per restare competitiva e per salvare, rinnovandolo, il suo modello di sviluppo, la sua tradizione democratica, il suo progresso sociale». Ha ragione Ciampi a dire che se entrassimo un anno dopo sarebbe un dramma. Ma non le sembra un po' isolata, a questo punto, la linea ri- «Nla un partner scomodo... «Non "comunque": lo saremmo se non ci dimostrassimo capaci di fare, in questo anno che abbiamo di fronte e che è decisivo, le riforme coraggiose di cui c'è bisogno. Fino ad ora, diciamo la verità, di scelte coraggiose non ne abbiamo viste». Cos'è, una dichiarazione di sfiducia nei confronti del governo Prodi? «No, vede, io penso che il governo Prodi abbia agito positivamente, ma all'interno dei suoi limiti "genetici", che sono e restano tanti. Perche e un governo nato da una riforma elettorale ambigua e pasticciata, che non ci ha certo traghettato, come invece si sperava, dalla vecchia "stabilità" della Prima Repubblica - dove cambiavano pure i primi ministri, ma a governare erano sempre la de e i suoi alleati e all'opposizione c'erano sempre i comunisti - alla nuova e moderna stabilità bipolare della Seconda Repubblica. E poi perché è un governo di coalizione, in cui convivono le diverse anime della Sinistra, quella più ortodossa e quella riformista, con i residui di un'anima democristiana, e che per esistere è costretto a cercare a tutti i costi il consenso di Rifondazione, cioè di un partito fondamentalmente rivoluzionario». E' il punto dolente del leader del pds D'Alema, del resto... «E ha ragione, anche se, vorrei aggiungere, lo stesso pds vive ancora una sua intrinseca contraddizione. Le pare normale, o comunque comprensibile per l'opinione pubblica italiana o per i leader politici del resto d'Europa, che D'Alema litighi con Bertinotti, e Veltroni al governo lo difenda?». Sono i paradossi del governo dell'Uhvo... «Certo, ma sono anche le incertezze dei pds, che io spero possa superare con il prossimo congresso. Perché finora quel partito ha fatto grandi e apprezzabili sforzi per cambiare, per aprirsi alle sfide della globalizzazione, ma quando è messo alle strette, e deve prendere decisioni strategiche, spesso si ritrae, fa marcia indietro perché sente gli antichi richiami della foresta. Questo si vede chiaramente nel dibattito sulle privatizzazioni, e ancora di più sulla riforma dello Stato sociale». Appunto, parliamo proprio di Stato sociale. Ormai pare chiaro che, nonostante gli sforzi, la linea Ciampi non passa, la verifica sulla riforma delle pensioni del governo Dini si farà solo nel '98. E già qualcuno, nel governo, dice che per il '97 bisogna evitare anche il contributo di solidarietà. Lei che ne pensa? «Penso che sarebbe un grave errore, perché quella della previdenza è una riforma prioritaria. Intanto perché mina alla radice la tenuta dei conti pubblici, e poi perché è l'emblema degli iniqui paradossi del "Welfare State" all'italiana, che salva i privilegi di chi è già ampiamente tutelato e le pensioni da 8 milioni al mese, ma non fa nulla per i giovani disoccupati. Quindi, sulle pensioni, prima si interviene meglio è, proprio per le ragioni opposte a quelle che teme Umberto Agnelli A sinistra il presidente della Bicamerale Massimo D'Alema e qui sopra il cancelliere tedesco Helmut Kohl Nella foto in basso il premier Romano Prodi CONFERENZA SULL'EURO la Sinistra, cioè per evitare fratture pericolose tra le generazioni e nel tessuto sociale». Eppure pare che Prodi questa scelta non la faccia... «E sbaglia. Lo capisco, tenendo conto della logica politica nella quale agisce, ma resta il fatto che commette un errore. Dovrebbe evitarlo, andando a un confronto definitivo con Bertinotti. In fondo anche la Spd tedesca, quando governava, aveva al suo interno una componente di Smistra estrema persino più spinta di quella di Rifondazione. Ma la differenza era che questa componente era interna al partito di governo, e ne condivideva decisioni e responsabilità». Quindi la soluzione è imbarcare Bertinotti al governo? «In teoria quella potrebbe essere una soluzione, anche se lo stesso Bertùiotti non ne vuole sapere. Ma dovrebbe essere una soluzione provvisoria, per dar tempo intanto alla Bicamerale di concludere i suoi lavori, di cambiare la legge elettorale e la forma di governo. Dopodiché, il problema Bertinotti si risolverebbe automaticamente». Torniamo a una vecchia idea oggi tornata di gran moda, quella del governo delle larghe intese, che molti consideravano cara ai Poteri Forti, cioè a voi industriali, già dal settembre scorso... «No, un governo delle larghe intese oggi non avrebbe senso. Dopo giugno, con i risultati della Bicamerale che speriamo siano migliori, e non un "flop" come le precedenti edizioni di Bozzi o De Mita, allora il discorso si può riaprire, il taglio delle ali estreme che difendono il proporziona!*3, diventa plausibile. Ma solo allora, non oggi». Eppure si dice che solo un governo di larghe intese potrebbe avere la forza di imporre al Paese le riforme dello Stato sociale che servono in tutta Europa... «La sfida della modernizzazione sta tutta qui: certe riforme servono non tanto e non solo per accedere alla moneta unica, ma per rendere più efficiente, e quindi conservare anche per il futuro, il modello solidaristico europeo, che dovrà cambiare, evolversi verso uno sbocco di tipo anglosassone, cioè meno protettivo, più l'ondato sulla corresponsabilizzazione dei cittadini e sull'assunzione di un certo grado di rischio personale. Il sistema pubblico non potrà cioè più garantire tutti, ma dovrà coprire solo gli stati di povertà e di autentico bisogno». Questo non vuol dire, come teme certa sinistra e il sindacato, smantellare lo Stato sociale? «No, vuol dire passare, in tutta Europa, dal concetto di Welfare State a quello di Welfare System, con l'obiettivo di renderlo più flessibile, ma per ciò stesso, in un quadro di economia globalizzata, più competitivo e quindi spendibile come alternativa a quei modelli estremi oggi dominanti nel Sud-Est asiatico, per noi socialmente inaccettabile, e allo stesso modello americano, che io considero intermedio. L'Europa non può non raccogliere questa sfida, se vuole restare una potenza efficiente e integrata anche nel terzo millennio. Ma deve sapere, anche, che si andrà fatalmente verso una società un po' meno egualitaria, e un po' meno consumistica». Il paradosso è che nel nostro Paese queste politiche deve adottarle la sinistra, mentre nel resto d'Europa il compito se lo sono assunto i governi di destra... «Può darsi, ma in tempi di globalizzazione certi schemi tradizionali non tengono più. Questo l'ha capito Tony Blair in Gran Bretagna, per esempio. Io auspico che lo capisca anche la sinistra italiana». Massimo Giannini