Da Mosca avvertimento nucleare alla Nato

Il segretario del Consiglio di sicurezza ricorda all'Occidente la dottrina militare russa Il segretario del Consiglio di sicurezza ricorda all'Occidente la dottrina militare russa Da Mosca avvertimento nucleare alla Nato «Se attaccati useremo la Bomba» «Il nostro arsenale atomico diventa più importante che mai visto il declino delle forze convenzionali» Nel Paese infuria la polemica sulla espansione a Est dell'Alleanza Arteaga rinuncia Quho, contìnua il balletto dei presidenti MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «In Europa sta prendendo forma un nuovo tifone della guerra fredda», grida lo speaker della Duma, il comunista Ghennadij Selezniov, all'indirizzo dei piani Nato di espansione a Est. Gli fa eco, su Rossijskaja Gazeta, quotidiano del governo, Ivan Rybkin, segretario del Consiglio di Sicurezza, che lancia un avvertimento a prima vista drammatico: «Tutti devono sapere che in caso di una minaccia diretta, la nostra risposta userà tutta la panoplia delle armi. Ci riserviamo di scegliere, includendo nella scelta l'arma nucleare». Non è una novità in assoluto, anche perché la dottrina militare russa, varata nel 1993, prevedeva già l'uso di armi nucleari in caso di minaccia nucleare o di attacco da parte di un Paese non nucleare, ma legato da accordi militari con una potenza nucleare. Ma è il contesto che ha fatto sobbalzare tutti. Rybkin non è l'ultimo venuto nell'Olimpo del Cremlino. Una frase del genere non scappa per caso. E la precisazione che egli stesso fornisce è fin troppo chiara. Siccome le nostre forze convenzionali sono in uno stato penoso, «il nostro arsenale nucleare diventa più importante che mai». Come conciliare questa frase con quanto detto pochi giorni fa dal ministro della Difesa, Igor Rodionov, secondo cui la Russia «sta perdendo il controllo» delle sue armi nucleari (per mancanza di denaro e di riforma)? Intanto ieri un altro autorevole portavoce del Presidente, Dmitrij Riurikov, rincarava la dose in pubblico: l'atteggiamento dell'Occidente «è poco onesto» quando nega alla Russia il diritto di veto verso l'espansione a Est della Nato. E poi «nessuno in Occidente è in grado di spiegare perché mai un gigante come la Nato si protende verso le frontiere della Russia». E' ben vero che, subito dopo, il portavoce presidenziale gettava acqua sul fuoco sottolineando che la strategia della Russia è faccenda che concerne «esclusivamente Presidente, premier e ministro degli Esteri». Ma le acque stanno diventando molto agitate a Mosca su questo versante. Anche perché la discussione che divide l'Occidente (nei giorni scorsi è intervenuto sul New York Times nientemeno che George Kennan per criticare seccamente l'amministrazione Clinton sugli «inutili e dannosi piani» di allargamento a Est della Nato) si riflette specularmente tra le forze politiche russe. Tutti i giornali di ieri erano letteralmente farciti di polemiche e contropolemiche sulla Nato e sui suoi rapporti con la Russia. L'ex ministro degli Esteri Kozyrev interviene con un ampio articolo per dimostrare che l'Alleanza non costituisce affatto un pericolo per la Russia. E ben si capisce, essendo egli stato all'origine dei piani america¬ CINA E' la più grave rivolta d ni di allargamento a Est. Se non altro con il suo preliminare atteggiamento di condiscendenza. Ieri, in una conferenza stampa congiunta, si sono pronunciati sullo stesso tono di Kozyrev tre deputati radicaldemocratici della Duma: Serghei Kovaliov, Konstantin Borovoi e Serghei Jushenkov. Il secondo per dire addirittura che l'estensione della Nato «corrisponde agli interessi nazionali della Russia», minacciati invece dall'«esistenza stessa del partito comunista e dei nazional-patrioti». Insomma tutto lo spettro politico è in forte agitazione, con schieramenti inediti. Una parte degli ex democratici, cioè l'oligarchia al potere, è in preda all'isteria anti-Nato, esattamente NATO E GOVERNO ITALIANO come lo sono i comunisti di Ziuganov e i nazionalpatrioti in genere. L'unica differenza tra loro è che i primi si accorgono solo adesso che l'Occidente aveva i suoi piani, mentre i secondi li gridavano ai quattro venti da molto tempo. Sull'altra barricata stanno i radicaldemocratici rimasti fuori