«Mamma muore, dobbiamo raggiungerla»«getta figlio dal quinto piano e poi si ucciode»

Dramma a Savigliano: era ossessionato dal timore che alla moglie restassero pochi giorni di vita Dramma a Savigliano: era ossessionato dal timore che alla moglie restassero pochi giorni di vita «Mamma muore, dobbiamo raggiungerla» Getta ilfiglio dal quinto piano dell'ospedale, poi si uccide Il ragazzino di 11 anni ha gridato e cercato di respingerlo Un ultimo appello «Papà, no» poi il volo L'uomo temeva di rimanere solo I medici: gli avevamo detto che la moglie non era in pericolo di vita L'ORA AMARA DELLA PAZZIA PER AMORE con due vani e una finestra che guarda verso Savigliano, da trenta metri d'altezza. Che cosa è accaduto poi è possibile solo immaginarlo. Il padre chiude la porta, accende le luci, spalanca la finestra e solleva il figlio. «No, papà». Un urlo prolungato e un tonfo. Come se fossero caduti insieme. Dal reparto qualcuno sente, ma nessuno intuisce la tragedia. Bussano più volte, poi forzano la porta. La moglie attende il ritorno del figlio. Chiede notizie. La tranquillizzano. «Sono dovuti andar via di corsa. Torneranno domani a riprendere la giaccavento». Ieri è toccato ai parenti del marito e all'anziana madre darle la notizia della disgrazia. Il reparto di Neurochirurgia, nella mattina- A destra il ragazzino e il padre morti a Savigliano. Nella foto grande l'ospedale. Sotto una poesia scritta dai compagni di classe IL DOLORE NELL'AULA PFOSSANO ENSIERI e ricordi. «Della morte bisogna parlare. E' inutile nascondere un fatto». E così ieri mattina i ragazzi delle «quinte» dell'elementare di via Sacco, a Fossano, hanno deciso di scrivere sul loro compagno ucciso dal padre. «La morte! Cos'è la morte? La morte è spietata: quando vivi la tua vita, lei ti chiama e ti porta via, lontano da tutti, e cadi nel buio più profondo. Ieri eri lì che scrivevi nel banco contento e sereno ma... adesso, all'improvviso, te ne sei andato, ci hai lasciati soli. Tu sarai sempre nei nostri cuori, pieni lla sua tomba che avrei ta, è stato chiuso e per tutto il giorno le visite sono state vietate. Parenti e amici sono rimasti per l'intera giornata fuori dall'ospedale ad aspettare. «Perdonarlo è difficile. E' impossibile. Il bambi- aiu no non lo doveva toccare. Ma non meritava di finire così. Era un bravo cristo. Parlava, parlava, ma non faceva del male». Il dramma di Pino era iniziato undici anni fa, alla nascita di Laerte. Il bambino non stava bene e i medici diagnosticarono una malformazione dell'aorta vicino al cuore. Aveva pochi mesi quando lo operarono la prima volta. Ogni sei mesi una visita di routine. A otto anni il secondo intervento, più complesso, ma anche questo perfettamente riuscito. «Non si dava pace per quel figlio - racconta uno degli otto fratelli, Carlo -. In questo periodo, telefonava a chi lo ospitava tre, quattro volte al giorno. Si raccomandava che fosse ben lavato, che mangiasse, che stesse bene». Camicia e abiti scuri, duro, a volte volgare nei modi, Pino era considerato da tutti uno «spaccone». Anni fa il prorietario della Balocco decise di vendere la sua «Maserati». Pino la voleva. Trovò il rivenditore che l'aveva ritirata e il giorno dopo tornò a lavorare «con la macchina del padrone». «Era un bullo, di quelli che trattano male gli altri, ma che in realtà nascondono una grande sensibilità», racconta l'amministratore della «Balocco» ragionier Costamagna. «E' venuto a trovarmi in fabbrica lunedì mattina. Voleva sfogarsi. Era preoccupato per la moglie. Temeva che avesse un tumore o l'epilessia. Era preoccupato per sé e per il figlio. Voleva sapere se poteva continuare a restare a casa per qualche settimana. Gli ho risposto che il lavoro, per lui, ci sarebbe sempre stato». Gianni Martini Riflessioni. «So che ti dispiace, Laerte. Il destino era quello. Beato, ora sarai nei celesti pascoli del cielo. Ieri mattina eri ancora lì, seduto sulla sedia e chino sul banco a scrivere liete novelle di vita e felicità. E di colpo puf! Hai donato la tua vita a Dio, seppur involontariamente, e lui ti ricambia col paradiso. Ma una nascita sfortunata è il motivo principale. Io mi chiedo il perché di questo fatto». Sul banco anche l'ultimo lavoro lasciato da Laerte. «Ho dif gnato il silenzio», aveva ..piegato: un deserto solcato