Brasile, miracolo tra le favelas

Brasile/ miracolo tra le favelas Brasile/ miracolo tra le favelas Acqua e luce nelle baracche. E la moneta tiene di tv vogliono dire almeno 40 milioni di uomini e donne e bambini: in un anno soltanto, un popolo assente ha fatto il salto nel futuro irrompendo estasiato dentro il nostro mondo a colori, e le telenovele hanno trovato una nuova sterminata platea di diseredati da consolare. Ma sono stali venduti anche 4 milioni di frigoriferi, frullatori, ferri da stiro, aspirapolvere, for- fuori dalla porta». Il Brasile è oggi il terzo Paese al mondo per numero di televisori, e c'è un milione di collegamenti Internet. Bengodi doveva essere da queste parti, forse. Ma forse no. Il «piano Real», nato nel luglio '94 come una manovra congiunturale, è poi diventato un progetto di governo, che ha stabilizzato l'economia, e incrementato la produzione e i consumi; i redditi bassi ne hanno guadagnato, ma la struttura del lavoro si è spappolata. Claudio Considera, un economista che dirige l'istituto di ricerche Ipoa, dice: «E' un inevitabile processo di modernizzazione. Negli ultimi 3 anni sono stati creati 1 milione 300 mila posti di lavoro, la gran parte sono nei servizi. Nel '96, l'industria ha perso 189.000 lavoratori dipendenti, ma il terziario ne ha guadagnati 530.000». L'analisi del professore riguarda le aree urbane, però il Brasile è grande quanto un oceano; e nell'oceano c'è anche gente che affoga. Il tasso ufficiale di disoccupazione è cresciuto di un punto, le fabbriche sostituiscono gli uomini con le macchine; poi restano quelli che nel mercato del lavoro non ci sono mai entrati. La chiamano economia informale, e vale uno sproposito, addirittura il 40 per cento dell'economia ufficiale. Dice Luiz Fernando Furlan, direttore della Confindustria e una delle ditte più in salute a San Paolo, 3 miliardi di dollari di fatturato, un gigante: «Ci sono comunque 40 o 50 milioni di brasiliani che ancora ne! mercato non ci sono nemmeno entrati». Il Brasile è una straordinaria cassaforte di ricchezze naturali. Il ministro dell'Economia, Malan, sorride, quando gli dico che certi calcoli ascoltati da uno studioso di sistemi macroeconomici metterebbero il Brasile al quarto posto, tra i giganti industriali del 2005. Dopo Cina, Usa e Russia. «No, quarto no, anche se siamo 160 milioni di abitanti e un potenziale ancora largamente da sfruttare. No, io dico che tra poco il nostro prodotto lordo potrebbe superare quello dell'Italia, ma credo che la carenza di infrastrutture ci inchioderà al sesto o settimo posto nella classifica mondiale. Diciamo, a livello di una Spagna». Malan è stato presidente della Banca nazionale, e uno dei cervelli del Bid; a differenza di molti suoi predecessori, non è uomo che si lasci travolgere dall'entusiasmo che qui, spesso, ha mescolato vanitosamente tropicalismo e velleitarismo, confondendo l'uno con l'altro per la tentazione irresistibile all'euforia che il samba pare procurare a molti cervelli. La verità è che il gigante comincia a svegliarsi, e prende coscienza della propria forza; e la stabilità che va consolidandosi gli permette una programmazione credibile del proprio futuro. Che è anche una pratica che qui non usava più, forse dai tempi di Kubitschek. Ma i numeri che lo fanno grande, questo gigante ancora intorpidito, poi anche lo penalizzano. He-

Persone citate: Luiz Fernando Furlan, Malan