Il sogno di Pelé ministro Lo sport salverà i giovani

Il sogno di Pelé ministro lo sport salverà i giovani Il sogno di Pelé ministro lo sport salverà i giovani «E mi batterò perché non demoliscano il mio Maracanà» più duri? «Ne ho due. Uno riguarda il Maracanà. L'altro, le Olimpiadi». Il Maracanà è lo stadio di Rio, il più famoso del mondo. «Si, e ora vorrebbero buttarlo giù, trasformarlo in una sorta di centro per il tempo libero e lo sport». Rientra nei progetti di privatizzazione che il governo va realizzando. «Certo, però nessuno - e in nessuna parte del inondo - penso che possa accettare di farlo scomparire. Non può essere». Il tempo cancella anche la memoria. «No. Non ci sto. Il Maracanà fa parte della vita del Brasile, ma è anche la mia vita. Su quel prato ho tirato i miei primi calci da protagonista, nel '57, con una selezione del Vasco de Gama e del Santos. Su quel prato ho fatto il mio primo gol della nazionale, sempre nel '57, contro l'Argentina. Su quel prato ho segnato anche il mio millesimo gol, ed era contro il Vasco-, nel '69. E sempre su quel campo ho dato il mio addio alla maglia verde-amarela, nel 71, contro la Jugoslavia... E ora vorrebbero abbatterlo? Naó vaó demolir nada là, naó». Questa storia può creare qualche problema, nel governo? «Non credo, ma certamente lo Edson Arantes do Nascimento, più noto come Pelé è ministro dello Sport del governo brasiliano sport per come l'intendo io ha qualche difficoltà ad affermarsi. I politici - tutti - pensano al voto; e i bambini che giocano al pallone non votano ancora». Qual è il bilancio del suo ministero? «E' l'ultimo, il più magro di tutti. Soltanto lo 0,3% del bilancio nazionale». Ci riesce, a far qualcosa? «Ci provo, bisogna fare un lavoro sociale con i bambini. Se i governi del passato avessero badato di più ai bambini, a educarli, a integrarli nella società grazie anche allo sport, oggi non staremmo in una situazione tanto difficile». Ma la stanno a sentire, i politici di professione? «Anche gli arbitri dovevano sentirmi, se io pensavo che era giusto. Qui in Brasile, lo sport, il calcio, sono una cosa seria: perfino i senzaterra, quando invadono un terreno, una zona abbandonata, se c'è un campo di calcio lo lasciano tranquillo. Ne hanno rispetto». E allora? «Allora, un giorno che avevo visto che il ministero era davvero l'ultima ruota del carro, ho preso il telefono e ho chiamato Fernando Henrique. "Presidente, gli ho detto, io me ne vado a lavorare a casa; qui non ci sono nemmeno i soldi per pagare l'usciere"... I soldi sono arrivati». Auguri. Passiamo al suo secondo impegno. «Sono le Olimpiadi del 2004. Io voglio che siano a Rio de Janeiro, e ci stiamo lavorando fortissimo; questo è già il simbolo, vede, c'è la baia di Rio, il sole, la luce dello sport». Sì, ma i soldi ci sono? «Il Brasile sta dimostrando di poter essere un grande Paese, non soltanto nel calcio. Abbiamo guadagnato in credibilità, il mondo ora ci guarda con attenzione e rispetto. Le Olimpiadi a Rio celebrerebbero questo nuovo tempo di tutto un continente che ha sofferto moltissimo».

Persone citate: Fernando Henrique, Vasco De Gama

Luoghi citati: Argentina, Brasile, Jugoslavia, Pelé, Rio, Rio De Janeiro