La paura della «grande unione»

la paura della «grande unione» la paura della «grande unione» / tedeschi temono un Euro senza rigore 7,4% 3,9% 7,22% 5,67% Lm HERTFORD m IMMAGINE della Germania, qui in Gran Bretagna, è piuttosto uniforme: motore dell'Euro-federalismo più appassionato, fanatica del mega-Stato europeo, della moneta unica e della distruzione dello Stato-nazione; ricca, potente, piena di fiducia in sé, arrogante, prepotente. Questa è in realtà l'immagine che offre una città, Bonn; che è totalmente dominata da un partito, la Cdu; che è totalmente asservito a un singolo individuo, il cancelliere Helmut Kohl. Da un recente viaggio a Monaco e Colonia, grazie a parecchie ore di colloquio con giornalisti e analisti politici, ho tratto un quadro completamente diverso. Essendo cresciuto fra i tedeschi, tanto che a sedici anni potevo passare per uno di loro, so da sempre che l'immagine della Germania che abbiamo noi britannici è lontanissima dalla realtà. Innanzitutto, l'era del miracolo economico è definitivamente tramontata, e i tedeschi lo sanno. Al suo apice, il tasso di occupazione era prossimo al 100%, le paghe erano alte, le tasse erano sopportabili e i politici, con le casse straripanti, pianificarono uno Stato sociale che doveva essere (e in effetti fu) l'invi¬ li Cancelliere vuole lase nessun politico osa dia del mondo intero. Poi sono arrivate due cose: la riunificazione con la Germania Est e Maastricht. La Germania Est era in ogni senso più povera dell'Ovest. Kohl promise che la riunificazione sarebbe avvenuta senza nuove tasse e che le rose e i fiori sarebbero arrivati entro cinque anni. Finora (sette anni dopo la caduta del Muro di Berlino) le tasse extra ammontano a mille miliardi di marchi e ancora la Blùhende Landschaft non si vede. La maggior parte dei miei interlocutori mi ha detto che il compito di portare alla pari tutti gli indicatori economici richiederà almeno altri cinque anni e altri mille miliardi di marchi. Poi arrivò Maastricht, e in particolare la Carta sociale, che ha caricato un altro enorme fardello sulle spalle degli imprenditori tedeschi e in particolare degli industriali. L'effetto è stato raccapricciante. Decine di migliaia di imprese sono finite davanti al curatore fallimentare e molte di più hanno dovuto ciare il segno nella storia opporsi al suo progetto falcidiare gli occupati per rimanere in vita. Altre, a migliaia, sono semplicemente emigrate, portandosi dietro pochi dipendenti-chiave e affidando gli altri agli uffici di collocamento. Le proteste non sono state troppe, perché l'assegno di disoccupazione arriva anche al 90 per cento del precedente salario. Ma col numero dei disoccupati che sale e la tolleranza nei confronti delle tasse che viene meno, per quanto si potrà andare avanti così? All'epoca della firma di Maastricht, la Germania aveva due milioni di disoccupati; oggi la valutazione ufficiale è di 4 milioni e 600 mila ma nessuna delle persone con cui ho parlato crede a un numero inferiore ai 5 milioni; due interlocutori mi hanno suggerito 6 milioni. «Con la Germania Est, abbiamo accettato 18 muioni di nuovi cittadini tedeschi - si è lamentato un commentatore -. Che cosa succederà quando dovremo sussidiare allo stesso modo 150 muioni di eu¬ RAPPORTO DEFICrr/Pii 124,5% RAPPORTO DEBITO/PIL 60,5% TASSI A 10 ANNI ropei occidentali?». pLo scenario complessivo che ho messo assieme saltabeccando qua e là in Germania ha molto dell'incubo. Se l'Unione monetaria viene portata avanti per ragioni esclusivamente politiche, senza tener fede ai criteri di convergenza, la Germania potrebbe ritrovarsi, un paio d'anni dopo il 1999, con dieci milioni di disoccupati e un'inflazione del 6-7% e con un Euro da svalutare del 30 per cento. Mi sembrava di parlare con degli euroscettici britannici, invece si trattava di tedeschi. Perché, domandavo con insistenza, tutto questo non compare sui vostri mass-media? La risposta è sempre stata: nessuno ne ha il coraggio. Finora non c'è stata, letteralmente, opposizione in Germania. Chi sa non dice niente per paura di essere lapidato e le masse stanno buone, almeno finché i soldi non finiranno. Almeno fino a poco tempo fa, Helmut Kohl ha dominato così totalmente la Cdu che nessun dissidente vi è stato tollerato. L'opposizione socialdemocratica ha perso quattro elezioni consecutive, è totalmente demoralizzata e comunque è euro-entusiasta quasi quanto il governo. Herr Kohl è senz'altro una figura +43% BILANCIA COMMERCIALE +65% • GENNAIO '97 poderosa, fisicamente e politicamente. Quattro legislature al potere non lo hanno reso più pronto ad accettare critiche alle sue politiche. Inoltre, ha convinto i tedeschi che euro-scetticismo sia sinonimo di nazionalismo. Chiunque critichi il suo zelo euro-federalista è bollato come nazionalista, quasi avesse una svastica sul bracciale. Perciò nessuno osa dissentire. Da quanto mi è stato detto, quest'uomo complesso e dalla personalità dominatrice ha tre obiettivi da conseguire prima di lasciare la carica. Il primo deriva dalla sua esperienza di uomo vissuto nel periodo 1939-1945, convinto che la Germania debba legarsi così strettamente ai suoi vicini da non poter mai più far loro guerra. Per Kohl, questo significa completa integrazione europea, e l'Unione monetaria ne è la chiave. Una seconda convinzione di Kohl è che per evitare di essere scialacquatrice la Banca centrale europea debba restare essenzialmente sotto controllo tedesco, perché la Germania ha dimostrato di essere la migliore nel governo dell'economia. Perciò la Banca deve stare a Francoforte e guidata dai tedeschi, a prescindere da chi sieda nei suoi organi direttivi. Il terzo obiettivo è più personale. Kohl tiene profondamente a prendere posto nella storia come il Grande Unificatore, non solo delle due Germanie ma anche dell'Europa. Più grande di Bismarck. Ma, per farlo, deve non solo vincere il suo quinto mandato nel 1998 - come è probabile che avvenga - ma anche fare in modo che l'Unione monetaria avvenga nel 1999. Perché se ritardasse al 2002 (l'opzione migliore per garantire il rispetto dei criteri di convergenza) sarebbe troppo tardi. Lui non vi presiederebbe. Qualcun altro cingerebbe l'alloro della storia. Frederick Forsyth Copyright 1997, Frederick Forsyth e per l'Italia «La Stampa»