I naufraghi della stazione morta
I naufraghi della stazione morta I naufraghi della stazione morta E davanti alle biglietterie esplode la rabbia L'americano delle 14 e 25, invece, si guarda intorno stupito, domanda: «What is this?», comprendendo con un gesto la stazione praticamente deserta, gli sportelli chiusi, i vagoni fermi. Il poliziotto gli risponde: «Sciopero». E lui sorride: «Ah, sciopero», Sembra felice, quasi fosse sbucato per caso davanti a una delle reclamizzate meraviglie italiane, come la Torre di Pisa o la sinistra analcolica. Tuffa la testa nella sua guida e va anche lui verso la sala d'attesa, che ormai è l'Orni degli appiedati: una comitiva di pakistani, un gruppo di nigeriane, una coppietta di francesi. Tutti silenziosi, stanchi e incapaci di decifrare il presente. Uno cerca di tradurre un volantino che s'intitola «Una delibera prodi...toria» e finisce con la scritta, aggiunta a mano: «Non ci sono treni da garantire». Garantito che non ne parte uno. Neppure un trenino per Venezia, sdoganato per salvare l'emergenza del momento: il Carnevale (la prossima settimana, solo convogli per Sanremo). Tutti fermi. E i passeggeri, a passeggio. Su e giù per il sottopasso, decorato come il bagno di un albergo turco. Avanti e indietro tra il fast-food e l'erboristeria. A rimirare le biglietterie sprangate e sorridere del cartello ammonitore: «Evitate la fila!». Poi, anche loro, tutti fermi, perché la macchina possa scattare e la pellicola impressionare l'immagine di questa irreale stazione in una domenica di febbraio. Un mondo consegnato a se stesso: nessuno che si riabbraccia e nessuno che si lascia; le distanze cancellabili solo con il pensiero, come è giusto che sia, perché è il solo affidabile ponte tra le persone; i tempi schiacciati sotto l'incudine degli spazi impercorribili. Un giorno sospeso, involontario intervallo deciso non dalla coscienza, ma da una delegazione sinda- E andiamoci a vedere Trainsfopping. Stazione di Bologna, ore 13 e 52: dal binario uno non parte l'intercity per Milano, dal binario due non parte il rapido per Ancona. Proiettili fermati in corsa, come se fosse un'eccezionale fotografia. I/immagine della stazione è quella di un porto davanti al mare prosciugato: nessun approdo è possibile. Naufraghi con il bagaglio si aggirano sulla riva, bloccati a metà percorso, prigionieri nell'isola d'attesa. Sulla porta d'ingresso è affisso il comunicato che invita a non avvicinarsi neppure: lasciate ogni speranza di partenza, o voi ch'entrate. 11 tabellone degli orari, quello dove frullano nomi di città, numeri di binari e minuti di ritardo, è una lavagna vuota. Sembra di essere in un aeroporto sudamericano di notte, quando niente decolla e sulla striscia, accanto a destino (spagnolo per destinazione), c'è il nulla. No hay destino, senor. Pazienza, gambe in spalla e confideremo nel libero arbitrio. Ci siederemo su una panca, in questa specie di purgatorio e staremo lì: l'uomo che guardava sostare i treni. E, oltre ai convogli che non si muovono, vedremo, invece, le persone che, contro ogni aspettativa, vanno e vengono. Perché lo sciopero sarà stato annunciato da tutti i tg e tutti i giornali, ma non l'ha capito la ragazza peruviana che scende dall'autobus e fila verso la biglietteria con il suo pacco regalo hi mano. Si blocca in mezzo all'atrio, consapevole che qualcosa di terribile è accaduto: hanno fermato il mondo sulle rotaie. La mendicante che sostituisce l'ufficio informazioni chiuso le spiega cosa accade e quella, tristissima, va ad agganciarsi alla cornetta del primo telefono, chiama una città lontana e annuncia che non arriverà. Guarda con occhi lucidi l'immobile tabellone degli orari. Querido, no hay destino. Dopo di lei, compariranno un russo che cerca di far aprire la bigliettsria a forza di colpi sul vetro, convinto che l'impiegato dentro stia dormendo, finché la solita mendicante gli spiega la situazione a gesti e gli indica sull'orologio le ventuno come il momento in cui, secondo le predizioni cabalistiche, l'universo riaccenderà i motori. L'uomo la prende malissimo e raggiunge la sala d'attesa sbraitando. A sinistra: il tabellone delle partenze e arrivi della Centrale senza informazioni. A destra: marciapiedi deserti cale, nel quale i naufraghi hi sosta sembrano scivolare senza rabbia né rassegnazione, ma con la curiosità di chi è stato parcheggiato in un momento che non gli apparteneva, in un luogo che aveva deciso di oltrepassare. Infatti chiedono: dove siamo? E la solita mendicante racconta, all'americano e alla coppia inglese, con parole semplici e gesti complicati, che questa è, caspita, la stazione di Bologna, non una qualsiasi. Mostra la lapide, dice che qui una bomba ha ucciso molte persone. Indica l'orologio e spiega che si era fermato, per dare memoria al tempo che sarebbe venuto dopo, poi l'hanno riavviato. Perché (questo non lo dice lei) è un mondo immemore. Sembra un piccolo gruppo turistico, con la guida più stracciata d'Italia che racconta ancora il breve destino che attende questa stazione, che sarà cancellata per fare posto a una più grande, più bella, «con più metallo», dice, e con due torri di vetro. «Una cosa enorme, dove, forse, non mi faranno più entrare a chiedere la carità». Gli stranieri sembrano perplessi e colpiti, si guardano intorno come se in quel posto dal presente immobile, un passato e un futuro si fossero dati un appuntamento domenicale, prima di tornare ognuno alla propria casella del tempo. Si guardano intorno come se chissà che potesse accadere, ma tutto quel che avviene è che il tabellone frulla e annuncia la prima partenza: sarà il diretto per Bolzano delle 20 e 10, con 50 minuti di ritardo, sul binario 7. E con lui ognuno riprenderà la corsa verso il suo destino. Una mendicante si sostituisce all'ufficio informazioni Un turista russo cerca di aprire la sala colpendo il vetro
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