Israele, il lutto senza perché«Lo choc per i 73 soldati uccisi non dal nemico ma dal destino» di Fiamma Nirenstein

Lo choc per i 73 soldati uccisi non dal nemico ma dal destino Lo choc per i 73 soldati uccisi non dal nemico ma dal destino Israele, il lutto senza perché erché fuori in un anno. Si dice in queste ore in Israele che per salvare loro la vita, li si è mandati a morire. Che atroce parabola: non una battaglia all'ultimo sangue col nemico è stato il motivo della loro perdita, ma la buona volontà del vertice militare di salvare loro la vita. Il dibattito sulla pace con la Siria e quindi anche sul Libano negli ultimi giorni era stato molto cocente, anzi, è la più calda delle discussioni, perché sembra che Rabin avesse già praticamente concluso un accordo e che i siriani siano ormai ansiosi di riprenderlo in mano. Uscire o no dal Libano, una parte fondamentale del rapporto con la Siria, resta tuttavia una decisione fatale, importante perché lasciarlo vuol dire lasciare gli hezbollah liberi di organizzare il loro odio pervasivo e senza fine contro Israele; però restare vuol dire pagare ogni giorno prezzi mostruosi in termini di vite di ragazzi che se ne vanno. Prezzi che forse ormai la società ebraica non è più in grado di accettare. E tuttavia, nonostante sia questo il dibattito strisciante e che certo domani riprenderà, perché Israele deve pur vivere e discutere, e trovare risposte che appartengano a questa terra, è vero come ha detto Yehud Barak, l'ex capo di stato maggiore laborista, che oggi non c'è né destra né sinistra, ma ciò che campeggia è solo un immenso punto interrogativo, un senso di dolore infinito e metafisico, mentre uno a uno fra il pianto dei commilitoni e lo strazio delle madri e dei padri tanti ventenni vengono seppelliti. Un punto interrogativo sul significato, sulla storia, sul futuro a cui in Israele i padri, le madri, i soldati, i politici non sanno altro che invitarsi a dare una risposta con la forza del coraggio. Oltre che dal dolore anche da questo viene la tensione spasmodica in cui sono stati seppelliti tutti questi ragazzi, nel Paese dove i padri seppelliscono i figli. Tutti gli uomini politici, Netanyahu, il presidente Ezer Weizman, i leader dell'opposizione e quelli del Likud, i rabbini, i giornalisti, gli alunni delle scuole, i telespettatori, i radioascoltatori, tutti i cittadini dal momento dell'incidente non hanno fatto che parlare, parlare senza sosta, in un immenso rito di elaborazione del lutto che non riesce a compiersi, interrogandosi a vicenda sull'accaduto, invitandosi fraternamente a sopportare, a cercare di fare l'unico gesto che si può ancora fare per un morto, e tanto più per un morto ebreo: identificare, identificarne il nome, la storia, il volto, i tratti del carattere, raccontarlo come mai non furono raccontati gli ebrei uccisi fino alla fine della seconda guerra mondiale. E sperare così, rendendo preziosa la voce che parla di loro in assenza, che la memoria faccia quel miracolo di sopravvivenza che invece in queste ore appare assai difficile. Perché quando hai perso un ragazzo di 18 anni lo vuoi semplicemente toccare, vuoi vederlo. Semplicemente, ti manca. I grandi elicotteri da trasporto come i due che sono precipitati, in genere non venivano utilizzati per portare i soldati al loro campo in Libano; martedì notte questo è avvenuto perché l'esercito aveva ritenuto ormai troppo pericoloso il trasporto in camion e in mezzi cingolati, obiettivi ormai familiari al fuoco degli hezbollah. E così in queste ore i mujaiddin festeggiano e ringraziano Allah che secondo loro in un minuto ha fatto fuori quanti loro non ne avevano fatti Fiamma Nirenstein

Persone citate: Ezer Weizman, Netanyahu, Rabin, Yehud Barak

Luoghi citati: Israele, Libano, Siria