da un cammello. «Della malattia della madre raccontano i genitori dei suoi compagni - era preoccupato, ma senza angosce. Ne parlava tranquillamente. Il padre l'aveva accompagnato in ospedale solo una volta, una decina di giorni fa. Era tornato più sereno. La mamma gli aveva assicurato che sarebbe guarita presto». [g. mar.] Alfonso Sollazzo con in braccio il figlio Robertino, morto di Aids so Sollazzo, soprattutto quando viene dai palazzi di giustizia. In attesa di una risposta dal tribunale per i minori, il padre di Robertino vorrebbe anche notizie sull'inchiesta avviata dalla magistratura dopo la morte del figlio. «La fine del mio bambino, infettato all'età di 10 mesi nonostante che tutti in famiglia fossimo sieronegativi, resta un mistero. L'unica certezza, in uno Stato che sa essere cinico con i più deboli, è che i quattro anni di vita di mio figlio sono stati un calvario». Fulvio Milone LE 19,45 negli ospedali è l'ora più triste. Per tutti: ricoverati e parenti. I parenti tornano a casa, le visite son finite, si svuotano stanze e corridoi. I malati restano soli, ad affrontare la notte. I medici smettono il servizio, resta la guardia, che farà quel die potrà. Se esistesse uno strumento per misurare la «depressione», mostrerebbe che la punta più alta è a quell'ora. Ognuno inventa un sistema per salvarsi. Alle 19,45 dell'altro ieri quest'uomo della provincia di Cuneo ha messo in atto un sistema che, così come appare ora, è assurdo e logico nello stesso tempo: logico della logica della pazzia. Una pazzia per amore. Si è messo in testa che la sua famiglia tosse distrutta, e ha architettato un sistema per riunirla per l'eternità. Il figlio era stato operato due volte al cuore: il cuore del figlio era guarito, ma il cuore del padre non più. La moglie era ricoverata per meningite. I medici dicevano che stava per esser dimessa; ma la donna aveva avuto due collassi a casa, due svenimenti, e qui c'è qualcosa che va capito: nelle tamiglie del popolo lo svenimento, il «venir meno» (espressione che si usa anche per chi muore: «ieri è venuto meno lo zio») è sentito come un andare di là e tornare di qua, col rinvenimento. Per chi ama in maniera angosciata, vulnerabile, bisognosa, resta sempre il terrore che l'andar di là si ripeta, senza il tornar di qua. Era questo l'incubo dell'uomo: perdere il tìglio, perdere la moglie. Cioè tutto. Tutto quello che ha un uomo medio oggi. Oggi non esiste che la famiglia. Sprofondando sempre più nella depressione, l'uomo deve aver elaborato, senza rendersene conto, un piano per correggere la sventura: se moglie e tìglio andavano di là, da un momento all'altro, e se la prima era la moglie, non restava che precederla, tutti insieme, figlio e marito. Loro due subito, volontariamente; lei avrebbe seguito fra qualche giorno, il tempo concesso dalla malattia che nessuno gli diceva, e quando una malattia non viene detta è perché è la malattia inguaribile, il cancro. Il sogno dev'essere stato: la morte è un passaggio, bisogna passare di là e rimettersi insieme. i qualunque costo. Qualcuno, la mogliemadre, usciva da! gruppo per entrare nella morte, sola. Se gli altri due tacevano altrettanto, il gruppo si riformava, compatto. Si è sentito urlare, nel bagno dell'ospedale, al quinto piano, nel momento in cui la tragedia si compiva. Era la voce del tiglio. Entriamo in questo dettaglio, che è il più crudele, solo perché spiega che uno ha pensato il sistema, e l'altro lo ha subito: ma forse, in quell'attimo, lo ha capito. Erano le 19,45. L'ora critica. Il padre non l'ha retta. Avesse superato quei trenta minuti, sarebbe arrivato all'alba, e tutto cambiava. La malattia la superi se sei convinto che è superabile: se non ne sei convinto, tu stesso lavori per renderla insuperabile. C'è gente che ha avuto davvero il cancro, ma ha deciso di vincerlo, ha combattuto con tutte le forze, e l'ha vinto. Qui il cancro non c'era, ma ha ucciso come se ci fosse. In coloro che amano temendo, il timore può diventare una sofferenza così grande, che metterci fine con la morte è un sollievo. Perciò questa è una tragedia della malattia e dell'amore: dell'amore come malattia. Ferdinando Camion

Persone citate: Alfonso Sollazzo, Costamagna, Fulvio Milone, Gianni Martini, Sollazzo

Luoghi citati: Cuneo, Fossano, Savigliano