Una strage di ribelli lungo la Via della Seta

Una strage di ribelli lungo la Via della Seta Una strage di ribelli lungo la Via della Seta Nello Xinjiang 80 morti (di cui 55 cinesi), migliaia di arresti, esecuzioni in massa PECHINO. Sarebbero ottanta i morti negli scontri etnici avvenuti nei giorni scorsi nella città di Yining, nel Xinjiang, il vecchio Turkestan, la regione occidentale cinese al confine con il Kazakhstan prevalentemente abitata da uiguri, popolazioni musulmane di ceppo turco. Pechino tace, ma da Almaty il Fronte nazionale unito rivoluzionario, che si proclama espressione del popolo uiguro, dichiara all'agenzia France Presse che nella sommossa avvenuta il 7 febbraio sarebbero state uccise non dieci persone, come le prime notizie riferivano, ma ottanta: 55 cinesi, 25 musulmani. Il Fronte, che rivendica autodeterminazione e secessione dalla Cina, si è da qualche tempo costituito in esilio ad Almaty, ex capitale del Kazakhstan, stabilendo rapporti con movimenti delle repubbliche musulmane ex sovietiche. Secondo il quotidiano Ming Pao di Hong Kong, il più autorevole tra quelli in cinese nella colonia, quanto è avvenuto «è la peggiore rivolta anticinese a Yining dal '49». Migliaia di arresti, con requisizione di automezzi civili per trasportarli. Coprifuoco nella città isolata; aeroporto e stazione chiusi. Nessuno esce di casa dopo le 19, cioè all'imbrunire nella zona, su cui vige da sempre il fuso orario di Pechino, benché sia a tre fusi più a Ovest. Oscuro rimane il detonatore della sommossa: sembra sia stata la resistenza di una famiglia musulmana all'arresto di un congiunto, e alla quale si sono poi uniti i vicini dando vita a una dimostrazione. Secondo il leader del Fronte ad Almaty, la manifestazione sarebbe avvenuta dopo l'esecuzione di 30 uiguri la settimana scorsa. Davanti alla sede del governo un migliaio di persone avrebbero dimostrato per l'indipendenza e sarebbero scoppiati scontri fra cinesi propriamente detti e uiguri, in maggioranza nell'area. Tra i manifestanti vi sarebbero stati giovani venuti dalle oasi meridionali lungo la «via della seta», una zona in cui nei mesi scorsi si sono avuti attentati. Chiara è invece l'origine profonda di quanto è avvenuto: la tensione fra la popolazione autoctona musulmana e quella Han, acuitasi con lo sviluppo e i contatti col mondo, la nascita delle repubbliche ex sovietiche ai confini occidentali del Xinjiang, l'aumento degli Han per le migrazioni interne in corso in tutta la Cina. Il potere temeva scoppi di disordini etnici contro il dominio Han. Nel capoluogo, Urumqi, il 19 gennaio si è tenuta una riunione degli organi di partito e di pubblica sicurezza per «la lotta allo scopo di reprimere con forza separatisti etnici e attività religiose illegali». Il capo del partito, Wang Lequan, come riferito dalla tv, aveva annunciato il rafforzamento di polizia e «milizia popolare» in ogni quartiere e villaggio per «la ri¬ soluta lotta contro i separatisti che cercano di sfasciare la patria e minare l'unità nazionale con attività di sabotaggio sotto copertura religiosa». Le frontiere occidentali sono storicamente per la Cina le più sensibili, mentre la maggior preoccupazione di Pechino è oggi la stabilità, davanti al rischio che tensioni etniche si sommino a quelle in atto per disuguaglianze tra regioni e nuovi gruppi sociali formatisi con le riforme. L'intera regione, su cui molte compagnie occidentali stanno facendo ricerche petrolifere, è cinque volte più grande dell'Italia, con una popolazione di'sedici milioni di abitanti, di cui il 38 per cento uiguri. Tra il '44 e il '49, durante la guerra civile, essa era stata costituita in Stato, il Turkestan Orientale. Fernando Mozzetti

Persone citate: Fernando Mozzetti, Wang Lequan