dal potere, convinti assertori della necessità che la Russia si fonda con l'Occidente in un unico blocco. Per la verità la loro ipotesi di un ingresso della Russia nella Nato non pare trovare buona accoglienza né a Bruxelles, né nell'Est Europa. Ma non è certo questa quisquilia a fermarli. Giuliette Chiesa Due missili russi: il Cremlino sottolinea che la teoria del «primo colpo» non è mai decaduta A sinistra: Ivan Rybkin QUITO. Ieri, con il martedì grasso, mentre finiva il Carnevale delle maschere, è continuato l'altro carnevale, quello dei Presidenti, che salivano e scendevano dalla poltrona di capo dello Stato con un balletto che pareva una comica di Fo. Un balletto destinato a finire anche lui, ieri notte, con la convocazione di una seduta straordinaria del Congresso, per la nomina di un provvisorio presidente. In realtà il presidente provvisorio c'era già: dona Rosalia Arteaga, la ex vicepresidente fatta ascendere a quella carica appena tre giorni fa. Dona Arteaga, con un'applicazione degna di cause più durature, se ne stava ben attaccata alla sua poltrona di palazzo Carandolet, e dal piccolo trono di oro e velluti continuava a nominare ministri, sottosegretari, direttori di ogni tipo e ogni burocrazia, come se dovesse restare in carica non le 72 ore che scadevano ieri, ma un tempo assai più lungo e sostanzioso. Discettava anche di politiche generali, della questione di frontiera con il Perii, delle strategie di recupero della crisi economica, della riforma amministrativa e fiscale; come ogni Presidente deve, naturalmente, fare. Solo che lei era a Palazzo appena per tre giorni e, allora, a ogni parola che la bella Rosalia andava aggiungendo a questo preoccupante curriculum pubblico c'erano schiere di deputati che digrignavano i denti e minacciavano tempeste e lutti per il Paese. Per evitare guai seri, c'è voluto ancora ima volta l'intervento delle forze armate. In mi dispiego di saluti solenni e di un gran battere di tacchi, lo Stato Maggiore al suo completo, cioè il comandante in capo più i comandanti delle tre armi, è arrivato perciò a palazzo Carandolet e si è chiuso nello studio del Presidente per un paio d'ore. La discussione pare che sia stata «mi franco scambio di opinioni», e alla fine i generaloni hanno dovuto dispiegare tutto il loro autorevole potere, che non è poco, per convincere la bella Rosalia che forse è meglio trovare il modo per mettersi da parte, ed evitare che la farsa dei Presidenti si trasformi in una vera e propria guerra civile. Così dona Rosalia in serata, con un colpo di scena, ha indetto un referendum popolare rinunciando subito dopo all'incarico presidenziale. Rivolgendosi ai giornalisti Arteaga si è detta convinta che il popolo deve esprimersi sul futuro del Paese, aggiungendo che ora tornerà alla vicepresidenza, ma «con la speranza di diventare definitivamente presidente dopo il referendum popolare». Frattanto il congressista Franklin Verduga ha presentato subito dopo l'inizio della sessione straordinaria del Congresso la candidatura di Fabian Alarcón alla presidenza ad interim del Paese fino al 10 agosto 1998. Alarcón è il leader del Congresso ed il candidato che sembrava avere il consenso più ampio. La speranza era che, finalmente, questa grottesca partita potesse chiudersi con la nuova nomina nel Parlamento. [m. e] segretario di Stato americano Madeleine Albright, alla quale farà presenti gli interessi dell'Italia. Il ministro della Difesa Andreatta ha definito «una politica cinica e mercantile» quella contraria all'allargamento della Nato, precisando però che «l'allargamento deve avvenire in una prospettiva di integrazione ordinata». E ha sottolineato che la Russia, «anche se fosse in un processo di democratizzazione irreversibile, non potrebbe far parte della Nato per ragioni di equilibri con i Paesi confinanti, a cominciare dalla Cina». Ed ha poi aggiunto che solo i Paesi Nato possono fare «peace enforcing», e cioè operazioni di polizia internazionale. Ramon Mantovani, responsabile Esteri di Rifondazione comunista, ha notato che «così, secondo Andreatta, all'Onu spetterebbe solo il compito di fornire legittimazione politica per le azioni Nato». Mentre, come è noto, sul ruolo dell'Onu il dibattito in sede internazionale è ancora aperto.