Il gentleman della ferocia
Il gentleman della ferocia Il gentleman della ferocia Disponibile coi boss, crudele coi detenuti» « D« derico «era disponibile con gli uomini d'onore e cattivo con i delinquenti comuni, che picchiava selvaggiamente». E un altro collaboratore della provincia trapanese, Leonardo Canino, rivela che il maresciallo usava i detenuti minori alla stregua di valletti personali: «Federico era il padrone del carcere: talvolta faceva uscire alcuni detenuti che adibiva a giardinieri e muratori nella sua villa». Per i giudici che lo hanno arrestato con l'accusa di associazione mafiosa, il maresciallo in pensione dal 1986 - è da considerarsi un vero e proprio «traditore delle istituzioni, postosi in una situazione di pieno e totale asservimento a Cosa Nostra». Quando approdò all'Ucciardone, nel '72, trasformò l'infermeria in un albergo a cinque stelle. Persino Masino Buscetta, ricordando il soggiorno nella mitica IV Se- «che non diceva mai di no». Dal '72 al '77, per cinque anni di fila, sotto là sua supervisione, le corsie del carcere palermitano si riempirono di nomi celebri. Curati amorevolmente dal medico Franco Barbaccia, uomo d'onore di Cinisi, nell'infermeria dell'Ucciardone, trascorsero detenzioni indimenticabili anche i boss Gerlando Alberti, Salvatore Micalizi, Francesco Scrima, e Gaspare Mutolo. Sottufficiale responsabile dell'infermeria era il maresciallo Attilio Buonincontro, padrino di cresima di Federico, ucciso poco dopo in circostanze mai chiarite. «A seguito dell'uccisione del suo padrino», ha rivelato recentemente il pentito Antonio Patti, «Federico si spaventò di poter diventare a sua volta una vittima di Cosa Nostra». Fu cosi che, trasferito a Marsala, dal '77 all'86, si arrese totalmente alle cosche. La domenica, in piazza, camminava a braccetto con Vincenzo D'Amico e Francesco Craparotta, capimafia marsalesi, e con loro al bar «Diego» sorseggiava il caffé e faceva salotto. E, quando si rese conto che nel carcere si preparava una fuga, il maresciallo Federico si affrettò a convocare D'Amico per sudare i rivoltosi. Una volta si spinse ad aiutare gli amici mafiosi a preparare un attentato. La vittima designata era un certo Nicolò Zichittella. Il killer, Salvatore Giacalone, ha raccontato testualmente: «Fui convocato in carcere da Vincenzo D'Amico, ebbi un colloquio in una stanzetta messa a disposizione da Federico, ma non provai meraviglia: già altre volte il maresciallo si era prestato per analoghi servizi». ■ «Offriva pasti sontuosi e favoriva incontri galanti» zione del carcere borbonico, parlò di un reparto «in totale balia degli uomini d'onore». Lui stesso, un habitué dell'infermeria, si faceva servire pranzi a base di aragosta e champagne, e all'ora della pennichella appendeva alla porta il cartello: «Sto dormendo». Per non essere disturbato. Nel '76 appena entrato all'Ucciardone, Totò Cancemi, boss di Porta Nuova, fu trasferito in infermeria, pur non avendo alcun malanno. Il merito? Del maresciallo Federico, ovviamente. «Era così disponibile» rivelano oggi i pentiti di mafia, Sandra Rizza «Forse pronto fra tre anni» Il record alla Campania Rapporto Confcommercio La violenza a Bologna
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