«Chiedo giustizia per mio figlio»

^£ E Riina junior sceglie il rito abbreviato nel procedimento che lo vede imputato per mafia ^£ E Riina junior sceglie il rito abbreviato nel procedimento che lo vede imputato per mafia «Chiedo giustizia per mio figlio» 7/ pentito Di Matteo parte civile alprocesso PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il figlio di Totò Riina, il capo della mafia siciiiana, vuole essere processato subito per l'accusa di associazione mafiosa che, neanche a dirlo, ritiene del tutto infondata. Giovannone, com'è chiamato per la sua robustezza, tramite i suoi difensori Cristoforo Fileccia e Mario Grillo ha sollecitato ieri il rito abbreviato. Una richiesta formalizzata nell'udienza preliminare in cui il giovane, arrestato otto mesi fa, è comparso a Palermo davanti al gip Fabio Tricoli insieme con altri 51 imputati della cosca corleonese e dei clan a essa affiliati, 33 dei quali sono anche citati per il rapimento e l'assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ora la decisione tocca al gip: la richiesta di essere giudicato immediatamente, senza ulteriori accertamenti, sulla base di quanto l'accusa ha prodotto nella fase processuale preliminare, potrebbe avvantaggiare il giovanissimo imputato (21 anni, primo dei quattro figli del boss dei boss) che, peraltro, in caso di condanna otterrebbe la riduzione di un terzo della pena. Non un'ammissione di colpa da parte sua, ma anzi una specie di sfida lanciata alla procura della Repubblica. Come a voler dire che Giancarlo Caselli e i suoi collaboratori lo chiamano in causa senza avere in mano indizi tali da autorizzare ima sentenza di condanna. ILJ'ACCUSE DI UN INNOCENTE SNAPOLI IGNOR giudice, questo gruppo ha fatto un sacco di porcherie ed è conosciuto da tutta la malavita». Erano gli ultimi giorni di ottobre del '94 quando Vincenzo Cozzolino, un passato di trafficante di droga e un futuro di camorrista pentito, decise di raccontare al sostituto procuratore Giuseppe Narducci come, quando e perché gli uomini della mala vesuviana si accordarono con i poliziotti della sezione narcotici della Squadra mobile finiti in prigione la scorsa settimana per avere organizzato operazioni-farsa da sbandierare ai quattro venti attraverso giornali e televisioni. Per funzionari e agenti era un modo sporco ma efficace per fare velocemente carriera; per la camorra, un sistema come un altro per tenere tranquilla la polizia e continuare a lavorare indisturbata. Poco importa se, di tanto in tanto, in quella gigantesca tela di ragno finivano intrappolati degli innocenti. Come Mario Illuminato, allievo vigile del fuoco. Non uno stinco di santo: aveva il vizio di frequentare troppo spesso Giuseppe Todisco, un camorrista soprannominato «Castellone». Ma di qui ad arrestarlo per traffico di droga ce ne corre. I magistrati sostengono che gli accordi sottobanco fra malavita e polizia gli sono costati cinque anni e mezzo di carcere. Sentite cosa dice di lui Cozzolino: «Gli agenti hanno fatto Napoli: spedizione pu Il ragazzo finisce sotto processo per la prima volta, dopo essere stato scagionato a Corleone dal sospetto di aver infranto durante un raid notturno con il fratello minore e un paio di coetanei la lapide dedicata a Falcone e Borsellino nella piazza del paese. Ma stavolta non si tratta «soltanto» di un episodio di vandalismo dettato dal «cuor di figlio», ma di capi d'imputazione ben più gravi. Anzitutto quello di aver cominciato ad essere l'effettivo erede, e non soltanto a Corleone, del padre e dello zio Leoluca Bagarella, dopo che il loro arresto li ha messi fuori gioco. Negli otto mesi di reclusione preventiva nel carcere dell'Ucciardone, Giovanni Riina ha avuto alcuni incontri con frate Celestino, un religioso del convento corleonese che mantiene il massimo riserbo sulle loro conversazioni. «Mio figlio non ha di che cosa pentirsi», ha detto tempo fa Antonietta Bagarella, la maestrina della mafia, moglie di Totò Riina. I riflettori che si sono accesi nella prima giornata dell'udienza prelhninare sul caso Di Matteo (che probabilmente il gip considererà chiusa domani) si sono puntati anche su Santino Di Matteo, il pentito della strage di Capaci, padre del piccolo Giuseppe. Fatto mai accaduto finora a un collaboratore della giustizia, Di Matteo si è costituito parte civile. E l'ha fatto tramite l'avvocato Francesco Crescimanno, che è pure il patrono dei familiari di Giovanni Falcone. «Chi ha subito un danno morale o materiale deve essere arrestare persone senza colpa mettendo nelle loro case armi e droga. Fra i tanti casi c'è sicuramente quello di un giovane che faceva il vigile del fuoco... Loro hanno fatto un ritrovamento pilotato di armi e droga. Hanno prelevato questo giovane da casa e lo hanno portato sul posto dove avevano preventivamente nascosto l'hashish e le armi. I poliziotti volevano arrestare Peppe "Castellone" e volevano a tutti i costi che il ragazzo confessasse che la roba sequestrata era di "Castellone". Lui non volle dire quello che gli veniva chiesto e quindi fu arrestato». Mario Illuminato fu ammanettato il 2 luglio del '91 da quello che gli inquirenti definiscono «il solito gruppo della sezione narcotici»: Luigi Perito, Innocenzo Treviglio, Ma- tutelato, anche se è un delinquente», ha commentato Maria Falcone, mentre Lucia Falzone, legale del pentito, ha detto: «E' la prova tangibile che quest'uomo ha fatto ormai la scelta di fondo di stare con lo Stato». Il bambino fu ostaggio della mafia per un anno e mezzo. Giovanni Brusca lo fece strangolare e sciogliere nell'acido l'anno scorso, quando non aveva ancora 13 anni, lo stesso giorno in cui fu condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'ex esattore Ignazio Salvo. Una sconvolgente vendetta, decisa perché Santo Di Matteo si era rifiutato di tornare con la mafia. «E' un atto di impegno civile da parte nostra - ha detto Franca Castellese, moglie del pentito spiegando la scelta di costituirsi parte civile - per dare un esempio alla società, al paese e anche al mondo intero». Per ricordare il figlio, la donna - dai microfoni del Tg3 regionale - ha proposto l'istituzione di «una borsa di studio a nome di Giuseppe» e la realizzazione «di un monumento di Giuseppe a cavallo da collocare nella piazza di Altofonte, o dove si decida. Chiediamo alla società che non si ripeta più quello che è stato fatto a mio figlio, perchè è una cosa vergognosa. Io speravo che Giuseppe restasse vivo, ero convinta che quel mostro di Giovanni Brusca non l'avrebbe mai ucciso. Negli ultimi mesi di prigionia pensavo che alla fine mi avrebbe rimandato indietro il bambino e invece...». Antonio Ravidà

Luoghi citati: Altofonte, Capaci, Corleone, Falcone, Napoli, Palermo